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I fatti di Pisa e Firenze, e tanti precedenti, sono in perfetta sintonia con Genova 2001

La violenza della polizia contro gli studenti a Pisa il 23 febbraio 2024

Le immagini dei ragazzi affrontati con la forza dalla polizia, inseguiti, picchiati anche a terra, trattati da “nemici” e non come cittadini liberi di manifestare dissenso, non sono nuove. C’è continuità con il disastro del G8, mai realmente affrontato. Ora si promettono “riflessioni”: ma come, in concreto? L’analisi di Lorenzo Guadagnucci

Ha un bel dire, il presidente Sergio Mattarella, che l’uso dei manganelli contro un corteo di studenti è un fallimento, ma qual è il passo successivo? Chi deve farlo? Verso quale direzione? I fatti di Pisa e Firenze, con decine di ragazzi affrontati con la forza dalla polizia, inseguiti, picchiati anche a terra, trattati insomma da “nemici” e non come cittadini liberi di manifestare ed esprimere dissenso, non sono nuovi. Tutt’altro.

Le cariche dette di “alleggerimento” (ma tutt’altro che leggere per chi le subisce), in genere sferrate a freddo, senza contatti e trattative fra gli agenti e i manifestanti, sono una specialità italiana da oltre un ventennio. Fanno parte di un repertorio poliziesco mai davvero messo in discussione, nonostante ancora si parli, nelle interviste rilasciate da ministri e dirigenti di polizia, di una presunta “svolta” avvenuta dopo i disastri del G8 di Genova del 2001, quando si arrivò a una sostanziale sospensione dello Stato di diritto.

Non c’è stata alcuna svolta e semmai si nota un filo di continuità fra quei tragici giorni e i fatti di oggi, sia pure meno gravi per la portata delle azioni e l’entità dei danni fisici e psicologici causati. È il filo di un’idea di ordine pubblico che ha le sue radici nel modello di polizia precedente la riforma del 1981, quella riforma che tentò di democratizzare almeno uno dei corpi di pubblica sicurezza, di portare i valori della Costituzione nell’agire quotidiano di migliaia di agenti, di stabilire la priorità della prevenzione rispetto alla repressione anche nella “gestione della piazza”. Al G8 di Genova capimmo amaramente che lo spirito della riforma in appena vent’anni era già evaporato: ne restava la forma, ma non la sostanza.

La “risposta” delle istituzioni ai disastri del G8 ha poi aggravato il quadro. Anziché correre ai ripari, compiere una seria e sincera autocritica, indagare al proprio interno, rimuovere i massimi responsabili e “rifondare” la riforma, si scelse di chiudere porte e finestre dei corpi di polizia anziché spalancarle alla società civile, arrivando addirittura a ostacolare apertamente l’azione dei magistrati, chiamati a indagare su reati gravissimi.

Si spiegano così le linee di continuità. Oggi tutti riconoscono che la gestione dell’ordine pubblico al G8 di Genova fu a dir poco disastrosa, oltre che condotta in buona parte al di fuori delle linee legali e costituzionali: un ragazzo ucciso da un carabiniere, la tortura praticata su larga scala in caserme e luoghi di detenzione ma anche alla scuola Diaz, l’incredibile caccia al manifestante, con relativi pestaggi a freddo, nelle strade e nelle piazze della città, gli slogan fascisti gridati nelle caserme e in faccia a fermati e detenuti.

Tutti oggi riconoscono questo disastro, ma ben pochi agirono a tempo debito: governi e ministri d’ogni colore, vari capi della polizia, per non dire dei media “che contano”, tutti costoro per anni si sono limitati a osservar tacendo, a rassicurar mentendo, isolando -di fatto- sia i magistrati impegnati nelle varie inchieste seguite al G8, sia i testimoni, le vittime degli abusi, le parti civili e i loro avvocati. E intanto i responsabili operativi ma anche i responsabili morali e professionali del disastro proseguivano indisturbati, anzi protetti e spesso vezzeggiati, nelle loro carriere. Sono fatti troppo noti per ripeterli ancora. Ma non si può ignorare che le forze di polizia italiane sono uscite dal “vortice G8”, dai difficilissimi processi per tortura (Diaz e Bolzaneto) portati a termine con risultati inequivocabili, dalle umilianti condanne inflitte all’Italia dalla Corte europea per i diritti umani, senza avere mai compiuto la minima autocritica e anzi con una punta di vittimismo e una sostanziale impunità.

