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Perché l’iniziativa di Apple sulle parti di ricambio non garantisce il diritto alla riparazione

© Kilian Seiler - Unsplash

A partire dal 6 dicembre il marchio ha esteso a otto Paesi europei il proprio programma di auto-riparazione. Ma i costi elevati, la complessa strumentazione necessaria e lo stretto controllo che l’azienda esercita sulle componenti acquistate e sul loro utilizzo ne limitano l’efficacia. La denuncia della campagna Right to Repair

Nonostante i progressi della legislazione europea su smartphone ed elettronica si stiano dimostrando efficaci nel portare i produttori ad aprire a iniziative di riparazione dei dispositivi, Apple è ancora ben lontana dal garantire un vero e proprio “diritto alla riparazione”. Lo segnala Right to Repair, la campagna europea che promuove il diritto alla riparazione dei dispositivi elettronici, in una sua presa di posizione del dicembre 2022. Secondo la campagna, infatti, a partire dal 2025 l’Unione europea potrà richiedere ai produttori di smartphone, nell’ambito della sua politica sul design sostenibile, di mettere a disposizione di tecnici e professionisti indipendenti pezzi di ricambio, strumentazione oltre a informazioni e manuali. In parallelo Apple ha deciso allora di estendere all’Europa il suo programma di “self repair”. Già lanciata negli Stati Uniti ad aprile di quest’anno, l’iniziativa consente sulla carta agli utenti di accedere a componentistica, strumenti e materiali originali per poter effettuare interventi sui prodotti più recenti dell’azienda come gli iPhone 12 e 13. A partire dal 6 dicembre questo programma è stato esteso a otto Paesi in Europa: Belgio, Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Tuttavia secondo Right to Repair l’iniziativa dell’azienda sarebbe viziata da costi elevati e inutili complessità, rischiando quindi di rivelarsi più come una strategia promozionale piuttosto che un’apertura reale alle richieste di istituzioni e cittadini.

“In sostanza questa mossa di Apple mira a promuovere una visione della riparazione in cui il l’azienda mantiene quasi completamente il controllo sul prodotto, fissando prezzi elevati per i pezzi di ricambio, allontanando i consumatori dall’auto-riparazione e utilizzando un software per limitare l’uso di ricambi di terze parti e il riutilizzo dei pezzi ancora funzionanti. Questo è ben lontano dal diritto alla riparazione di cui abbiamo bisogno”, ha spiegato Ugo Vallauri, co-direttore di Restart project, iniziativa londinese che si batte per il diritto alla riparazione.

Secondo Repair il poter prolungare la vita dei propri dispositivi ed elettrodomestici invece che essere costretti a sostituirli consentirebbe non solo un risparmio per i consumatori ma porterebbe anche benefici dal punto di vista ambientale. Gli scarti elettronici e i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) costituiscono infatti il settore di rifiuti che sta crescendo maggiormente nel mondo e solo il 15%-20% in media viene riciclato. In totale ogni anno vengono prodotte 53 milioni di tonnellate di questi scarti, pari al peso di 350 navi da crociera. Tuttavia anche il riciclo non consente di recuperare integralmente le materie e l’energia utilizzata per la loro produzione. Prolungare la vita dei prodotti elettrici ed elettronici attraverso la riparazione è dunque il modo più efficiente per ridurre la loro impronta ambientale complessiva.

Ecco perché da questo punto di vista l’iniziativa lanciata da Apple si rivela inadeguata. “La buona notizia è che Apple si impegna a fornire alcuni pezzi di ricambio e strumenti e che i manuali sono online e disponibili per la libera consultazione. Siamo anche felici che i nostri vecchi pezzi di ricambio possano essere rispediti al fornitore dove si spera possano avere una seconda vita ed evitare la discarica -afferma Right to Repair-. Tuttavia sembra che ci sia un entusiasmo eccessivo ogni volta che Apple concede un minimo di riparazione”. Le critiche mosse all’iniziativa sono diverse, a partire dalla limitata gamma dei prodotti interessati. La disponibilità riguarda solamente gli ultimi modelli di iPhone e i MacBook. Come metro di paragone il modello di smartphone appena precedente, l’iPhone 11, è stato lanciato a settembre del 2019 e può ancora essere acquistato come nuovo in molti Paesi. Se l’Unione europea dovesse applicare una legislazione severa sul design sostenibile, arriverebbe a spingere i produttori a garantire informazioni su manutenzione e riparazione oltre all’accesso a pezzi di ricambio su un prodotto fino a sette anni dal suo ritiro dal mercato. Con questi criteri Apple dovrebbe garantire la riparazione dei propri smartphone fino all’iPhone 7. Per di più il programma ha attualmente una copertura geografica molto limitata e comprende solamente gli Stati Uniti e, come detto, otto Paesi in Europa.

Una seconda osservazione critica riguarda il costo elevati dei pezzi di ricambio che è paragonabile a quello di un rivenditore autorizzato. Ad esempio lo schermo di un iPhone 12 è venduto a 324 euro mentre la stessa sostituzione presso uno store ufficiale costa 339 euro. “Un’altra criticità è rappresentata dal prezzo degli strumenti: sebbene possano essere noleggiati per 59,95 euro per una settimana, i riparatori statunitensi ci hanno raccontato di aver ricevuto un addebito di 1.200 dollari sulla carta di credito fino alla restituzione del kit, con la minaccia di vederselo trattenere se non in regola -denuncia ancora la campagna Right to Repair -. Immaginiamo che l’importo sia simile per i clienti europei, il che lascia uno scarso incentivo finanziario a utilizzare questo programma, dato che le riparazioni in un negozio costano più o meno lo stesso, con un rischio molto minore”.

Il kit di strumenti proposto dall’azienda per poter riparare i dispositivi è stato oggetto di ulteriori critiche. La strumentazione sarebbe infatti corposa e ingombrante: anche solo per la sostituzione di uno schermo sarebbero necessarie due valigie dal peso complessivo di 38 chilogrammi. “I manuali sono scritti tenendo conto di questi strumenti anche se è difficile immaginare che la maggior parte dei riparatori fai-da-te voglia affrontare la spesa o il fastidio di acquistare tutta questa attrezzatura -ha sottolineato Elizabeth Chamberlain di iFixit, comunità di persone che si aiutano a vicenda nell’aggiustare dispositivi elettronici e no-. Il diritto alla riparazione che vogliamo è quello di prodotti progettati per essere facili da riparare utilizzando strumenti comunemente disponibili. Per fortuna già da un po’ di tempo i riparatori hanno dimostrato di essere in grado di riparare l’iPhone con una serie di strumenti più semplici”.

Infine Apple ha inserito nella sua iniziativa un ulteriore ostacolo alle iniziative indipendenti. Per richiedere nuovi componenti l’acquirente dovrà fornire un numero di serie che sarà collegato allo specifico iPhone da riparare, limitando così le possibilità di utilizzo dei pezzi di ricambio. Inoltre la nuova componente deve essere accoppiata o autorizzata da Apple tramite una “configurazione di sistema”. Questa strategia, denominata part-pairing, rende il lavoro dei tecnici indipendenti inutilmente lungo e complesso oltre a produrre rifiuti elettronici che si sarebbero potuti evitare. “La richiesta di accoppiamento dei componenti pone essenzialmente una data di scadenza sugli iPhone. Quando un tecnico indipendente riceve un telefono funzionante senza supporto per le parti, non avrà modo di ripristinare completamente un prodotto che necessita della sostituzione del display, anche se dispone di una componente originale Apple proveniente da un altro telefono”, conclude amaramente Chamberlain.

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