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Diritti / Inchiesta

Scarsa programmazione, posti vuoti e persone al freddo: così ai migranti è negata l’accoglienza

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I Centri di accoglienza straordinaria non garantiscono abbastanza posti, nel frattempo il Sistema di accoglienza e integrazione di secondo livello ha oltre 1.600 “letti” disponibili e finanziati ma non utilizzati. Mentre il ministero dell’Interno ammette l’assenza di programmazione, centinaia di persone dormono ancora all’addiaccio

Posti vuoti, scarsa programmazione, incapacità di intervenire a fronte dell’emergenza. Mentre diversi tribunali cominciano a richiamare all’ordine prefetture e questure per le procedure illegittime nel fornire un “tetto” e i documenti ai richiedenti asilo, dati aggiornati raccolti da Altreconomia fotografano le inefficienze del sistema di accoglienza italiano per richiedenti asilo e rifugiati.

Da un lato, da luglio a novembre 2022 si registra nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) un’improvvisa diminuzione dei posti a disposizione senza alcun intervento da parte dell’amministrazione per aumentare la capienza; dall’altro, centinaia di posti “vuoti” nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), pensato come “secondo livello” di intervento e trampolino per l’autonomia delle persone. A prescindere da quale sia il sistema, dai dati emerge chiaramente la scarsa programmazione da parte del ministero dell’Interno. “È come se in una scuola non si sapesse dove sono le aule, quanti banchi vuoti ci sono, quante sedie mancano. E magari, di fronte al bisogno, si scopre che un’intera aula era libera ma chiusa nell’attesa che, senza un motivo razionale, arrivasse qualcuno ad aprirla. La politica, sul tema dell’accoglienza, sceglie volontariamente di non intervenire”, spiega Michele Rossi, direttore generale del Centro immigrazione asilo e cooperazione onlus (Ciac) di Parma. 

Andiamo con ordine. Tra i posti finanziati e quelli effettivamente attivati nel sistema Sai c’è una differenza molto ampia: all’ottobre 2022 a fronte di 44.591 posti finanziati erano 35.291 quelli attivi. Questa forbice deriva dal fatto che non sempre i Comuni riescono ad attivare tutti i posti per cui avevano fatto domanda e ottenuto il finanziamento, soprattutto per la difficoltà a reperire gli alloggi (qui i dati integrali). Oltre a questa differenza si aggiunge il fatto che anche i posti disponibili non sono tutti riempiti. I “vuoti”, quello stesso mese di ottobre 2022 in cui gli effettivamente disponibili risultavano essere oltre 35mila, erano oltre 1.600 di ottobre (in lieve calo rispetto agli oltre 2.300 del gennaio di un anno fa). Quello di 1.600 posti vuoti nel Sai è un dato rilevante, trattandosi di un sistema che a regime dovrebbe risultare sempre saturo. Come è rilevante il fatto che i posti vuoti, oltre che nel Sai ordinario, sono presenti anche nei progetti dedicati al “disagio mentale e all’assistenza sanitaria specialistica e prolungata” (Dm-Ds), cioè quelli messi a disposizione dei più vulnerabili. Su un totale di 751 posti attivi, sempre a ottobre 2022, solo 598 erano occupati con una disponibilità di oltre 140 posti.

Mancano le richieste? Tutt’altro, diversi operatori dell’accoglienza sentiti da Altreconomia raccontano altro rispetto all’inserimento nel sistema Sai. Ma il dato delle richieste effettuate e rimaste inevase dagli operatori non è purtroppo quantificabile. Il Servizio centrale, che gestisce il Sai in seno al Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, ci ha risposto infatti che il numero di richieste di inserimento non è nella disponibilità degli uffici. “Un paradosso. Con quale criterio le persone vengono inserite? -si chiede Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste e membro dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione-. Mancano procedure standard e criteri di accesso al sistema che permettano di definire un procedimento che abbia le caratteristiche basilari di quello amministrativo. Il minimo sarebbe la registrazione della richiesta e una risposta, positiva o negativa che sia. Se non è possibile avere il numero delle segnalazioni, invece, il tutto sembra lasciato al caso. Assomigliando di più a una sorta di sistema privato, non tenuto necessariamente a rispondere a logiche di equità, alimentato però da risorse pubbliche”. Anche la “popolazione” di coloro che a oggi occupano il sistema Sai è un dato rilevante.

Nel 2022 il 24% di chi è stato accolto è richiedente asilo, il 25% titolare di status di rifugiato, il 18% un minore non accompagnato, il 4% è titolare di un documento per “casi speciali”, il 4% per motivi familiari e così via. “Un grosso contenitore che ci racconta di come i servizi sociali territoriali ‘usino’ il Sai per collocare persone di cui non vogliono occuparsi”, sottolinea ancora Schiavone. Il numero di cittadini ucraini presenti nel sistema è relativamente basso: a novembre 2022 circa 3.100, il 14% del totale.

La disponibilità di posti nel Sai aggiunge un tassello in più rispetto a quanto ricostruito nell’inchiesta pubblicata nel dicembre 2022 su Altreconomia. Concentrandoci sul sistema dei Cas abbiamo raccontato come, nel periodo tra gennaio e giugno dello scorso anno, ai richiedenti asilo che provenivano dalla rotta balcanica venisse negato l’inserimento nei centri nonostante la disponibilità di posti su tutto il territorio nazionale (stimati in circa 9mila). Centinaia di persone dormivano in strada. La “scusa” da parte delle prefetture, allora, era l’assenza di posti, ufficialmente, e “ufficiosamente” una quota di “riserva” da tenere per chi proveniva dagli sbarchi. Abbiamo così chiesto i dati aggiornati al ministero dell’Interno (qui i dati integrali) anche in relazione alla comunicazione del 5 dicembre 2022 con cui, sempre il Dipartimento per le libertà civili, dichiarava di sospendere i trasferimenti per il regolamento di Dublino a causa della “mancanza di posti in accoglienza”. 

