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Diritti / Attualità

Respingimenti sulla rotta balcanica: l’inchiesta che smaschera la polizia croata e l’Ue

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Un team di giornalisti internazionali ha documentato a inizio ottobre le brutalità dei corpi speciali nei confronti delle persone in transito, migranti e richiedenti asilo, al confine tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina. “Il silenzio intollerabile dell’Europa in questi anni continua. Non è sufficiente preoccuparsi” denuncia Maddalena Avon del Centro studi per la pace di Zagabria

Le urla di dolore, il tonfo sordo dei manganelli, la corsa disperata e poi i segni della violenza sul corpo. Le immagini pubblicate da un gruppo giornalisti di diverse testate europee provano inequivocabilmente, e ancora una volta in questi cinque anni, la violenza dei respingimenti perpetrata nei confronti delle persone in transito, migranti e richiedenti asilo, al confine tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina. Non solo. 

Grazie all’alta risoluzione dei video pubblicati è stato possibile ricostruire che gli agenti coinvolti nelle operazioni appartengono a un corpo speciale della polizia croata, appositamente presente sul confine per respingere con brutalità le persone in transito in cerca di protezione in Unione europea. L’Italia è coinvolta: se le riammissioni al confine con la Slovenia sono ferme dal gennaio 2021, proprio nel periodo in cui vengono documentate le violenze sono stati intensificati i controlli di polizia sul territorio sloveno con la collaborazione delle autorità italiane.

L’inchiesta pubblicata il 6 ottobre 2021 da un team di giornalisti di ARD, Lighthouse Report, Novosti, RTL Croatia, Spiegel, SRF documenta 11 operazioni di respingimento avvenute tra il maggio e il settembre 2021 che hanno visto coinvolte 138 persone e 38 poliziotti croati. “I video pubblicati sono scioccanti così come le migliaia di testimonianze che sono state raccolte sulle le violenze e i respingimenti illegali perpetrati alla Croazia e altri membri dell’Unione europea negli ultimi cinque anni -spiega Maddalena Avon, attivista del Centro studi per la pace di Zagabria e membro del programma asilo e integrazione-. Finalmente si dimostra in maniera inequivocabile il trattamento inumano e degradante che le polizie di frontiera riservano ai rifugiati e alle persone migranti che bussano alle porte d’Europa per esercitare il loro diritto di chiedere asilo. Un diritto garantito dalle leggi nazionali, europee e internazionali”. 

Come detto, il video permette anche di individuare a quale corpo della polizia appartengano gli agenti coinvolti. Il fatto che non siano “semplici” agenti ma una vera e propria unità speciale dimostra come la sistematizzazione dei respingimenti, secondo i giornalisti autori dell’inchiesta, trovi il suo ordine direttamente dal ministero dell’Interno croato. 

La pubblicazione dei video dell’inchiesta arriva a breve distanza di tempo dalla sottoscrizione di un accordo tra il governo croato e la Commissione europea per l’implementazione di un meccanismo di monitoraggio dei diritti dei rifugiati e dei migranti. “Dall’accordo è chiaro che questo meccanismo non sarà né trasparente né indipendente e quindi estremamente inefficace -sottolinea Avon-. Sarà il ministero dell’Interno croato a controllare le eventuali violazioni perpetrate dal corpo di polizia”. Non solo. Il meccanismo è reso “del tutto inefficace” perché le visite di monitoraggio che saranno effettuate al di fuori delle stazioni di polizia e ai valichi di frontiera ufficiali “dovranno essere annunciate in anticipo dal corpo di monitoraggio”. Il 90% delle violazioni dei diritti umani avviene proprio in quei luoghi. “L’unico scopo della Commissione europea è che questo meccanismo esista esclusivamente sulla carta” spiega l’attivista. 

La stampa croata, nella giornata di ieri, non ha dedicato abbastanza spazio alla notizia dei respingimenti. Il giornale Jutarnji list riporta che le forze di polizia dichiarano di non conoscere l’identità dei poliziotti. 

Dunja Mijatović, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha invece definito “scioccanti” i video pubblicati da Lighthouse report. “Si aggiungono alla lunga serie di rapporti sull’inaccettabile normalizzazione dei respingimenti e della violenza contro i richiedenti asilo e i migranti. È ora che gli stati del Consiglio d’Europa indaghino efficacemente, agiscano, si obblighino a vicenda a rendere conto e a porre fine a queste gravi violazioni dei diritti umani”. 

Una forte presa di posizione che invece non è stata sufficientemente chiara da parte dell’Unione europea. La commissaria agli Affari interni Ylva Johansson si è dichiarata “estremamente preoccupata” per quanto emerso ma secondo Avon è stata una dichiarazione non abbastanza forte: “Preoccupata? Non basta. Il silenzio intollerabile dell’Europa in questi anni continua. Non è sufficiente preoccuparsi. È il momento di agire e pretendere l’assunzione delle responsabilità sia delle autorità europee, sia degli Stati membri”. Il ruolo dell’Unione europea è di primo piano. Sia per i finanziamenti destinati specificamente al controllo delle frontiere sia per aver implementato una politica nella gestione delle frontiere che esternalizza sempre di più i controlli e blocca gli accessi a qualunque costo. 

La rete Border violence monitoring network (BVMN) documenta mensilmente i respingimenti a catena che si verificano da Austria e Slovenia: solo nel mese di agosto 2021, quattro respingimenti a catena dal territorio sloveno a quello bosniaco che hanno coinvolto almeno 21 persone. Alcune sentenze cominciano a “svelare” il meccanismo, come abbiamo raccontato su Altreconomia. 

L’Italia non è esclusa da questo disegno di chiusura e militarizzazione delle frontiere. Se le riammissioni sul confine italo-sloveno sono “ferme” dal gennaio 2021, nel mese di luglio la polizia italiana ha firmato un accordo con la polizia slovena per intensificare i pattugliamenti misti al confine. L’esito di questa intesa, il cui contenuto integrale non è stato rivelato, potrebbe essere un più alto numero di persone intercettate sul territorio sloveno che poi vengono, a catena, rimandate prima in Croazia e poi in Bosnia ed Erzegovina. Nonostante questo rischio concreto, il sottosegretario del ministero dell’Interno Molteni, durante una recente visita a Trieste, ha dichiarato che “la politica deve decidere se tutelare le istanze dei territori oppure no” e che secondo lui “le riammissioni informali devono riprendere perché utili e necessarie per fermare il fenomeno migratorio”. Ora è noto, ancor di più, a quale costo umano.

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