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Diritti / Approfondimento

Le persone nello spettro autistico prendono la parola e si raccontano

Un'illustrazione della grafica palermitana Tiziana Naimo © Tiziana Naimo

Tanti gli stereotipi attorno a questa condizione, che viene associata prevalentemente all’infanzia, rendendo più difficile la diagnosi per i giovani adulti. Associazioni come Neuropeculiar lavorano per cambiare lo sguardo

Tratto da Altreconomia 240 — Settembre 2021

“Uno degli stereotipi più diffusi è che le persone autistiche abbiano tutte delle disabilità intellettive, ma non è così -spiega Raffaella Faggioli, psicologa e psicoterapeuta dell’Ambulatorio per i disturbi dello spettro dell’autismo negli adulti dell’ospedale San Paolo di Milano-. C’è anche chi pensa, per contro, che siano per forza abilissime nel campo dell’informatica o che ognuna di loro sia un genio in qualche ambito. Una terza idea, che purtroppo ricorre anche nei media, riguarda la mancanza di empatia, emozioni e relazioni amicali o amorose. In realtà, come per ciascuno di noi, dipende dal carattere e dalle propensioni individuali: ci sono autistici che traggono piacere dalle situazioni sociali, altri che preferiscono evitarle”.

L’autismo, contrariamente a quello che si pensa, non è una patologia, ma uno stile di funzionamento neurobiologico, meno diffuso di quello tipico -quindi neurodivergente-, ma largamente presente nella popolazione mondiale.  Oggi, secondo le stime del Center for diseases control and prevention di Atlanta, negli Stati Uniti un individuo su 54 ricade nello spettro autistico, mentre un recente studio dell’associazione internazionale Autism Europe ha riscontrato in Europa una prevalenza di una su 89 per questa condizione. “I numeri sono più alti negli ultimi anni, ma il motivo non sembra risiedere in un reale aumento nell’incidenza, quanto nel miglioramento delle competenze diagnostiche. In passato si consideravano solo le persone con un ritardo nel linguaggio o con disabilità intellettive, ora non è più così”, dice Faggioli, che lavora nel settore da 31 anni e che ora, con la psichiatra Orsola Gambini -primaria di Psichiatria del San Paolo-, dirige l’unico centro in Lombardia che segue gli autistici maggiorenni in ambito ospedaliero. “Ci sono però ancora pochissimi clinici che conoscono bene l’argomento e questo è un problema, soprattutto per i giovani adulti, per i quali arrivare a una diagnosi è spesso molto difficile”.

“C’è stato un periodo in cui ho colpevolizzato il mio funzionamento per i miei problemi. Mi piacerebbe che gli altri non attraversassero questa fase” – Tiziana Naimo

Essendo classificato come “disturbo del neurosviluppo”, lo spettro dell’autismo viene di solito associato ai bambini, quando invece il funzionamento neurologico è qualcosa che caratterizza l’individuo per tutta la vita. Per cambiare il modo in cui si parla delle neurodivergenze, in questi anni stanno nascendo in tutto il mondo organizzazioni fondate e gestite da persone autistiche, impegnate in campagne di advocacy e comunicazione alternativa. Capita ancora, infatti, che coloro che hanno uno stile di funzionamento atipico non vengano interpellati nel dibattito riguardante la loro stessa condizione.

Alice Sodi e Roberto Mastropasqua sono la presidente e il segretario di Neuropeculiar, realtà guidata da persone nello spettro che rappresenta un unicum sul territorio italiano. Uno degli obiettivi dell’ente è superare gli stereotipi riguardanti l’autismo, dando voce a chi lo vive in prima persona. “La nostra associazione è nata a Grosseto nel 2018 con lo scopo di spostare l’ago della bilancia della narrazione sull’autismo; i motivi che ci hanno portato a fare questa scelta riguardano soprattutto l’emancipazione individuale”, affermano. Ad abbattere i pregiudizi contribuisce anche il lavoro di Tiziana Naimo, grafica palermitana, membro del direttivo di Neuropeculiar e ideatrice del blog “Bradipi in Antartide, vincitore nel 2020 del Premio Speciale Gleam di Restart, il festival antimafia e dei diritti organizzato a Roma dall’associazione daSud.

Una striscia della grafica palermitana Tiziana Naimo © Tiziana Naimo

“Due anni fa ho aperto il mio sito -ricorda Naimo-. Da principio scrivevo un po’ di tutto, poi ho iniziato a concentrarmi sempre di più sull’autismo”. Il diario online è ricco di vignette e riflessioni che spiegano, in maniera ironica e mai banale, la realtà quotidiana di una persona nello spettro, come la stessa autrice. “La parola autismo spaventa ancora molto -afferma la blogger-. Io voglio offrire un’altra ottica, senza la pretesa di dare lezioni di vita. Molti genitori mi hanno scritto che li ho aiutati a vedere la diagnosi di loro figlio in modo meno terrorizzante”.

L’autrice vorrebbe evitare ai suoi lettori una sensazione che lei stessa ha sperimentato. “C’è stato un periodo -confida- in cui ho colpevolizzato il mio funzionamento per i miei problemi. Mi piacerebbe che gli altri non attraversassero questa fase: tutti siamo differenti, alcuni hanno avuto uno sviluppo tipico e altri no, ma ognuno può dare il suo contributo alla società”. Perché ciascuno possa esprimersi al meglio, però, è necessario che gli ambienti sappiano rispondere alle esigenze delle persone che li frequentano. I neurodivergenti, per esempio, possono essere iper o iposensibili agli stimoli sensoriali, come le luci, gli odori, le texture e i rumori, ma raramente questo viene tenuto in considerazione, anche in contesti in cui devono passare molte ore.

