Crisi climatica / Approfondimento
L’Italia continuerà a garantire sussidi pubblici al comparto fossile. Il ruolo di SACE
Il governo italiano e l’agenzia di credito all’esportazione pubblica si rimangiano gli impegni presi alla Cop26 di Glasgow: continueranno a finanziare progetti di carbone, petrolio e gas all’estero almeno fino al 2028. “Le politiche dell’Italia sono le più inadeguate tra quelle adottate fino a questo momento”, denuncia ReCommon
Il governo italiano ha deciso prolungare, attraverso l’assicuratore di Stato SACE, il finanziamento di progetti esteri legati all’estrazione e al trasporto di combustibili fossili almeno fino al 2028, ritirandosi di fatto dagli accordi presi durante la 26esima Conferenza delle parti sul clima (Cop26) tenutasi a Glasgow nel novembre 2021. Una scelta contraria alle evidenze scientifiche e all’opinione della comunità internazionale: proprio il 20 marzo 2023, giorno in cui è stata resa pubblica la decisione del governo di proseguire con gli investimenti in carbone, petrolio e gas fossile, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) ha pubblicato la sintesi finale del suo sesto rapporto sulla crisi climatica. Dove l’Italia viene indicata tra i Paesi più vulnerabili alle conseguenze degli sconvolgimenti climatici. “Lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, afferma la necessità di cessare ogni licenza o finanziamento di nuovi impianti petroliferi e di gas -ricorda ReCommon-. Esattamente il contrario di quanto sta facendo SACE”.
Durante la Cop26, 34 Paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche avevano firmato un accordo (la “Dichiarazione di Glasgow”) che li impegnava a terminare gli investimenti pubblici internazionali nei combustibili fossili entro la fine del 2023. L’Italia ha deciso di aderire alla Dichiarazione solo all’ultimo momento, nonostante condividesse la presidenza della Conferenza con il Regno Unito. Inoltre la Dichiarazione restava non vincolante e su base volontaria, di conseguenza non tutti i Paesi l’hanno recepita allo stesso modo e con uguale impegno. Da un lato sette dei principali Paesi sostenitori dell’industria fossile -Regno Unito, Francia, Canada, Svezia, Finlandia, Danimarca e Nuova Zelanda- hanno adottato politiche ampiamente coerenti e rispettose dell’accordo. Sull’altro versante Stati come Olanda, Spagna e Belgio hanno implementato politiche deboli e che lasciano ampi margini ai settori del petrolio e del gas. “Le strategie dell’Italia sono tra le più inadeguate tra quelle adottate fino a questo momento -continua ReCommon-. Come avevamo già denunciato a novembre 2021, l’iniziativa era lungi dall’essere perfetta, con una serie di scappatoie che avrebbero fatto gola al Sistema-Italia, che si basa sul triangolo tra finanza privata, industria fossile e finanza pubblica. Così è puntualmente avvenuto”.
Ed è qui che entra in gioco SACE, ente controllato dal ministero dell’Economia, tra i primi sei finanziatori a livello globale e il primo a livello europeo per il supporto pubblico alle fonti fossili. L’assicuratore di Stato, infatti, tra il 2016 e il 2021 ha emesso garanzie per più di 13,7 miliardi di euro ai settori del petrolio e del gas fossile. Questo flusso di denaro costituisce una buona parte dei cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi” italiani.
“Il primo fatto grave da evidenziare -aggiunge ReCommon- è che l’impegno italiano sia stato adottato a gennaio 2023 ma reso pubblico solo il 20 marzo sera dai canali social della coalizione internazionale Export finance for future (E3F) di cui l’Italia fa parte, non da quelli ufficiali di SACE o del ministero dell’Economia. Tutto ciò rappresenta l’ennesima conferma che, quando si tratta di istituzioni di finanza pubblica italiane, la trasparenza è la prima vittima”.
