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Diritti / Inchiesta

L’Unione europea finanzia un nuovo centro di detenzione a Lipa, in Bosnia ed Erzegovina

Il centro di detenzione verrà costruito a Lipa al posto del campo da calcio situato all'ingresso (arrivando da Bihać) del centro

A pochi chilometri dal confine croato è sorta una nuova struttura di detenzione amministrativa per “facilitare” i rimpatri dei migranti che transitano lungo questo snodo di rotta balcanica. Per il commissario europeo Várhelyi, sostenitore del nuovo progetto, si tratterebbe di “falsi richiedenti asilo”. Cade il velo sul vero scopo di Lipa

L’Unione europea ha finanziato un nuovo centro di detenzione nel campo di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina. A pochi chilometri dal confine con la Croazia, la nuova struttura è stata costruita per facilitare i rimpatri dei migranti che transitano lungo questo pezzo di rotta balcanica. La conferma arriva ad Altreconomia dal portavoce della delegazione Ue in Bosnia, Ferdinand Koenig. La costruzione dell’eufemisticamente definito “Temporary retention facility”, spiega Koenig, si sarebbe resa necessaria perché la struttura di detenzione amministrativa più vicina a Lipa è a Sarajevo Est, in località Lukavica, a 300 chilometri di distanza. Troppi per l’obiettivo europeo di bloccare i “falsi richiedenti asilo” -come li ha definiti il commissario europeo per il vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a fine novembre 2022– al confine con la Croazia e poi organizzare rapidi rimpatri verso i Paesi d’origine.

Arrivando da Bihać, la città più vicina a Lipa, la nuova struttura è stata costruita all’inizio del centro al posto del campetto di pallone. L’ufficio della delegazione Ue in Bosnia sottolinea come “l’unità di detenzione” sia separata dal centro da un “corridoio sicuro e da un ingresso indipendente” e la costruzione sia stata “agevolata” dal Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (Icmpd), un’organizzazione fondata nel 1993 su iniziativa di Austria e Svizzera e che opera in oltre 90 Paesi ed è molto attiva sul tema delle gestione delle frontiere (l’avevamo già “incontrata” in progetti riguardanti la guardia costiera tunisina). Questa avrebbe provveduto ad appaltare i lavori di costruzione della struttura. Non è dato sapere quale sia l’azienda né l’importo totale della costruzione: l’Icmpd ha riferito infatti ad Altreconomia che queste informazioni sono riservate. “Al termine dei lavori -risponde l’Icmpd- la gestione del centro sarà affidata al Servizio per gli affari degli stranieri (Sfa) del ministero della Sicurezza bosniaco”. Una gestione che prevede “uno staff dedicato e procedure operative standard chiare in linea con le norme internazionali in materia di migrazione” e che prevede un periodo di detenzione di “massimo 72 ore” prima del trasferimento al centro di Lukavica.

Il campo di Lipa, in Bosnia ed Erzegovina, coperto di neve a inizio febbraio 2023

Così il “centro multiuso” di Lipa, costruito sulle macerie di quello andato a fuoco nel dicembre 2020, svela il suo “vero” obiettivo: confinare, arrivando anche alla detenzione, per poi respingere. Come già raccontato dalla rete RiVolti ai Balcani nel report “Lipa, il campo dove fallisce l’Europa”, pubblicato nel dicembre 2021, il centro è distante due chilometri dalla strada statale asfaltata e a 24 chilometri da Bihać e da servizi essenziali come ospedali, poste, scuole, stazioni, supermarket o altre infrastrutture: un “confinamento di fatto” rispetto a cui il nuovo step della detenzione amministrativa è una finalità che secondo Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano per i rifugiati (Ics) di Trieste è “solo apparentemente contrastante con le finalità iniziali ma in realtà già occultate nella iniziale indeterminatezza giuridica con cui il campo è sorto e si è sviluppato”. Non è nota la capienza di questa nuova struttura, si sa però che il Centro di Lipa, all’8 febbraio di quest’anno, “ospitava” appena 128 persone su una capacità di 1.500 (uomini, donne e minori). Ma l’aumento delle persone transitate lungo la “rotta balcanica” nel 2022 ha allarmato, nuovamente, le istituzioni europee. 

