Diritti / Intervista
“Di vita non si muore”, il docufilm per andare oltre il simbolo di Carlo Giuliani
Un tentativo di restituire un’immagine più completa del giovane ventitreenne ucciso durante gli scontri al G8 di Genova, grazie alle testimonianze della famiglia e degli amici. In una centrifuga di stili diversi vengono ricostruiti il “movimento” e l’animo di quelle giornate. Ne abbiamo parlato con la regista e lo sceneggiatore
“Per noi era importante parlarne a vent’anni dalla sua morte. Ancora di più ci premeva mostrare la vita del ragazzo, oltre il simbolo che ne è stato fatto”, raccontano ad Altreconomia Claudia Cipriani, regista del docufilm “Di vita non si muore”, insieme a Niccolò Volpati, sceneggiatore. Il progetto è stato finanziato attraverso la piattaforma di crowdfunding “Produzioni dal basso” ed è uscito quest’anno, con proiezioni nei cinema e nei centri sociali. Il racconto procede su più livelli e attraverso diversi stili di ripresa che aiutano a divincolarsi tra i vari strati della storia, senza perdere le tracce del protagonista, cercando di restituire fedelmente non solo la personalità di Carlo Giuliani, nonostante “ognuno racconti il suo Carlo”, ma anche per rievocare la Genova degli inizi del millennio e gli eventi del G8.
Cipriani, come mai ha deciso di realizzare un film documentario sulla vita di Carlo Giuliani?
CC Abbiamo incontrato Haidi Giuliani, sua madre, a una proiezione di un precedente lungometraggio. Da lì è nata l’idea di raccontare la vita di Carlo, ancora inesplorata. Infatti quando si parla di Carlo Giuliani si parla solo della sua morte. È indubbiamente importante ricordare la sua uccisione e il contesto in cui è avvenuta ma per me era interessante anche mostrare chi era quel ragazzo, al di là del simbolo che è diventato con la sua morte. Nel film Carlo viene restituito negli interstizi tra un racconto e l’altro. Era una persona che sfuggiva a qualsiasi “etichettamento”, e credo che questo suo essere libertario al di là di ogni dogmatismo e manicheismo, oggi purtroppo imperanti, sia di grande ispirazione, non solo per me. Oltre alla vita di Carlo, mi interessava parlare anche della storia di quel movimento che è stato protagonista durante le giornate di Genova, perché di quei giorni si ricorda soprattutto la violenza, quando bisognerebbe anche parlare della vitalità di coloro che sono scesi in strada. Penso infatti che quegli ideali, quelle battaglie, quelle pratiche alternative al neoliberismo siano oggi più attuali che mai. Da una parte dunque viene raccontata la vita di Carlo sullo sfondo di quella “Generazione X” a cui apparteneva, e dall’altra viene raccontato il contesto sociopolitico di quegli anni. Spesso in Italia si fa fatica a tornare sulle ferite del passato, mentre la memoria non dovrebbe essere un esercizio sterile ma dovrebbe fornire strumenti per analizzare anche il presente: noi volevamo interrogarci sulle ragioni che hanno dato vita a quei movimenti che avevano contestato il G8, anche perché possa essere una scintilla di riflessione per quel che accade oggi.
Perché ha scelto di unire così tanti stili di ripresa? E perché la ricostruzione con gli attori di alcune scene?
CC A me piace molto sperimentare con generi diversi e sconfinare tra finzione e documentario. Credo che ogni storia abbia un modo specifico di essere raccontata. All’inizio avevamo pensato di “cartoonizzare” le immagini, ma la città di Genova non si prestava a questa modalità, essendo piena di dettagli, labirintica. Sono tre le tracce presenti nel film: l’evoluzione della vita di Carlo sin dall’infanzia, la ricostruzione dei suoi ultimi tre giorni di vita e il contesto storico politico che si intreccia con il movimento “No global”. Abbiamo deciso di legarle rendendole fluide ma distinguibili. Per raccontare di Carlo bambino e adolescente, in linea con gli stili di girato dell’epoca, ho creato riprese abbastanza mosse, con tanti zoom, che si affiancano al materiale d’archivio, fondamentale per la resa del contesto storico. Nei suoi ultimi tre giorni lo seguiamo per i carruggi di Genova e ho scelto invece di impiegare una steadycam che permette una ripresa molto fluida. Inoltre ho creato anche delle sequenze di animazione con le fotografie. La vita di Carlo è stata piena di esperienze e il contesto storico era ricco, di conseguenza volevo che lo spettatore si sentisse un po’ come dentro una centrifuga, sballottato tra tanti stimoli, in un collage visivo e sonoro, circondato da spunti di riflessione.
Chi sono stati i vostri principali interlocutori per ricostruire la vicenda? Com’è stato il vostro rapporto con loro?
CC Abbiamo sentito i racconti di molte persone, ma all’inizio è stato difficile ottenere la loro fiducia, c’era grande scetticismo. C’è da ricordare che la figura di Carlo è stata strumentalizzata. Oltre alla famiglia, soprattutto la madre e la sorella, abbiamo le testimonianze degli amici del liceo e dell’università, o meglio, “dell’auletta occupata”. Tanti di loro ci hanno anche fornito uno spaccato della Genova degli anni Novanta. Poi il professore di storia e filosofia, che aveva una visione alternativa dell’insegnamento e che era in buoni rapporti con Carlo, nonostante lui fosse allergico al sistema scolastico. Un’altra figura di riferimento era un frate che aveva creato uno spazio protetto dove far giocare a calcio i ragazzi delle case popolari. Carlo cercava di frequentare persone molto diverse, appartenenti ad ambienti e classi sociali molto distanti tra di loro. Poi c’erano gli amici dei rave, delle comunità musicali autogestite.
Volpati, invece, che cosa ha fatto per prepararsi alla stesura della sceneggiatura?
NV Mentre ci lavoravamo ricorreva il ventennale delle proteste al G8 e per l’occasione sono uscite molte pubblicazioni (anche da parte di Altreconomia, ndr). Recuperare la memoria è importante ma non basta, è necessaria una chiave di lettura per il presente. Anche perché molte delle rivendicazioni del movimento “No global” sono ancora attuali: pensiamo ai brevetti sulle sementi, alla critica verso lo strapotere delle multinazionali, alla proposta di tassazione delle transazioni finanziarie. La nostra intenzione, quando si fa un film, è sempre quella di sollevare domande negli spettatori, anche se non abbiamo la presunzione di avere già pronte delle risposte.
Vi è capitato di parlare con i cittadini dei tempi del G8 e di quello che è successo a Giuliani?
NV Ci aspettavamo maggiore attenzione per il progetto; invece abbiamo faticato anche a trovare foto e video del periodo, nonostante tanti abbiano ancora fresco il ricordo delle violenze di quei giorni. Ci sono state comunque tante persone bendisposte, che ci hanno permesso di inquadrare la particolarità di quegli eventi; qualcuno non voleva proprio parlarne ma altri sembrava non vedessero l’ora. Abbiamo notato che sono ancora molto diffusi falsi miti attorno alla figura di Carlo Giuliani: tra chi lo riempie di improperi avendogli attribuito l’accezione di violento anti-sistema e chi lo osanna, attraverso l’emblema del “Carlo vive” che campeggia sui muri di moltissime città, e che lo vede come il militante martire che ha sacrificato la sua vita per una causa più alta. Alla fine però Carlo, come è stato scritto in Piazza Alimonda, era solo un ragazzo.
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