Entrando nel dettaglio, la strategia italiana prevede l’abbandono del supporto alla filiera del carbone a partire dal maggio del 2021, mentre l’interruzione graduale dei finanziamenti al settore del petrolio è prevista entro il 2024. Ma per il gas il programma è molto diverso. “La priorità nel phase-out è stata data alla generazione di energia attraverso i combustibili fossili e alla catena di valore del petrolio. Le altre fasi della filiera del gas saranno gradualmente dismesse alla luce del ruolo che il combustibile può svolgere nella transizione, come riconosciuto dall’Unione Europea nella sua Tassonomia degli investimenti sostenibili”, si legge nella nota. Pubblicata a febbraio 2022, la Tassonomia europea avrebbe dovuto avere lo scopo di indicare agli investitori i settori sostenibili e in linea con le ambizioni climatiche della stessa Ue. Tuttavia, la versione finale del documento contiene esclusione per settori, come il gas fossile e il nucleare, considerati dannosi per l’ambiente e un ostacolo per la transizione alle energie veramente pulite.
Proprio grazie a queste eccezioni SACE può giustificare il suo continuo supporto al settore del gas. Il finanziamento a progetti di centrali elettriche a metano continuerà fino al 2023, mentre per quanto riguarda l’esplorazione e l’estrazione, queste saranno supportate fino al 2026. Per quanto riguarda, invece, il trasporto, la distribuzione, e il raffinamento di questo combustibile non sono stati posti vincoli. La data di uscita da questi settori sarebbe infatti “da definire in seguito all’inclusione del gas nella Tassonomia dell’Ue e alle attuali discussioni sulla sicurezza energetica”.
Il tema della sicurezza energetica del Paese è il secondo pilastro su cui SACE basa la sua politica di finanziamento fossile. La strategia presenta un paragrafo dove sono elencate una serie di eccezioni che potrebbero far slittare il phase-out di alcuni investimenti e progetti. Ed è proprio la sicurezza energetica che è utilizzata per giustificare eventuali proroghe nei settori del gas e del petrolio. “Per rendersi conto di quanto il mantra della sicurezza energetica sia vuoto, si può riportare un esempio: con questa policy, alcuni progetti potrebbero richiedere il supporto finanziario di SACE addirittura nel 2025. Le multinazionali proponenti, con il supporto dei costruttori, potrebbero ultimarli nel 2030 e il gas prodotto arriverebbe in Italia dal 2031 -continua ReCommon-. Risulta difficile credere che otto anni sia un lasso di tempo emergenziale tanto grande da invocare la ‘sicurezza energetica’. Senza contare che solo una minima parte di questo gas arriverà in Italia, come dimostrato dal progetto Coral South Flng di Eni in Mozambico: supportato finanziariamente da Sace, la prima nave gasiera proveniente dal progetto mozambicano è approdata a Bilbao e non certo in Italia”. Ecco perché Simone Ogno di ReCommon sottolinea quanto sia “evidente che, dietro il mantra della sicurezza energetica, gli interessi tutelati siano quelli delle multinazionali energetiche, degli istituti di credito e delle agenzie di credito all’esportazione come SACE”.
Altro motivo per attivare un’eccezione nei campi delle generazioni di energia sarebbe l’utilizzo di impianti per la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica, una tecnologia proposta dalle aziende come una soluzione per ridurre le emissioni dei combustibili fossili, fortemente criticata per il suo costo e la sua inefficacia nel portare a una effettiva riduzione delle emissioni climalteranti. Inoltre il gas viene considerato, senza alcuna evidenza, un veicolo di transizione: sarà possibile investire nella costruzione di centrali a gas dopo i limiti di tempo previsti del 2023 se questo servirà a disattivare o a convertire entrali a carbone o petrolio. “Se non bastasse la posizione sul gas -conclude Ogno- troviamo anche il beneplacito a tecnologie sperimentali e già fallimentari come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, per non parlare anche delle deroghe previste per le date ultime di finanziamento a progetti petroliferi. Ci aspettavamo una politica di implementazione scadente ma così è come non averla del tutto”.
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