Diritti / Reportage
Tra i respinti dalla Croazia. La violenza è ancora la prassi lungo le rotte balcaniche
Ritorno sulla frontiera tra Bosnia ed Erzegovina e Unione europea, a quasi tre anni dall’incendio che distrusse il campo di Lipa. Le persone incontrate denunciano i respingimenti illegali e le vessazioni delle polizie. Tra gennaio e ottobre 2023 i passaggi nei Balcani occidentali sono stati quasi 100mila. Il videoreportage
È notte fonda ma la luna piena illumina tutta la valle del fiume Sava. Non è l’ideale per le persone che nell’ombra provano a passare da un confine all’altro, dal Nord della Bosnia ed Erzegovina alla Croazia. “A qualcuno la luna piena dà sicurezza -racconta un ragazzo che arriva dal Sudan- perché vedi bene la strada. Ad altri non piace, perché le guardie ti vedono lontano un miglio”.
Bosanska Gradiška è uno degli snodi chiave per i migranti che dal Nord della Bosnia tentano di attraversare il fiume per entrare in Croazia, nell’Unione europea. In tanti sono morti nelle acque della Sava, affogati a poche bracciate dalla riva, ma i più giovani, soprattutto in estate, provano ancora a nuotare da una sponda all’altra, da un confine all’altro. I segni del passaggio sono evidenti, ci sono persino tracce di pneumatici e di trascinamento. Sembra la scia di una piccola imbarcazione. Nei villaggi lunga la Sava, da Gradiška in poi, alcuni residenti della zona “noleggiano” le loro barchette per accompagnare i migranti dall’altro lato, per 20 o 30 marchi.
Si cammina in silenzio, tutto tace, la frontiera ufficiale, quella presidiata dalla polizia, è a pochissimi chilometri. “Ultimamente i migranti si vedono poco in giro -spiega un’attivista della zona- ma ci sono eccome. Adesso si nascondono di più ma si muovono e tanto”. I numeri confermano i “flussi” lungo le rotte negli ultimi mesi. Secondo i dati di Frontex, da gennaio a ottobre gli “attraversamenti” nei Balcani occidentali hanno superato quota 97.300, soprattutto afghani, siriani e turchi. I volontari della zona, però, registrano la presenza anche di persone provenienti dal Nord Africa e dall’Africa sub-sahariana.
“Tanti arrivano direttamente in Serbia con l’aereo e poi cominciano il viaggio. Altri, invece, arrivano a piedi dalla Turchia o dalla Grecia”. Il cammino, in ogni caso, è faticoso e pericoloso. Il rischio è quello di morire di freddo in inverno o di essere picchiati, di perdere anche quel poco che si ha, di rimanere bloccati per mesi. Cosa che sta accadendo di nuovo, nell’autunno del 2023, lontano dai riflettori un tempo più accesi.
“Mi hanno spaccato uno zigomo -racconta un ventenne iraniano incontrato nei boschi bosniaci a fine ottobre- è successo l’altra sera. Adesso aspetto qualche giorno prima di ritentare. La polizia croata è la peggiore”. “I miei amici un mese fa sono passati senza problemi”, aggiunge un altro ragazzo, che non dice di dov’è. “E invece a noi ci fanno sputare sangue, letteralmente”. Qualcosa è successo. Fino a qualche settimana fa le autorità croate lasciavano “passare” con più facilità, e per i migranti era diventato relativamente semplice arrivare fino Zagabria o a Fiume, per poi proseguire verso la Slovenia. Poi, però, la protesta dei residenti di alcune cittadine sul confine hanno spinto il governo croato a cambiare ancora una volta politica. Riprendendo così i respingimenti violenti. I metodi brutali della polizia croata sono noti da tempo. I racconti raccolti in questi giorni in Bosnia ed Erzegovina confermano invece che tutte le pratiche più disumane utilizzate in questi anni sono tornare prepotentemente “di moda”.
I respingimenti della polizia croata hanno avuto un immediato contraccolpo sulle presenze al campo di Lipa, a 25 chilometri da Bihać. Siamo arrivati al campo di mattina con un permesso per entrare e svolgere una visita guidata della struttura. L’unico dato di cui siamo certi è il numero delle presenze. A novembre ci sono all’incirca 1.500 persone, accampate insieme nonostante le condizioni non siano delle migliori. I ragazzi sono spesso costretti a spendere i propri soldi per comprare all’esterno sapone e dentifricio, perché raramente sono a disposizione. “Compriamo anche qualcosa da mangiare -racconta Adam, dalla Siria- perché spesso abbiamo fame, ma è anche l’occasione per fare una pausa e per uscire dal recinto”. Ci spostiamo al negozietto che è stato allestito proprio di fronte all’ingresso del campo. Prendiamo un the mentre i ragazzi si avvicinano numerosi. Due euro per un bicchierino. I prezzi sono alti. Un solo rotolo di carta igienica costa quasi un euro. “Lo compriamo perché non c’è mai nei bagni”, spiega un ragazzo con il sacchetto in mano. Le guardie del campo intanto ci osservano, non gradiscono molto che si parli con i loro “ospiti”, e allora ci spostiamo verso il bosco.
Mentre siamo nella jungle, poco fuori Lipa, incontriamo tre ragazzi siriani che tornano verso il campo dopo essere stati respinti. Hanno l’aria stanca e affranta, anche perché a due di loro la polizia ha sequestrato e spaccato il telefono. Si fermano qualche minuto a raccontare ma poi proseguono, perché hanno bisogno di riposare, bere un po’ d’acqua, riordinare le idee. Nel pomeriggio raggiungiamo il campo Borići, dedicato alle famiglie e ai minori non accompagnati, dove ci sono poco più di 800 persone. Un numero non elevatissimo ma comunque superiore a quello della media degli ultimi mesi. Tra loro ci sono molte persone in arrivo dall’Africa sub-sahariana ma anche diverse famiglie dal Bangladesh. “A volte restano a lungo -spiega uno dei coordinatori del centro, dove abbiamo il permesso di entrare-. E infatti ai bambini facciamo anche da scuola. È un modo per insegnargli la lingua, per trascorrere del tempo sereno e magari fargli ritrovare il sorriso”. L’atmosfera qui è migliore e anche l’accoglienza è meno militaresca, più informale. Finché c’è la luce del sole il clima resta sereno, ma appena fa buio il fermento aumenta.
Ogni sera i migranti cercano di attraversare il confine arrivando il più vicino possibile con i taxi o con gli autobus e sperano di non incontrare la polizia croata. Di recente, però, succede quasi sempre. Lo raccontano a più riprese le tantissime persone incontrate in questi giorni d’autunno. Grecia, Turchia, Bulgaria, Serbia. Tra i ragazzi che hanno il desiderio di far sapere cosa gli è successo c’è Mohammed, dal Marocco, che ha provato ad attraversare il confine croato sette volte e ha subito maltrattamenti feroci dalla polizia di Zagabria. Poi c’è Samir, 18 anni, dall’Afghanistan, in fuga dai Talebani. E poi c’è Alì, dal Ghana, che ha perso i documenti e non è riuscito a rientrare in Italia dal suo Paese. Tre storie racchiuse in questo video, anche se ci vorrebbero ore e ore di testimonianze. Ore e ore di immagini e denunce, perché quel che accade sotto i nostri occhi fa vergognare.
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