Diritti / Attualità
Una mappa interattiva per far luce sui luoghi di detenzione dei migranti
Dai nove centri per il rimpatrio in Italia, come Ponte Galeria o Gradisca d’Isonzo, agli altrettanti poli di detenzione preventiva in Grecia: la piattaforma Landscapes of Border Control raccoglie, aggiornandoli, materiali sui luoghi di detenzione per migranti e racconta gli effetti e le conseguenze delle politiche di controllo dei confini in tutto il mondo. Un progetto ideato da ricercatori del Centro di criminologia dell’Università di Oxford
“Lì dentro ci sono delle gabbie dove succedono delle cose terribili. Non so se riesco a raccontare tutto quello che ho vissuto lì”. Malik, cittadino senegalese in Italia da trent’anni, descrive così il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Bari Palese, in Puglia, dove ha passato tre mesi nel 2018. Si definisce una “vittima” del sistema di detenzione per i migranti. Una misura istituita nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, il Testo unico sull’immigrazione, e che prevede il trasferimento in strutture specifiche di migranti senza regolari documenti che non possono essere immediatamente rimpatriati.
Quando gli è stato revocato il permesso di soggiorno, Malik lavorava come venditore ambulante nei mercati di diverse città nelle Marche con una regolare licenza. Da un giorno all’altro, racconta, viene trasferito al Cpr di Bari: “Avrei preferito stare sei mesi in carcere invece che una sola settimana dentro al centro”.
La sua storia è stata raccolta dal progetto Melting Pot Europa e Borders of Borders e si può trovare oggi, insieme a quella di altri Cpr e altri detenuti, su Landscapes of Border Control, una mappa interattiva in continuo aggiornamento che raccoglie materiali e testimonianze sui luoghi di detenzione per migranti. Si tratta di un progetto collaborativo, ideato da Border Criminologies, una rete di ricercatori e operatori del settore che fa parte del Centro di criminologia dell’Università di Oxford e studia gli effetti e le conseguenze delle politiche di controllo dei confini in tutto il mondo. La piattaforma è stata progettata per offrire a Ong, gruppi di solidarietà, (ex) detenuti uno strumento per comunicare le loro esperienze e diffondere ad un pubblico più ampio e globale le informazioni sulle condizioni all’interno dei centri.
Il progetto è nato da un’idea di Andriani Fili, ricercatrice greca, che per molti anni ha fatto ricerche sulla detenzione in Grecia. Nel portare avanti il suo lavoro aveva riscontrato molte difficoltà a trovare informazioni affidabili sul sistema di detenzione nei media tradizionali. La conseguenza principale di questa carenza era la mancanza di un dibattito pubblico informato sul tema. “Crediamo che questo sia un buon momento per promuovere maggiore trasparenza su ciò che accade dentro i centri e per diffondere anche tutte le conoscenze acquisite finora”, spiegano ad Altreconomia Francesca Esposito, ricercatrice per il centro di Oxford, e Mary Bosworth, coordinatrice del progetto e direttrice di Border Criminologies.
I primi materiali raccolti vengono dall’Italia e dalla Grecia, Paesi considerati chiave per la sicurezza delle frontiere europee. “I centri in Grecia sembrano essere più sovraffollati di quelli italiani -continua Esposito- e con condizioni di vita peggiori. Ma anche in Italia sono ampiamente segnalate mancanza di igiene, cibo di scarsa qualità, mancanza di assistenza sanitaria e di assistenza legale”. Tra le prime prove raccolte emergono, per entrambi i paesi, la detenzione di minori non accompagnati e di altri gruppi vulnerabili come donne vittime di violenza sessuale e, in particolare, della tratta di esseri umani. Sono presenti anche persone con gravi problemi di salute mentale, richiedenti asilo che sono stati vittime di tortura nei loro paesi di origine o in quelli di transito.