“Sono convinto dell’importanza dell’autorappresentanza, che non vuol dire monopolizzare il dibattito: chiediamo di poter parlare come gli altri” – Fabrizio Acanfora

“La scuola, in particolare, avrebbe bisogno di modulazioni personalizzate per gli studenti -spiega la dottoressa Faggioli-. Nella maggior parte degli istituti la quasi totalità del lavoro avviene in una situazione sociale, ma per chi è neurodivergente questa può non essere la soluzione migliore. Andrebbero valorizzate le capacità e le abilità di ciascuno”. Se infatti l’eccessiva caoticità può essere una fonte di disagio per gli autistici, la loro capacità di lavorare da soli -mediamente superiore alla norma- può essere un punto di forza e un’abilità che tutti dovrebbero coltivare.

Per questo motivo una parte dell’impegno di Neuropeculiar è diretta alla realizzazione di percorsi educativi per insegnanti e alunni. “Abbiamo svolto attività nelle scuole del grossetano, in tutti i gradi di istruzione. Con una classe di una scuola media, in particolare, abbiamo predisposto un lavoro a gruppi sul tema delle differenze che ha avuto un esito molto positivo: i ragazzi alla fine si sono persino assunti la responsabilità di non fare confusione per non mettere in difficoltà la loro compagna autistica”. Con i bambini di età inferiore, invece, gli argomenti non sono trattati direttamente, ma vengono mediati attraverso esempi pratici e racconti. “Gli facciamo notare come ognuno senta i rumori in modo diverso, per poi spiegargli che questo è dovuto al modo in cui è organizzata la ‘cabina di comando’ dell’individuo -aggiunge la presidente-. Portiamo gli alunni a interiorizzare i significati, mantenendoli neutri, senza giudizi di valore”.

© Tiziana Naimo

Se i più piccoli passano gran parte delle loro giornate a scuola, tanti adulti spendono molto tempo sul lavoro. Alcuni autistici, però, non trovano negli ambienti professionali la conoscenza o l’interesse adeguati a sostenere il loro benessere. “Poco prima del lockdown -racconta Mastropasqua- sono stato trasferito in una sorta di open space, in cui gli stimoli sensoriali da gestire erano troppi, dalle telefonate dei colleghi alla luce molto forte che non potevo regolare, così sono arrivato a un punto di grande sofferenza”. Per cercare di evitare queste situazioni, l’associazione è coinvolta in progetti di inclusione lavorativa e di formazione all’interno delle aziende. Con il gruppo bancario Credito Valtellinese, per esempio, l’organizzazione ha svolto, attraverso la società spin-off ə-quality, una formazione sulle neurodivergenze per l’abbattimento delle barriere sensoriali, ambientali e relazionali, a favore dei dipendenti e dei clienti. “Assieme ad altri enti non profit italiani stiamo contribuendo anche alla stesura di una certificazione delle competenze lavorative per le persone neurodivergenti”, dice il segretario di Neuropeculiar.

“La visione classica della disabilità -precisa Sodi- ricade solo sull’individuo. Noi vorremmo ribaltare questa concezione. Le persone devono essere coinvolte in un processo collettivo di emancipazione che le veda protagoniste, non spettatrici passive”. L’obiettivo è un cambiamento culturale, che può avvenire solo con il contributo del linguaggio. “Il modo in cui comunichiamo  -continua la presidente- crea l’ambiente sociale in cui viviamo”. Per  esempio, se il termine “autismo” è utilizzato come metafora per indicare una mancanza di empatia assume una connotazione negativa, che alimenta lo stigma. “Come organizzazione ci occupiamo di dare supporto ai giornalisti quando scrivono di neuroatipicità”, aggiunge Sodi. Neuropeculiar, infatti, non solo si occupa di contattare le redazioni per correggere eventuali errori negli articoli o nelle pagine web -recentemente è stata cambiata, su suggerimento dell’associazione, la sezione sull’autismo del portale online della Treccani-, ma ha anche in programma un webinar di formazione sul tema della comunicazione della neurodiversità, dedicato ai professionisti del settore. 

“Sono convinto dell’importanza dell’autorappresentanza, che non vuol dire monopolizzare il dibattito: semplicemente chiediamo di poter parlare come gli altri”, dice Fabrizio Acanfora, musicista, accademico e blogger napoletano, vicepresidente di Neuropeculiar. Nel 2019 ha vinto il Premio nazionale di divulgazione scientifica “Giancarlo Dosi” con il libro “Eccentrico. Autismo e asperger in un saggio autobiografico”, edito da effequ,  in cui racconta lo spettro attraverso la propria esperienza quotidiana. A marzo 2021 è uscito il suo ultimo lavoro, “In altre parole, dizionario minimo di diversità”, sempre per effequ.

“Spesso la parola neurodiversità viene usata come sinonimo di autismo, ma non è così. Si tratta di una biodiversità neurologica: ogni individuo è neurodiverso -spiega-. Poi ci sono i neurotipici, coloro che hanno un funzionamento statisticamente più frequente, e i neuroatipici, ma queste categorie non devono sottendere giudizi di valore”. La società è sfaccettata, intersezionale: non è più possibile pensarla come un gruppo dominante che accoglie una minoranza. “Non mi piace il concetto di inclusione perché presuppone una verticalità -conclude Acanfora-. Io propongo di iniziare a pensare la comunità umana in termini di convivenza delle differenze e di condivisione delle responsabilità”.

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