Diritti / Approfondimento
Nel mondo le vite dei difensori dei sex worker sono a rischio
Gli attivisti per i lavoratori del sesso sono minacciati, aggrediti e detenuti in modo arbitrario, denuncia l’organizzazione Front Line Defenders. Trecento interviste ricostruiscono la situazione in Tanzania, Myanmar, El Salvador e Kirghizistan, peggiorata dalla pandemia da Covid-19
Le persone che tutelano i diritti dei sex worker subiscono aggressioni fisiche e verbali, intimidazioni e detenzioni arbitrarie a causa del loro attivismo. Tra i difensori dei diritti umani, sono una delle categorie più a rischio nel mondo. La denuncia viene dall’organizzazione Front Line Defenders ed è contenuta nel rapporto “Sex worker rights defenders at risk”, pubblicato ad agosto: l’indagine -condotta dal 2017 al 2020 in dodici Paesi, con una particolare attenzione rivolta a Tanzania, Myanmar, El Salvador e Kirghizistan, attraverso più di 300 interviste- si concentra sulle sistematiche violenze vissute dagli attivisti e dai lavoratori del sesso, sulle loro attività e su quali strumenti possono supportarle.
“I difensori di chi si prostituisce corrono gravi rischi personali per proteggere i diritti delle loro comunità e garantire a chi ne è membro di accedere alla giustizia, all’assistenza sanitaria, a un alloggio e al cibo”, afferma nel report Erin Kilbride, coordinatrice e co-autrice della ricerca. Aiutano a ottenere cure mediche, svolgono attività di formazione sui diritti umani e per chi decide di trovare un lavoro diverso dalla prostituzione. Sono riusciti a sviluppare significative capacità organizzative, anche grazie ad esperienze personali che consentono loro di avere accesso a luoghi altrimenti difficilmente raggiungibili, tali da renderli una comunità reattiva e creativa e non, sostengono gli autori dell’indagine, “una popolazione di vittime”.
In tutti i Paesi dove è stata condotta la ricerca, gli attivisti creano reti comunitarie e difendono il diritto di riunirsi dei sex worker. “Incontrarsi, anche in forma privata, è un atto radicale, di resistenza, e pericoloso per i difensori le cui identità sono criminalizzate”, si legge nel rapporto. Intervengono di fronte alle situazioni di emergenza che hanno luogo nelle stazioni di polizia. In Myanmar, per esempio, le prostitute arrestate sono costrette ad aspettare diversi giorni prima di potere contattare familiari o amici, una condizione pericolosa in particolare per le persone transgender costrette in celle che non corrispondono alla loro identità di genere. Gli agenti, inoltre, minacciano di allungare i periodi di detenzione se chiamano i propri avvocati. Per prevenire ritorsioni e aggressioni, l’associazione locale Ama conduce controlli frequenti nelle stazioni di polizia e ha aperto una linea telefonica che consente alle famiglie di segnalare una scomparsa, evitando che siano i detenuti a doverlo fare. In Kirghizistan l’associazione Tais Plus organizza visite nelle stazioni di polizia e documenta le condizioni fisiche di chi è stato arrestato, provvedendo alle cure mediche e all’assistenza legale.
È a causa delle loro attività in supporto della comunità che i difensori “devono fare fronte alle minacce della polizia, violenza domestica, criminalizzazione e condizioni di povertà strutturale”, prosegue Erin Kilbride. La pandemia da Covid-19 ha peggiorato la situazione. Gli attivisti intervistati raccontano di essere stati molestati, minacciati, violentati, diffamati e arrestati. Sono oggetto di “persecuzioni mirate” ma non riconosciute pubblicamente come tali: i difensori spesso sono loro stessi lavoratori del sesso e, secondo gli autori del rapporto, la poca legittimità di per sé assegnata alla professione dei sex worker, unita alla loro marginalizzazione, fa sì che non siano identificati come difensori dei diritti umani né inclusi in specifici meccanismi di protezione.
Sono i difensori ad articolare proposte per incentivare strumenti e strategie volte a rafforzare il loro lavoro e a tutelare gli operatori del sesso. Sottolineano la necessità di riconoscere di essere attaccati in quanto attivisti per accedere a specifici strumenti giuridici e meccanismi di protezione. Mettono in evidenza il bisogno di applicare provvedimenti legislativi che sospendano gli arresti nei confronti di chi compie interventi di assistenza sanitaria e formazione. In riferimento all’operato della polizia, chiedono alle autorità pubbliche di controllare che sia applicato in modo rigoroso il divieto di tortura e violenza sessuale sui detenuti, minacce utilizzate per costringere i difensori a fornire atti sessuali in cambio della liberazione dei sex worker. Infine ritengono opportuno che gli Stati avviino indagini indipendenti sui trattamenti inumani e degradanti subiti da attivisti e lavoratori del sesso, garantendo che le loro identità rimangano riservate per impedire ritorsioni.
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