In Grecia i centri sono gestiti dalla polizia: “Questo significa che non c’è quasi nessun supporto psico-sociale per i detenuti. Un problema che aggrava la mancanza di supporto legale e di assistenza medica -spiega la ricercatrice-. Nel complesso, comunque, dalla piattaforma emergono diverse forme di abusi e violazioni dei diritti umani sia in Grecia che in Italia”. La bassa qualità dei servizi italiani si deve spesso alle spese molto basse sostenute dalle organizzazioni del terzo settore che gestiscono i centri. Conseguenza della logica alla base delle gare d’appalto che premiano l’offerta economicamente più vantaggiosa per assegnare la gestione dei centri. La relazione al Parlamento del 2019 del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, presieduto da Mauro Palma, riporta le segnalazioni di diversi osservatori del Terzo settore che sottolineano come “una maggiore concorrenza fra soggetti interessati alla gestione dei Centri e una conseguente corsa all’abbassamento dei costi abbia ridotto notevolmente la qualità dei servizi erogati (dal servizio mensa a quello sanitario fino a quello di assistenza psicologica) e abbia pregiudicato il pieno rispetto dei diritti delle persone”.
Sulla mappa si possono trovare tutti i centri presenti sul territorio italiano e greco. Sono nove i Cpr in Italia e otto i centri di detenzione preventiva in Grecia. Ad Atene è segnalata, inoltre, la struttura di detenzione speciale dell’aeroporto, pensata per fornire breve permanenza a chi cerca di entrare senza documenti legali in Grecia, prima di essere trasferito in altri centri. Per ognuno dei punti sulla mappa sono disponibili le informazioni generali sul centro e altri materiali di approfondimento, come relazioni delle organizzazioni per i diritti umani, immagini, video e audio. Le storie raccolte descrivono le condizioni degradanti di vita all’interno delle strutture, raccontano episodi di violenza e di privazione dei diritti. Ma vogliono anche dare voce alle lotte di coloro che vivono all’interno e sono colpiti dalle misure detentive.
L’obiettivo è denunciare “l’allarmante aumento dei centri di detenzione in tutto il mondo” come politica di difesa dei confini, soprattutto in Grecia e in Italia. Un problema sottolineato anche nella relazione del 2019 dal Garante Nazionale dei diritti dei detenuti, secondo il quale la detenzione amministrativa italiana non rispetta l’orientamento consolidato del diritto internazionale che limita la sua applicazione a misura d’eccezione. Viene utilizzata invece “quale principale strumento finalizzato all’espulsione degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio, al punto che da eccezione tende a trasformarsi in regola”. Inoltre il decreto Salvini, poi convertito in legge 132/2018, ha eliminato la protezione umanitaria potenzialmente aumentando il numero di persone senza permesso e quindi detenibile.
A Macomer, in Sardegna, ora ha aperto un nuovo centro, mentre a dicembre è stato riaperto quello di Gradisca d’Isonzo, in Friuli Venezia Giulia. Qui, il 18 gennaio Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano, è morto a causa di un edema polmonare, del quale le indagini devono ancora stabilire la causa. Il secondo decesso del 2020 dopo la morte di un ragazzo tunisino avvenuta a Caltanissetta pochi giorni prima. Risalgono ai primi giorni del 2020 le proteste dei migranti al Cpr di Torino che -secondo quanto riportato in una lettera al prefetto da parte di alcune organizzazioni- hanno reso la struttura inagibile. Per tutto l’ultimo fine settimana di gennaio gli attivisti di numerose associazioni piemontesi hanno portato avanti una protesta contro le condizioni in cui vivono le persone all’interno del centro.
“Noi pensiamo che la soluzione definitiva sia chiudere i Cpr – afferma Francesca Esposito. La pratica di trattenere persone per questioni legate all’immigrazione è molto recente, ma non è necessaria. Si tratta piuttosto di una scelta politica, di cui sono sempre più chiari i danni e l’inefficacia, oltre che i costi finanziari”. Sono già molte le Ong che hanno collaborato con Border Criminologies. Tra le organizzazioni italiane ci sono l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), Befree Cooperativa sociale contro la tratta, violenza e discriminazioni, LasciateCIEntrare, Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), Antigone, Sant’Egidio, A Buon Diritto. Ma il progetto è solo all’inizio, conclude Esposito: “Ci auguriamo che Ong, esponenti del mondo accademico e cittadini di tutto il mondo entrino a far parte del progetto. Vogliamo ampliare la nostra copertura il più presto possibile”.
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