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Diritti / Opinioni

L’accanimento della destra sull’accoglienza dei richiedenti asilo

© Ron Dauphin - Unsplash

Come già avvenuto nel 2018, anche il Governo Meloni punta tutto sulla “gestione” prefettizia. Trasformando i migranti in “non persone”. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

Il cosiddetto “decreto Cutro” (legge 50/23) ha nuovamente smembrato il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) com’era già avvenuto con lo Sprar nel 2018 con il primo decreto sicurezza (113/2018). La norma prevede che i richiedenti asilo non vengano più presi in carico da un sistema di accoglienza incentrato su progetti territoriali dei Comuni, ma inviati -o meglio segregati- nei Centri di accoglienza straordinari (Cas). Un nome che già di per sé rappresenta un’offesa al linguaggio e alla logica: non si tratta infatti di strutture emergenziali, aperte in via temporanea per fare fronte a una situazione eccezionale e contingente, ma delle uniche strutture di accoglienza a regime. Rimane la possibilità di accoglienza nel sistema Sai solo dei richiedenti asilo che rientrano in situazioni di vulnerabilità specifiche (definite dall’articolo 17 del d.lgs 142/2015): coloro che “hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” nonché gli uomini, le donne e i bambini che hanno fatto ingresso in Italia a seguito di corridoi umanitari o di programmi di reinsediamento.

La prima previsione rende evidente la natura dei centri straordinari quali strutture i cui standard di servizio sono così bassi da non potere gestire situazioni vulnerabili; la seconda rappresenta solo un’odiosa misura discriminatoria tra i richiedenti asilo “colpevoli” di essere arrivati da soli nel nostro Paese e la manciata di coloro che invece hanno avuto accesso a un programma di ingresso protetto.

Lo smembramento del Sai è stato oggetto di poche analisi critiche e la modifica normativa è apparsa quasi alla stregua di una scelta tecnica. Così non è affatto, si è trattato infatti di una scelta squisitamente politica che investe non solo il sistema di accoglienza bensì l’intera società italiana: è necessario infatti chiedersi perché entrambi i governi italiani guidati da forze di destra ed estrema destra in pochi anni si siano accaniti per due volte sullo stesso obiettivo: riportare i richiedenti asilo nella diretta gestione prefettizia nonostante la gestione di tale servizio sociale (perché tale è l’accoglienza) dovrebbe essere di competenza degli enti locali, come lo è (nel rispetto degli articoli 117 e 118 della Costituzione) per qualsiasi altra funzione amministrativa, lasciando allo Stato solo le specifiche funzioni di programmazione del fabbisogno, il coordinamento generale ai fini di un’equa distribuzione e il potere sostitutivo in caso di inadempienza.

Per quale ragione, dunque, viene contrastata in modo così forsennato la cosiddetta “accoglienza diffusa” dei richiedenti asilo? Considerato anche che fu introdotta, seppur timidamente, fin dal 2002 e tutte le ricerche scientifiche sono state univoche nel riconoscere che si tratta di un modello che garantisce il rispetto dei diritti fondamentali, coesione sociale e sicurezza con costi quanto mai contenuti.

La risposta risiede proprio nel suo positivo funzionamento: la logica di fondo che ha permesso di dare vita allo Sprar (e poi al Sai), ben al di là dell’assai parziale implementazione di questo modello, si è dimostrata capace di generare ricadute positive in qualsiasi contesto: al Nord come al Sud del Paese, sia in grandi città sia in piccole aree urbane.

La logica della non ghettizzazione, dell’accoglienza nei contesti sociali ordinari, l’inserimento nel territorio, la spinta all’autonomia dei richiedenti e la loro condizione di libertà non rappresentano per l’attuale esecutivo dei valori da custodire, ma un pericolo da abbattere. I richiedenti asilo vanno dunque sottratti alla competenza dei servizi territoriali alla persona per essere inseriti in un circuito di segregazione e controllo per “non-persone”, come acutamente comprese già 19 anni fa il compianto sociologo Alessandro Dal Lago che nel 2004 ha dato alle stampe “Non persone” (Feltrinelli): saggio magistrale sulle strategie di esclusione dei migranti nella società globale.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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