Il commissario Várhelyi a fine novembre 2022 ha dichiarato appunto che “i falsi  richiedenti asilo devono essere detenuti fino al loro ritorno nei Paesi d’origine” annunciando “un nuovo progetto pilota da 500mila euro con la Bosnia ed Erzegovina”. In questo quadro gioca un ruolo fondamentale anche l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), in primo piano anche a Lipa. La capo missione nel Paese e coordinatrice dell’area dei Balcani occidentali, Laura Lungarotti, ha scritto ad Altreconomia che l’Oim non è coinvolta né nella gestione né nella costruzione della struttura di detenzione “vista la (nostra) politica di ricerca di alternativa alla detenzione amministrativa” e che la parola detenzione “è stata erroneamente messa nello stesso annuncio”, riferendosi al comunicato stampa in cui Várhelyi presentava il progetto. L’organo delle Nazioni Unite si occupa invece di tutto ciò che riguarda i rimpatri volontari assistiti. Anche con riferimento al centro multiuso di Lipa, Lungarotti ha detto che Oim starebbe “devolvendo sempre più responsabilità al Servizio stranieri”. Pur senza essere coinvolta in primo piano rispetto alla nuova struttura e ai rimpatri forzati, l’Organizzazione assiste però lo Sfa nelle procedure di rimpatrio forzato. “Sarà effettuato un counselling continuo prima della partenza -le parole di Lungarotti- nel qual caso volessero poter rientrare volontariamente e anche altro supporto di salvaguardia dei diritti umani nel corso di tutto il processo”. Il diritto d’asilo in Bosnia ed Erzegovina, però, dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), è un ologramma. Nel 2022 sono state registrate appena 149 richieste d’asilo, con 12 riconoscimenti di protezione con un tempo medio di analisi delle domande di 306 giorni. Quasi un anno, con scarsissime possibilità di ottenere una regolarizzazione: un elemento ormai consolidato. 

La costruzione di un centro di detenzione nasce come secondo tassello della strategia europea per “delegare” le espulsioni a Paesi terzi. Il primo passo è stata l’implementazione di accordi con i Paesi d’origine verso cui “rimandare” le persone. Caso di scuola è il Pakistan. Il 31 luglio 2022, con grande enfasi mediatica, un volo di linea con a bordo due persone residenti sul territorio bosniaco senza regolare permesso di soggiorno è atterrato a Islamabad. È stata la prima operazione di espulsione a seguito della firma di un’intesa con il governo pakistano del 23 luglio 2021, sempre su “mandato” delle istituzioni europee. “Di fatto è stata posta come prerequisito al Paese balcanico per entrare nell’Ue la sottoscrizione di accordi con Paesi terzi per facilitare le espulsioni dei migranti. È un tassello fondamentale -aveva spiegato allora ad Altreconomia la ricercatrice Gorana Mlinarevic-. Anche perché per diverse nazionalità, come quella pakistana, questo rappresenta l’unico modo per l’Ue di rimpatriare le persone. E Bruxelles lo sa bene”. Anche in quest’ottica a livello europeo qualcosa si muove: a inizio febbraio 2023, il nuovo direttore di Frontex, Hans Leijtes, ha fatto visita proprio al ministro dell’Interno del Pakistan per rafforzare la cooperazione con il Paese.


L’Ufficio della delegazione Ue in Bosnia ed Erzegovina sottolinea nella sua risposta ad Altreconomia come “il governo bosniaco deve rafforzare le sue capacità e adottare tutte le misure necessarie per gestire efficacemente il centro di Lipa nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, della legislazione nazionale e degli standard internazionali, anche per quanto riguarda lo screening e la registrazione, la protezione delle persone vulnerabili e la detenzione”. Un altro ologramma.

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