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The dark side of the cloud: perché un digitale ecologico è necessario

Ogni volta che spediamo un’email emettiamo CO2. Contro il consumismo (e il capitalismo) digitale, esce una guida imperdibile al consumo critico di tecnologie e ai comportamenti virtuosi verso persone e ambiente in campo tecnologico

Tratto da Altreconomia 248 — Maggio 2022
© Ismail Enes Ayhan, unsplash

“Digital is physical”, il digitale è fisico. È l’attacco della prefazione di Jerry McGovern -autore di “World wide waste. Come il digitale sta uccidendo il nostro Pianeta e che cosa possiamo farci”- alla nuovissima uscita di Altreconomia, “Ecologia digitale”, in stampa a fine aprile. Scrive l’autore irlandese: “Avevo l’abitudine di pensare che il digitale fosse sempre la scelta migliore per l’ambiente. Ero convinto fosse decisamente meglio mandare un’email che una lettera. Una lettera di carta emette circa 29 grammi di CO2 Un’email ne produce circa quattro. Avendone la possibilità, dovremmo quindi inviare email”. Ma, aggiunge McGovern “ogni anno spediamo circa 400 miliardi di lettere. Ogni giorno mandiamo circa 400 miliardi di email di cui la grande maggioranza è spam. E questo è il problema che sta al cuore del digitale: si tratta del più grande motore di consumo estremo e di sovra-produzione mai inventato”.

Il “digitale” non è affatto neutrale, né per le emissioni, né per lo sfruttamento delle risorse naturali, né tantomeno per la sua governance: oggi infatti è un “ecosistema”, in larga parte guidato dal profitto e governato dal capitale, con un pesante impatto sull’ambiente. Basti pensare all’obsolescenza programmata, all’inquinamento da e-waste, alla CO2 prodotta dai data center e allo sfruttamento postcoloniale delle risorse naturali come le terre rare.

Non solo: il mercato digitale globale è dominato dai famigerati “Gafam”, un manipolo di multinazionali che fondano la propria prosperità su monopolio, “capitalismo della sorveglianza”, profilazione ossessiva e -non ultime- furberie fiscali. C’è ancora di più: il world wide web che si sperava fosse l’alba di una nuova democrazia, di infinita libertà e tecnologie open source ha in realtà generato un nuovo “capitalismo digitale”, con strutture “chiuse” e proprietarie, nuove disuguaglianze, forme pervasive di controllo e sfruttamento. Come nel caso del lavoro governato dagli algoritmi delle piattaforme, fino alle tante forme di digital divide, tra Nord e Sud del mondo, centro e periferie, ricchi e poveri.

Questo libro -nato grazie ai soci di Altreconomia con un lavoro di straordinario afflato collettivo- spiega con interventi autorevoli e un linguaggio comprensibile a tutti come e perché una “transizione digitale” si deve invece prefiggere obiettivi di giustizia sociale e ambientale e racconta le alternative sostenibili. È una vera e propria guida al “consumo critico” di tecnologie che mette in guardia dal peso carbonico dei rifiuti elettronici, dei data center e degli shop online, dalle sirene dei giganti del web (e dalla monetizzazione del nostro tempo), dalle contraddizioni della gig economy e dall’ambiguità nel rapporto tra piattaforme digitali e politica.

Ma soprattutto spiega perché un altro digitale e possibile: perché i social network si possono trasformare in reti sociali, come progettare soluzioni web a basso impatto, promuovere il diritto alla riparazione dei nostri device, considerare i “dati” dei beni comuni, diventare attivisti digitali. Con interventi di grande spessore tra cui l’invito di Stefano Trumpy (Internet society Italia) a tornare a ragionare su un Internet bill of rights, e contributi di Carlo Guibitosa, Francesco Cara, Giuseppe Palazzo ai quali questo libro deve molto. Conclude McGovern: “Nel gennaio 2022, ho chiesto a 550 designer, sviluppatori e content creator […] che cosa si deve fare per rendere il digitale più sostenibile”. Per ripartire dalla progettazione e dall’intenzionalità. Ecco alcune risposte paradigmatiche: “Offrire soluzioni a bisogni profondi, non a desideri superficiali”, “promuovere il pensiero a lungo termine”, “usare il design per ridurre il consumo, modificando i comportamenti di iper-consumo”, “calcolare i costi reali e complessivi, e cioè il costo per l’ecosistema”, “ascoltare le voci di chi subisce direttamente le conseguenze del prodotto, servizio o processo”. Una pioggia di like, fosse anche solo con il pensiero.

“Ecologia digitale. Per una tecnologia al servizio di persone, società e ambiente”. AA.VV., 160 pagine, 15 euro (Altreconomia). In libreria, botteghe del commercio equo e altreconomia.it


Quelle sporche frontiere che imprigionano tutti noi

I migranti forzati nel mondo sono oltre 100 milioni: uomini e donne che sono in fuga da povertà, guerra, violenze, oppure semplicemente in cerca d’una vita migliore. “Respinti” racconta le loro storie: quella di Madina, bambina afghana, del giovane curdo Abdul o di Awira, donna siriana: tutti loro sono “respinti”, ovvero persone che la ricca Europa “democratica” -Italia compresa- ha lasciato all’esterno dei propri confini e della storia stessa, chiudendo gli occhi e le frontiere, delegando ai Paesi terzi (Turchia e Libia in primis), il “lavoro sporco”, rinnegando i diritti umani, disseminando le diverse rotte via terra e via mare di terribili ostacoli.

Questo libro è un’ampia inchiesta che segue la rotta balcanica, in Bosnia ed Erzegovina, Bielorussia e Polonia e quella mediterranea, tra Niger, Sahel e Libia, senza dimenticare gli altri confini, come le Canarie, la Manica e i nostri stessi “confini interni”. Duccio Facchini e Luca Rondi non si limitano a spiegare il significato di parole cupe, come “respingimenti”, “riammissioni”, “confinamenti”, ma ricostruiscono con pazienza -dati alla mano e grande attenzione alle storie umane- i tasselli della strategia che i Paesi e le istituzioni Ue hanno adottato, spesso nel silenzio dei media, per difendere le proprie “sporche frontiere” di mare e di terra.

Un racconto a tinte forti che comprende la reiterata e patente negazione del diritto di asilo, la vergogna dei campi di confinamento, una violenza diffusa, costantemente praticata nei confronti di persone inermi, costrette a vivere in uno stato sospeso e in condizioni inumane, a rischiare la vita nelle traversate, tra le dune, le onde, i boschi, la corrente dei fiumi e il filo spinato. Una denuncia ad alta voce, come era stato per “Alla deriva” (2018), delle ipocrisie dei governi e delle istituzioni europee, che sono stati pronti ad accogliere -giustamente- gli ucraini, ma applicando un odioso “due pesi e due misure”. E anche una nota di speranza che traspare dalle storie dei “solidali” singoli e organizzati e dall’impegno costante delle Ong.

Con la prefazione di Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione che spiega le strategie che l’Unione europea ha messo in atto a partire dal 2015 ad oggi per comprimere de facto in modo illegittimo il diritto d’asilo; e i preziosi testi e testimonianze di Caterina Bove, Anna Brambilla, Riccardo Gatti, Maurizio Veglio, Cristina Molfetta.

“Respinti. Le ‘sporche frontiere’ d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo” di Duccio Facchini e Luca Rondi, 192 pagine, 16,00 euro (Altreconomia). In libreria, nelle botteghe del Commercio Equo e Solidale e su altreconomia.it

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