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Diritti / Opinioni

Il “patriarcato 4.0” che sta dietro alla “rivoluzione digitale”

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L’attivista femminista Lilia Giugni propone riforme radicali nell’ambito delle Big Tech. E invoca l’utilizzo del muscolo dell’utopia. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 254 — Dicembre 2022

Lilia Giugni, ricercatrice e docente nelle Università di Cambridge e Bristol, ha riservato il capitolo finale del suo libro “La rete non ci salverà. Perché la rivoluzione digitale è sessista (e come resistere)” al tema dell’utopia. Il libro, edito da Longanesi, offre una documentata e coraggiosa denuncia delle molte forme di violenza, oppressione, sfruttamento e discriminazione inflitte nell’economia digitale a donne di varia età, posizione sociale e professionale, origine nazionale. L’autrice sostiene che il capitalismo delle piattaforme e degli algoritmi è all’origine di un “patriarcato 4.0” tanto più pericoloso in quanto subdolo e poco riconosciuto.

Le donne sono aggredite, usate, umiliate, escluse lungo tutto la filiera: dalle miniere congolesi di coltan fino ai dorati uffici delle Big Tech passando per i servizi di filtraggio dei materiali immessi dagli utenti nei social network (stupri e violenze contro le donne sono i più presenti e vanno prima visionati e quindi rimossi). Gli stessi algoritmi sono sessisti e il femminicidio -cioè la violenza contro le donne nelle sue varie sfumature- ha una precisa declinazione digitale.

Ebbene, dopo una serrata analisi delle promesse mancate della “nuova economia della virtualità” e delle concretissime sofferenze patite da milioni di donne, Lilia Giugni, da brava attivista femminista, come si autodefinisce, si impegna a immaginare modi, strumenti e obiettivi di un’azione forte per il cambiamento. Un intervento che dev’essere collettivo, quindi politico. Qui entra in gioco la sua “difesa dell’utopia”, cioè la capacità di immaginare un ordine delle cose profondamente diverso dal presente, qualcosa di inedito e in qualche modo visionario. 

Giugni, esemplificando, ipotizza “riforme” radicali quali l’accesso a internet come diritto umano, con tutto ciò che ne consegue in termini di infrastrutture, formazione, diffusione capillare di strumenti tecnologici adeguati; i dati personali come bene comune, fuori da ogni logica di mercato e di profitto; l’istituzione di un reddito di cittadinanza universale, in modo da garantire i diritti sociali di base a tutte le persone. Potremmo aggiungere, di visione in visione, l’istituzione di una gestione pubblica e trasparente della stessa rete internet e la creazione di social network non commerciali, con regole restrittive per quelli privati. E così via.

La quota di posizioni lavorative in ambito informatico negli Stati Uniti occupate da donne afroamericane è del 3%. Le asiatiche sono il 6% mentre le latinoamericane meno del 2%.

Perché niente di tutto ciò è all’ordine del giorno e anzi è relegato nella categoria del non pensabile, addirittura più che in quella del non (ancora) pensato? Perché, risponde Giugni, la funzione mentale dell’utopia, che è stata nella storia un potente motore di trasformazione sociale e politica, è come un muscolo: se manca l’esercizio, si perdono forza e flessibilità, si atrofizza cioè la capacità di immaginare il nuovo.

Nel tempo -il nostro- delle guerre infinite e delle emergenze globali, mentre l’opinione pubblica è dominata dalla sfiducia e dallo scetticismo, il muscolo dell’utopia è un organo vitale per la società e per il futuro collettivo, quanto il cuore che fa circolare il sangue per un organismo animale. Verrebbe da dire: utopisti di tutto il mondo, muovetevi, unitevi, agite. Forse è solo uno slogan, nemmeno troppo originale, e non è chiaro in che modo tale passaggio possa realizzarsi, ma è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. E non solo per contrastare e superare il ferale “patriarcato 4.0”.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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