Altro che svolta. I misfatti del G8 sono piuttosto il biglietto da visita della polizia italiana per il nuovo millennio. Perciò i fatti di Pisa e Firenze, e tanti episodi precedenti, sono in perfetta sintonia con Genova 2001; la regola è la stessa di allora: di fronte al “nemico”, definito tale di volta in volta, via libera con la violenza, perché con i nemici non servono mediazioni né precauzioni.

Nel 2001 Livio Pepino, giurista ed ex magistrato, parlò a caldo di “diritto penale del nemico”, per spiegare le sistematiche violazioni della legalità costituzionale. Oggi forse dovremmo parlare di “ordine pubblico del nemico”, secondo una logica pre democratica. E occorre dire, per inciso, che l’inseguimento, la messa a terra e il pestaggio degli inermi, in simili frangenti, paiono una precisa tecnica di intervento, più che un accidente.

O qualcuno ha dimenticato la vicenda del giornalista Stefano Origone, per citare un caso eclatante, fra tanti, tantissimi di minore portata (minori solo per i danni fisici arrecati, non per la gravità dei fatti)? Origone proprio a Genova nel 2019 (2019, non 2001) fu picchiato a sangue da un gruppo di agenti, finché non intervenne un superiore che lo riconobbe come giornalista; si trattò di un pestaggio eseguito senza alcun motivo, se non il fatto che il cronista si trovò vicino a un gruppo di attivisti antifascisti che stava manifestando contro un comizio, in corso poco lontano, di una formazione neofascista, e che perciò fu aggredito senza alcun riguardo. Le immagini del pestaggio lasciano ancora di stucco: sono perfettamente sovrapponibili a molte scene osservate e documentate 18 anni prima durante il G8 (a proposito: nei processi i quattro agenti imputati per il pestaggio erano stati sostanzialmente giustificati, subendo in primo grado condanne a 40 giorni, in appello appena una sanzione pecuniaria, ma la Cassazione ha trovato il giudizio poco motivato e ordinato un nuovo processo d’appello).

Se dalla gestione della piazza passiamo poi a considerare quel che avviene nelle carceri, ecco che le linee di continuità si fanno ancora più nette. Impossibile, su questo drammatico punto, sfuggire al confronto fra i racconti -decine di racconti- dei detenuti passati nella caserma-carcere di Bolzaneto a Genova nel 2001 e le immagini riprese nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020, con il “comitato di accoglienza” riservato in entrambi i casi ai prigionieri, con due file di agenti che sferravano colpi, calci, sputi, insulti ai malcapitati. La tortura a Genova non fu casuale e certi fatti degli anni seguenti (non solo quelli di Santa Maria Capua Vetere) hanno dimostrato che esistono tecniche di violenza e di umiliazione del “nemico-detenuto” che si trasmettono da una generazione di agenti all’altra. Anche su questo punto si sarebbe dovuto indagare a suo tempo, cioè a partire dal 2001, quando tali orrori, per una serie di circostanze, vennero alla luce.

Il capo della polizia Pisani e anche il ministro dell’Interno Piantedosi, sollecitati dal presidente Mattarella, hanno annunciato verifiche interne sui fatti di Pisa e Firenze e anche avviato -così hanno detto- una riflessione. Bene, benissimo. Manca però una linea di condotta, un sia pur minimo piano di lavoro. Che cosa si intende concretamente fare? C’è o non c’è la volontà di scavare a fondo nelle subculture professionali interne ai corpi di polizia? Si vuole indagare sulle radici della pratica della tortura? Si vuole o no rianimare la riforma del 1981? Si è disposti a riconoscere che certe categorie di manifestanti -oggi gli studenti pro Palestina, ieri i centri sociali e i No Tav, l’altro ieri i “no global”- vengono classificati come “nemici” e trattati di conseguenza? Si è disposti a fare una seria inchiesta interna alle forze di polizia, aprendosi anche all’ascolto degli agenti e al dialogo con il resto della società?

Viviamo una stagione difficile per le democrazie occidentali e ci stiamo incamminando verso forme di governo illiberali, come ben si vede seguendo con attenzione le cronache e analizzando le tante leggi che stanno limitando i diritti e accantonando il principio di uguaglianza: basti citare, fra tante, le norme del nuovo pacchetto sicurezza pensate per punire i giovani attivisti ecologisti o le leggi (e le prassi) europee sull’immigrazione. Le violenze di polizia, collocate in questo quadro, sono ancora più allarmanti.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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