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Continua la discriminazione dell’Iban. Dalle banche a Poste italiane

© Ronaldo Santos - Unsplash

Migliaia di persone regolarmente soggiornanti in Italia non riescono ad aprire un conto corrente per ricevere il salario. È prassi infatti ricevere risposte illegittime da parte dei consulenti agli sportelli. Il caso di un richiedente asilo della Somalia e la “resistenza” delle Poste alle diffide degli avvocati

“Il mio capo mi loda sempre, dice che sono un grande lavoratore. Ma adesso si sta stufando perché non ho il conto corrente, ho paura che mi licenzierà”. Younis è arrivato dalla Somalia in autunno, ha fatto richiesta d’asilo e ha trovato subito lavoro. Da febbraio infatti opera in un hotel nel centro di Roma.

I richiedenti asilo possono regolarmente lavorare ma da qualche anno c’è un problema: non riescono ad aprire un conto corrente per ricevere il salario. Questo fa sì che o tornano a lavorare in nero oppure si fanno accreditare lo stipendio sul conto di un amico, una pratica che non solo complica le relazioni tra di loro ma che è anche illegale. “Ormai il mio capo mi chiede ogni giorno: hai aperto il Bancoposta?”. Younis ad aprile si è visto riconoscere la protezione sussidiaria, cinque anni di permesso di soggiorno, ha una ricevuta ma i documenti veri e propri arriveranno, forse, dopo un mese che andrà a depositare le impronte digitali a metà luglio. 

“Sono andato ad aprire un conto alle Poste ma mi hanno detto che devo avere tutti i documenti e anche la residenza a Roma”. Considerato che la residenza a Roma è un altro passaggio che nella capitale richiede mesi, o il capo di Younis continua a prendersi il rischio oppure dovrà mandarlo via. 

La risposta che viene data dal consulente finanziario dell’ufficio postale al rifugiato somalo è illegittima ma è anche quella che tantissimi tra richiedenti asilo e persone in attesa della sanatoria si sentono dare da Poste Italiane e altri istituti bancari. In alcuni casi chiedono la carta d’identità, in altri il contratto di lavoro, tutte cose che i migranti non sono tenuti a portare.

“È un problema che sta capitando sempre più spesso -racconta Mattia Gregorio dello sportello migranti dell’Usb, il sindacato di base a Roma-. I richiedenti asilo a Roma, ma anche in altre città, non riescono ad avere accesso a un conto di base, un conto semplificato con operazioni limitate, quindi non riescono ad avere un Iban e di conseguenza non possono avere un lavoro regolare”. Da una parte c’è una discriminazione evidente, spiega il sindacalista, dall’altra questo porta all’aumento del lavoro nero anche quando ci sono offerte regolari. In due casi i migranti hanno impugnato in tribunale i rigetti di Poste Italiane e hanno vinto. “Ma sono in pochi a rivalersi, naturalmente”.

Poste è il principale obiettivo delle proteste soprattutto perché il Bancoposta è il sistema più utilizzato dai migranti: costa meno, ha filiali ovunque e lì si va a fare il rinnovo del permesso di soggiorno.

“La possibilità di aprire un conto base [con funzioni limitate] per i richiedenti asilo è normata nel testo unico bancario -continua Gregorio- è stata ribadita nel 2019 da una circolare dell’Associazione bancaria italiana e confermata da una circolare interna delle Poste”. “Tutti i consumatori soggiornanti legalmente nell’Unione europea, senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza, hanno diritto all’apertura di un conto di base”. Questo dice il comma 2 dell’articolo 126-novesdiecies del Testo unico bancario, che chiarisce al comma 3 che legalmente soggiornante è “chiunque abbia il diritto di soggiornare in uno Stato membro dell’Unione europea in virtù del diritto dell’Unione o del diritto italiano, compresi i consumatori senza fissa dimora e i richiedenti asilo”. Il permesso provvisorio regolamentato dal decreto legislativo 142/2015, chiarisce la circolare Abi del 2019, è un titolo valido per aprire un conto base.

“È un problema noto -dice Ilaria Rubbi di Arci solidarietà- che mette tutti coloro che lavorano con i richiedenti asilo in grande difficoltà. In particolare, ultimamente, Poste Italiane rallenta le richieste di apertura conto di cittadini nigeriani per fare accertamenti legati al riciclaggio e al terrorismo”. 

Conferma la situazione Nosotras, associazione di Firenze che segue in particolare donne migranti e minori stranieri non accompagnati. “Un ragazzo pakistano che seguivamo -racconta la presidente Isabella Mancini- e che era stato formato tramite un progetto ad hoc per richiedenti asilo, per lavorare in albergo, dopo il tirocinio, avrebbe dovuto essere assunto da una struttura di lusso in centro. Ma alla fine abbiamo dovuto rinunciare perché non siamo riusciti ad aprire un conto per ricevere la paga”.

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) tramite il suo sportello virtuale antidiscriminazione ha raccolto in un anno 115 segnalazioni di persone che non sono riuscite ad aprire il conto da febbraio 2022 a febbraio 2023. “Questa è solo la punta dell’iceberg -spiega Paola Fierro, avvocata e socia dell’Asgi- anche perché siamo un ente di nicchia”. In ogni caso continuano a ricevere quattro, cinque segnalazioni a settimana di questo tipo.

Quello che fanno gli avvocati dell’associazione è poi scrivere una lettera alla banca che ha opposto un rifiuto spiegando che non può farlo. “La cosa interessante è che le banche ci danno ragione quasi sempre e quindi i richiedenti asilo seguiti da noi riescono ad aprire il conto, mentre, quando si tratta di Poste, alle nostre lettere arrivano risposte molto vaghe e i conti non vengono aperti”. Ad aprile di quest’anno Asgi ha anche chiesto l’intervento dell’Ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio (Unar), affinché agisca sui vertici delle Poste per interrompere quello che secondo loro è un atteggiamento discriminatorio. 

Il 26 giugno la Cgil di Siena ha preso parola su un altro problema, quello cioè dei lavoratori arrivati con il decreto flussi. “Sono persone giunte nel nostro Paese a a fronte di un regolare contratto di assunzione per le quali l’apertura di un conto corrente è fondamentale -si legge nel comunicato-. Ci risulta, invece, che in moltissimi casi le banche neghino l’apertura del conto per la mancanza di un permesso di soggiorno ‘definitivo’ il cui rilascio richiede tempi tecnici abbastanza lunghi”. 

Dall’altro lato ci sono anche le migliaia di persone che attendono la risposta della cosiddetta “sanatoria Bellanova” del 2020, che senza il conto corrente rischiano di tornare nell’illegalità da cui stavano emergendo. 

Marcela Cruz, rappresentante della comunità latinoamericana di Roma, racconta che nella sua comunità ci sono 50 persone che non riescono ad aprire il conto e che eppure hanno il permesso provvisorio “C3” dal 2020. “Questo perché -conclude Cruz- per chi ha i figli la procedura per l’asilo è più veloce, per chi è single si arriva ad aspettare anche quattro anni. Queste persone devono ricevere lo stipendio in contanti che diventa un rischio per i datori di lavoro. Possono resistere di più se si tratta di badanti, ma se parliamo di lavori nella ristorazione, si trovano nella brutale situazione di doverli mandare via”. 

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