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Ambiente / Attualità

Gli oligopolisti del settore sementiero e il potere dei consumatori

© Jaanus Jagomägi - Unsplash

Per capire chi controlla il nostro cibo bisogna partire dai fatturati degli attori delle filiere: svelano i rapporti di forza dal seme al piatto. La rubrica di Riccardo Bocci di Rete Semi Rurali

Tratto da Altreconomia 224 — Marzo 2020

“Libero mercato” è un concetto che troppo spesso viene venduto come l’essenza delle nostre società capitalistiche, un dogma ripetuto così tanto che, involontariamente, finiamo per crederci anche noi. In realtà l’agricoltura, e in particolare il settore sementiero, è un terreno di battaglia tra le grandi imprese che negli ultimi anni ha visto tanti consolidamenti e acquisizioni da diventare un oligopolio sempre più concentrato nelle mani di pochi. Il rapporto “Blocking the chain”, prodotto dalla Ong canadese ETC group nel 2018, ci racconta che le prime cinque ditte sementiere a livello mondiale detengono il 70,4% del mercato, ripartito tra BayerMonsanto (Germania, 33%), ChemChinaSyngenta (Cina, 7,4%), Limagrain (Francia, 4,8%), Corteva Agriscience (USA, 21,3%) e KWS (Germania, 3,9%). Questi dati trovano conferma anche nel settore dei prodotti chimici dove le prime cinque controllano il 74,7% del mercato, dominato da ChemChina (23,5%) e Bayer (22,9%), seguite a distanza da BASF (Germania, 12,4%), Corteva (11,3%) e FMC (USA).

In pratica gli agricoltori si trovano a valle della produzione un sistema quasi monopolistico che riduce le opzioni disponibili per loro sul mercato. Infatti a questi conglomerati multinazionali conviene produrre poche varietà da vendere in tutto il mondo, ammortizzando così i costi di ricerca e sviluppo. Questa operazione avrebbe un limite fisico dovuto alla diversità degli ambienti in cui le varietà andrebbero poi coltivate, ma il problema si risolve rendendo omogenei tutti gli ambienti di coltivazione grazie all’uso dei prodotti chimici. Il pacchetto tecnologico (semi più chimica) è così pronto per diffondersi a livello planetario, uniformando tutti i sistemi agricoli a un minimo comune denominatore: l’agricoltura monocolturale ad alta intensità di capitale e bassi livelli di manodopera.

70,4% la percentuale di mercato detenuta dalle prime cinque ditte sementiere a livello mondiale nel 2018. Sono la BayerMonsanto, ChemChinaSyngenta, Limagrain, Corteva Agriscience e KWS (Fonte: Etc group)

Se poi ci spostiamo lungo la filiera per arrivare verso i consumatori scopriamo che il commercio delle principali materie prime agricole vede le prime quattro multinazionali controllare il 75% del mercato globale, le prime dieci il 28% nel caso dell’industria di trasformazione per finire alla grande distribuzione dove le prime dieci detengono il 10,5%. Volendo descrivere la filiera agricola ci dobbiamo immaginare una grande tenaglia con al centro l’agricoltore stritolato a valle e a monte della produzione. Non a caso Jan van Der Ploeg, sociologo rurale olandese, indica come unica strategia di sopravvivenza possibile per gli agricoltori quella di scollegarsi da questi mercati mondiali sia in relazione alla fornitura dei mezzi di produzione sia al mercato dei prodotti. L’obiettivo è rinforzare la loro autonomia e costruire nuove relazioni con gli attori delle filiere locali a partire dai consumatori.

Per capire chi controlla il nostro cibo bisogna partire dai dati del fatturato annuo degli attori delle filiere, svelando i rapporti di forza delle multinazionali nel percorso dal seme al piatto. Il settore sementiero vale 35 miliardi di dollari, l’industria di trasformazione circa 1.400, mentre la vendita al dettaglio (o meglio la grande distribuzione organizzata) circa 7.200 miliardi. È evidente che il potere su noi consumatori è detenuto dall’ultimo anello della filiera che con le sue scelte disegna il paesaggio del nostro sistema agroalimentare. Se a questo punto della lettura vi è venuto un certo senso di asfissia e di nausea non vi preoccupate, è segno che siete ancora sani e che il germe del cambiamento si sta diffondendo nelle nostre società.

Riccardo Bocci è agronomo. Dal 2014 è direttore tecnico della Rete Semi Rurali, rete di associazioni attive nella gestione dinamica della biodiversità agricola.

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