Diritti / Opinioni
Licia Pinelli non è stata sconfitta
Per tutta la vita ha difeso la memoria del marito Pino. Scomparsa a 96 anni ci ha lasciato in eredità il suo esempio di impegno e lotta civile. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci
Nella vita pubblica ci sono momenti in cui le istituzioni falliscono, tradiscono la propria missione, e sono i cittadini comuni, per volontà o loro malgrado, a rappresentare la comunità, a farsi punto di riferimento, a ispirare fiducia. Licia Rognini Pinelli, morta l’11 novembre scorso a 96 anni, è stata una figura importante nella storia del nostro Paese. Moglie di Pino Pinelli, l’attivista anarchico “ucciso innocente nei locali della questura di Milano il 16 dicembre 1969”, come recita la lapide collocata a Piazza Fontana da “Gli studenti e i democratici milanesi”, Licia affrontò con dignità e fermezza esemplari gli immediati depistaggi, le calunnie sulla figura del marito, le farraginose inchieste, le menzogne dei media.
Il libro-intervista “Una storia quasi soltanto mia” (Feltrinelli), scritto con Piero Scaramucci, uscito in prima edizione nel 1982, è un’altissima testimonianza di impegno civile e di lotta per la verità contro le falsificazioni di Stato. Licia per tutta la vita, con discrezione ma anche grande determinazione, ha difeso e protetto la memoria di Pino come uomo e come attivista, ed è anche grazie a lei, col suo fondamentale contributo, che la figura di Pinelli, per la sua morte ma anche per la sua vita di partigiano e militante, non è stata dimenticata e anzi è entrata a pieno titolo nella parte migliore della biografia collettiva degli italiani.
Licia mise in chiaro qual era il suo obiettivo, che cosa davvero intendeva per giustizia, finendo così per ispirare tante persone, tanti familiari di cittadini colpiti negli anni seguenti dalla violenza e dalla menzogna istituzionale: “Uno Stato che non vuole riconoscere la verità è uno Stato che non esiste. Io non mi sento sconfitta perché non ho avuto giustizia nelle aule di tribunale. La giustizia sta nel fatto che tutti sappiano la verità”. Nel suo caso, la verità è che Pino fu ucciso in questura e che precipitò dal quarto piano per responsabilità di dipendenti dello Stato, non sappiamo di preciso chi, ma certamente persone che vestivano una divisa. Col tempo, nei decenni, abbiamo saputo molte cose sul “caso Pinelli”: i depistaggi, l’immediato arrivo in questura di una “squadra” dei servizi segreti specialista in affari sporchi, la copertura garantita a tutti i funzionari coinvolti.
La bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura e l’omicidio di Pinelli sono stati un punto di svolta, l’avvio di una sorta di golpe preventivo organizzato negli apparati dello Stato; l’ossatura delle istituzioni ha mostrato il suo lato più feroce, e anche la sua irresistibile attrazione per pericolosi modelli autoritari. Nella parte finale di “Morte accidentale di un anarchico”, la pièce che Dario Fo scrisse e portò in scena nel 1970, c’è un passaggio nel quale si dice una bruciante verità: “Il popolo chiede una giustizia vera e noi invece facciamo in modo che s’accontenti di una un po’ meno ingiusta. I lavoratori gridano basta con la vergogna dello sfruttamento bestiale, vorrebbero non più crepare in fabbrica e noi metteremo qualche protezione in più, qualche premio in più per la vedova. Loro vorrebbero la rivoluzione. E noi gli daremo le riforme. Tante riforme. Li annegheremo nelle riforme. O meglio li annegheremo nelle promesse di riforme, perché neanche quelle gli daremo mai!”.
Sono 17 le vittime e 88 i feriti dall’esplosione di una bomba nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969
Quanto al primo punto, la giustizia, Licia Pinelli ha dimostrato che si può, e si deve, non accontentarsi, allargando lo sguardo e il senso delle cose. Sul resto Dario Fo, per bocca del personaggio che pronuncia quelle frasi, il Matto, continua a farci meditare.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”
© riproduzione riservata