I dati aggiornati ottenuti dimostrano che ancora a luglio 2022, nonostante in diversi territori si lamentasse una mancanza di posti, le disponibilità c’erano: quasi 4mila se si considerano i “posti disponibili”, più di 7.600 se si prende in considerazione la differenza tra i “posti in convenzione”, sempre forniti dal ministero, e le presenze. Diversi operatori che operano all’interno dei Centri non hanno saputo fornire una spiegazione di questa differenza così ampia. A prescindere da quale dato si prenda in considerazione, la forbice diminuisce fino ad arrivare, a novembre 2022, rispettivamente a 1.311 disponibilità e 2mila in convenzione. “La diminuzione dei posti è solo in parte spiegabile attraverso l’aumento delle presenze che passano da circa 59.500 a 67.500 in sei mesi -osserva Rossi-. C’è infatti un’incongruenza nei dati forniti da Roma perché non ‘tornano’ rispetto a quanto si osserva sui territori”. Il direttore del Ciac prende come esempio quanto si verifica in Toscana: si passa da circa 2.800 nel primo semestre 2022 a 5.400 presenze nel secondo, stando ai dati forniti dal ministero ma a livello locale questo aumento si ferma a 3.500. Lo stesso succede in Emilia-Romagna: da 2.200 (gennaio-giugno) a 7mila (luglio-novembre), un dato che da indagini sul territorio si ferma a 4.800. “Questo potrebbe significare due cose: i dati erano ‘mal censiti’ prima di luglio, oppure non c’è uniformità nel contare le presenze e i posti disponibili. E quindi i dati raccolti dalle singole prefetture sono difformi rispetto a quelli inviati dal Servizio centrale”. 

A prescindere dalla incongruità dei dati, secondo Schiavone la “mancanza di programmazione è lampante ed evidente”. “Nell’estate il governo pur sapendo che il sistema si stava saturando non ha fatto nulla. Così dal 20% dei posti vuoti tenuti come ‘riserva’ si passa allo ‘zero’”. Uno zero che significa persone per molti giorni abbandonate per strada: da Torino a Trieste passando per Ancona, Parma e Milano. Una “scusa” -l’assenza di posti- non prevista a livello normativo, dato che la legge costringe le istituzioni ad attivare soluzioni d’emergenza per collocare immediatamente le persone in accoglienza. Infatti le pronunce dei giudici chiamati ad esprimersi sul tema -numerose nelle ultime settimane- specificano l’obbligo delle amministrazioni di fornire accoglienza ai richiedenti asilo che formalizzano la propria richiesta in questura. Non a caso il Tribunale di Bologna, a metà gennaio 2023, ha dato torto alla questura e alla prefettura di Parma imponendogli di garantire l’accesso alla richiesta d’asilo e ai centri di accoglienza. 

“Non c’è una politica di redistribuzione o un sistema di progressivo riempimento. Il sistema tiene posti liberi per mesi e poi si satura in breve tempo. Significa, tra l’altro, non ottimizzare neanche le risorse disponibili” – Gianfranco Schiavone

Un altro tassello fondamentale continua a essere la mancanza di trasferimenti sul territorio nazionale. A Trieste, sul confine orientale, per esempio, l’alto numero di persone presenti in città nasce anche dall’assenza di ricollocamenti dei richiedenti asilo in altre città. Ritorna quanto detto precedentemente: durante la prima fase della nostra inchiesta abbiamo raccontato come gli uffici territoriali del governo più volte rispondevano informalmente a chi chiedeva l’inserimento nei Cas di “tenere liberi” i posti per chi arrivava via mare (o via terra, da altre città). La prefettura di Bolzano ha citato sotto questo aspetto il “Piano nazionale di accoglienza” elaborato dal ministero dell’Interno come “documento” che chiariva quante persone sarebbero state trasferite nei centri di sua competenza. Questo piano è previsto dalla normativa (il decreto legislativo 142 del 2015 che regola la materia), di cui abbiamo chiesto conto al dipartimento competente. Ci è stato risposto che “le quote vengono di volta in volta ripartite tra le diverse prefetture anche in base ai posti disponibili”. Altro che programmazione: il Piano formalmente non esiste. “O il ministero non programma affatto, oppure non vuole dire pubblicamente quali criteri segue. In entrambi i casi è molto grave: non c’è una politica di redistribuzione o un sistema di progressivo riempimento. Il sistema tiene posti liberi per mesi e poi si satura in breve tempo. Significa, tra l’altro, non ottimizzare neanche le risorse disponibili”, sottolinea Schiavone. 

Sia sul sistema dei Cas sia sul Sai si registrano quindi scarsa trasparenza e una gestione carente a livello centrale. “Non avere una mappatura, un controllo di gestione è ben più grave che non riuscire a mettere in convenzione nuovi posti con le prefetture. I dati non sono stabili, difficilmente leggibili e ci raccontano dell’immobilità politica sul tema. Nessuno vuole portare a regime alcun sistema di accoglienza”. Intanto, le persone, aspettano al freddo. E il governo può ripetere il ritornello della saturazione e dell’invasione.

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