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Salvare la tecnologia dalla tecnocrazia: solo così anche l’intelligenza artificiale sarà “liberante”

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Nel tecnocapitalismo l’innovazione costituisce un incremento di potere, ma sempre per chi il potere già ce l’ha. Si annunciano nuove possibilità, che però poi si traducono in forme di necessità che ci costringono a obbedire: serve maturare una consapevolezza critica. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 265 — Dicembre 2023

La modernità costruita in Occidente e mondializzata è come un uomo in agonia impegnato ad attivare gli effetti speciali per mostrare la sua freschezza in continua evoluzione. L’ultimo grido è l’intelligenza artificiale, che promette un mutamento radicale della condizione umana. E così tornano i soliti discorsi che si fanno per ogni nuovo risultato tecnologico: è una risorsa straordinaria, ma bisogna che sia l’umanità a governarla. Con ciò si chiude il discorso e ci si dispone a obbedire alla ridefinizione del regime di vita di tutti, come sempre.

Invece questa ovvietà è solo un punto di partenza per procedere finalmente alla comprensione di quello che sta accadendo. Siamo una società che non vede sé stessa, che più non si vede e più si agita, spesso sprofondando in pratiche distruttive che si moltiplicano e fanno sentire un sopravvissuto chi non ne è coinvolto direttamente. Per uscire dall’ovvietà bisogna riferirsi ad alcune coordinate.

La prima: in una società così iniqua, carente di senso etico e imprigionata nella logica del potere, qualsiasi scoperta scientifica o risultato tecnologico accrescerà lo squilibrio se persisterà l’assenza di profondi mutamenti spirituali e politici nell’ordine del mondo. Essi non verranno da alcuna tecnologia, ma dalla cura educativa, dalla risocializzazione comunitaria della società, dalla democratizzazione della politica e dalla trasformazione dell’economia, tutti processi che solo lo spirito della nonviolenza può ispirare.

La seconda: la condizione umana è stata resa interamente “artificiale” da tempo. Non nel senso che sia frutto di elaborazione culturale, bensì nel senso che è stata rimodellata secondo l’inversione per cui si è preteso di prendere la vita contromano, asservendola al potere come principio e fine di tutte le cose. Invece di lasciare alla morte naturale il suo ruolo di confine misterioso dell’esistenza, l’Occidente ha costruito il sistema della vita dentro una logica di morte, calcolando di lucrare sopravvivenza, opulenza ed egemonia dalla produzione sistematica di vittime. La morte artificiale, causata da noi, è il primo prodotto del sistema. Che in questo contesto emerga l’intelligenza artificiale, senza rimettere in discussione il tipo di organizzazione della condizione umana in cui siamo, è una novità tutta interna al sistema, non è un’apertura di futuro liberato.

In un contesto etico e democratico la tecnologia rappresenta un aiuto prezioso, mentre la tecnocrazia non ha nulla di liberante. Al contrario è burocratica e ostile alla vita interiore, all’uso libero della ragione e al dialogo

La terza: l’insistenza sulla potenza e sulla velocità delle tecnologie, con l’aumento di quanto come esseri umani potremo -in realtà dovremo- delegare alle loro procedure e strumentazioni, continua a rimuovere la percezione di come il pensiero critico sia inibito e la coscienza morale sia implosa. Di quale giovamento potrà avvalersi un’umanità affidata all’intelligenza artificiale, ma rimasta priva di coscienza? La quarta: la portata globale delle tecnologie non dovrebbe presupporre l’esistenza di istituzioni democratiche altrettanto mondiali per esercitare il governo corresponsabile di innovazioni che possono anche stravolgere la vita dell’umanità? La quinta: come mai la cultura globalizzata esalta costantemente il potere innovativo delle tecnologie in un modello di società che si pretende insuperabile e senza uscita? Non è forse una truffa l’innovazione senza alternativa? Il carattere coattivo di questo modo di imporre i cambiamenti, tramutando l’utile tecnologia in micidiale tecnocrazia, è palese.

Nel tecnocapitalismo l’innovazione costituisce un incremento di potere, ma sempre per chi il potere già ce l’ha. Si annunciano nuove possibilità, che però poi si traducono in forme di necessità che ci costringono a obbedire. In un contesto etico e democratico la tecnologia è un aiuto prezioso, mentre la tecnocrazia non ha nulla di liberante, è burocratica e ostile alla vita interiore, all’uso libero della ragione, al dialogo. Tenendo conto di queste coordinate potrà maturare una consapevolezza critica che eviterà alla tecnologia di mutarsi in tecnocrazia e di farci pagare prezzi molto più alti dei vantaggi che promette.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “La terra che verrà. Percorsi di trasformazione etica dell’economia” (Ecra edizioni, 2023)

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