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Diritti / Attualità

Porti non sicuri e quarantene al largo: il diritto alla salute non vale per chi arriva via mare

Lo staff dell'Organizzazione internazionale delle migrazioni al porto di Tripoli - © IOM, 2020

Il 7 aprile scorso il governo ha decretato di non assegnare un porto alle imbarcazioni straniere che abbiano salvato delle persone da un naufragio. Non si tratta della chiusura dei porti ma il provvedimento presenta numerose criticità e solleva seri dubbi sulla sua conformità alle Convenzioni internazionali. L’Asgi ne chiede la revoca: “La cultura dei diritti umani non può essere messa in discussione”

L’Italia non è più un porto sicuro. A sorpresa, lo scorso 7 aprile 2020, un decreto interministeriale siglato dai ministri delle Infrastrutture, dell’Interno, degli Affari esteri e della Salute ha stabilito che per l’intera durata dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19 i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di porto sicuro. Un provvedimento mai adottato prima che, nonostante un testo lacunoso che in alcune parti presenta forti dubbi di legittimità, rischia di diventare l’appiglio normativo per derogare di fatto ai principi costituzionali e internazionali sul salvataggio in mare, mettendo ulteriormente in pericolo le vite dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo.

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha pubblicato una nota in cui vengono approfonditi i possibili profili di illegittimità del decreto. “Tutte le Convenzioni europee e internazionali del diritto del mare -spiega l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente di Asgi- prevedono un obbligo assoluto di salvare le vite in mare. Come conseguenza di questo principio, viene stabilito che le persone vadano portate in un porto sicuro. Le normative, stabiliscono che la valutazione vada fatto caso per caso: abbiamo forti dubbi sulla legittimità di questo decreto che nel suo contenuto è unilaterale e generalizzato. Vengono dichiarati non sicuri tutti i porti italiani e per un periodo di tempo molto lungo”. Il testo del decreto prevede che l’Italia non possa assicurare i requisiti minimi e necessari per la classificazione come porto sicuro. Questo però solo per i casi di soccorso delle unità navali battenti bandiera straniera al di fuori della zona di ricerca e soccorso (SAR) italiana. Chi può o meno essere salvato viene di fatto individuato sulla base di circostanze del tutto casuali, come il luogo in cui è avvenuto il soccorso e la bandiera della nave che li ha tratti in salvo. “È un ulteriore profilo di dubbia costituzionalità -continua Trucco-. Per noi è incomprensibile che la tutela di un diritto dipenda da variabili casuali. Una differenziazione simile, che viola diversi principi internazionali e costituzionali è un chiaro messaggio alle Ong che operano nel Mediterraneo”.

Un elemento, quello dei destinatari del decreto, poco chiaro. Il successivo decreto del Capo dipartimento della Protezione civile, pubblicato il 12 aprile, stabilisce che si provveda “all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare per le quali non è possibile indicare un porto sicuro”. “Di fatto è una contraddizione rispetto a quanto stabilito precedentemente -precisa Trucco-. Il testo del 7 aprile è contraddittorio, lacunoso e presumibilmente anche illegittimo: non può e non deve essere l’appiglio per dichiarare che i porti sono chiusi”.

Nella nota Asgi esprime perplessità anche su quanto previsto rispetto alla messa in quarantena delle persone soccorse. Se il decreto del 12 aprile stabilisce per chi giunge in modo autonomo sulle nostre coste la possibilità di intraprendere i normali percorsi di accoglienza dopo la messa in quarantena in apposite strutture, per chi viene soccorso in mare da unità navali viene sancita una generica “possibilità di utilizzare navi per svolgere il periodo di sorveglianza sanitaria”. È quello che sta avvenendo per i 156 migranti soccorsi dalla Ong tedesca Alan Kurdi lo scorso 6 aprile. “Ritengo sia una dizione discutibile -aggiunge Trucco-. Nell’attuale situazione emergenziale viene specificato che sindaci e prefetti hanno ampliato i poteri di mettere a disposizioni aree sanitarie e strutture alberghiere per l’accoglienza. Non viene chiarito, nel caso di soccorso da parte di unità navali e messa in quarantena delle persone, come prosegue il percorso di accoglienza. Le misure di emergenza sanitaria non possono comportare deroghe all’accesso al sistema di accoglienza e alla possibilità di richiedere asilo. Inserire un potenziale vulnus nel nostro ordinamento è un’operazione pericolosa, perché si tratterebbe di un precedente molto rilevante e che potrebbe legittimare deroghe ben più gravi alla legalità costituzionale ed internazionale in futuro”.

Non si può ignorare il contesto in cui è stato preso questo provvedimento. Come in un triste duello a scacchi, le autorità di Tripoli hanno dichiarato la Libia porto non sicuro lo scorso 10 marzo. Così a inizio aprile 250 migranti sono rimasti sulla nave della cosiddetta “guardia costiera”, una volta intercettati in acque territoriali libiche, senza avere l’autorizzazione da parte delle autorità per poter sbarcare a terra. Negli ultimi giorni anche le autorità maltesi hanno mostrato un atteggiamento di chiusura nel fornire supporto e assistenza. Il 15 aprile la barca dispersa nel canale di Sicilia (ultimo rilevamento in zona SAR di Malta) da sei giorni è stata ritrovata in acque libiche. Cinque i cadaveri ritrovati, ma i superstiti parlano di altre sette persone morte. “Stiamo vivendo un periodo complesso e drammatico -conclude Trucco- ma ci sono capisaldi della cultura dei diritti umani che non possono essere messi in discussione. Dobbiamo tenerli a mente: il coraggio che la società civile italiana sta mostrando in questa situazione, penso alle strutture ospedaliere, deve essere mostrato anche di fronte alle situazioni drammatiche di chi scappa da guerre e violenze. Fa riflettere che la normativa emergenziale tuteli il diritto alla salute ma non per chi arriva via mare. Auspichiamo che il decreto venga presto revocato”.

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