Diritti / Attualità
Olio di palma e land grabbing in Africa: Bolloré di nuovo sotto accusa
La multinazionale francese, anche tramite società con sede in Lussemburgo, avrebbe contribuito all’accaparramento di terre e alla deforestazione per far posto a piantagioni di palma da olio o alberi della gomma. I casi di Camerun, Liberia e Sierra Leone. La denuncia di una rete internazionale di organizzazioni della società civile: “L’autoregolamentazione non funziona. Il diritto non deve rimanere uno strumento per i potenti del mondo”
“SOCFIN-Bolloré: We are watching you”. A fine maggio 2019, appena fuori dagli uffici della società SOCFIN a Friburgo, in Svizzera, un gruppo di attivisti di Attac Fribourg,
Bread for all, FIAN Switzerland, Multiwatch e Solifonds, ha srotolato uno striscione con scritte tre ammonizioni indirizzate ai due gruppi multinazionali: rispettare i diritti delle comunità, smettere di criminalizzare gli oppositori, interrompere l’accaparramento delle terre e la deforestazione in Asia e in Africa. Nello stesso momento, altri manifestanti stavano agendo dal Lussemburgo (membri di Initiative pour un devoir de vigilance e della piattaforma Meng landwirtschaft) alla Francia (ReAct, Confédération paysanne) fino in Belgio (AEFJN, CNCD-11.11.11, Entraide et Fraternité, FIAN Belgium) per “denunciare il comportamento dei dirigenti delle società, che non rispettano i loro impegni e negano i conflitti sociali e territoriali che invece infuriano in quasi tutte le piantagioni”.
SOCFIN -che ha sede in Lussemburgo ma uffici anche a Friburgo- gestisce qualcosa come 200.000 ettari di piantagioni in Africa e in Asia, principalmente di palma da olio e alberi della gomma. Il Gruppo Bolloré ne detiene il 39,4% delle azioni (l’altro socio di peso è Hubert Fabri al 54,24%). “In Sierra Leone -denunciano le Ong che fanno riferimento anche alla rete internazionale GRAIN- il conflitto tra la compagnia e le comunità locali si è nuovamente intensificato nel gennaio 2019, portando alla morte di due persone, all’arresto arbitrario di 15 attivisti e allo sfollamento forzato di centinaia di residenti. Anche in Liberia la situazione sta peggiorando, soprattutto per le donne: sempre più casi di molestie e abusi sessuali sono segnalati nelle piantagioni, spesso commessi da guardie o dirigenti ‘terzi'”. Abusi “ampiamente documentati” e numerosi: conflitti territoriali, violenze contro le donne, attacco alle foreste, inquinamento dei fiumi, compensazioni misere, condizioni di lavoro precarie, promesse di dialogo non mantenute, progetti sociali non realizzati, insicurezza alimentare, grave criminalizzazione dei difensori dei diritti umani. Tutto reso noto e “ampiamente documentato” tramite due report fatti pervenire agli amministratori e azionisti durante l’assemblea del Gruppo proprio in Lussemburgo (Accaparement de terres et huile de palme en Sierra Leone, Un exploitant de caoutchouc déloge des fermiers libériens).
“L’autoregolamentazione delle aziende multinazionali -proseguono le organizzazioni- ha dimostrato la sua inefficienza e mancano regole pubbliche vincolanti. Il caso di SOCFIN evidenzia l’impatto negativo che le imprese transnazionali possono avere sulle comunità locali e sull’ambiente. E sebbene questi crimini avvengano altrove, le articolazioni di SOCFIN hanno la testa in Europa. Quattro Stati sono direttamente interessati: il Belgio (dove risiede l’azionista di maggioranza), il Lussemburgo (Paese in cui ha la sede centrale), la Francia (attraverso la partecipazione di Vincent Bolloré al 39,4%) e la Svizzera (dove SOCFIN ha diverse società operative). Tutti hanno l’obbligo di proteggere i diritti umani prevenendo e/o ponendo rimedio agli abusi commessi da SOCFIN”.
Anche in Camerun il gruppo multinazionale che fa riferimento anche a Bolloré non starebbe rispettando impegni presi da oltre sei anni per garantire il rispetto dei diritti delle comunità locali e dei lavoratori delle piantagioni di palma da olio. Tanto che per contrastare questo atteggiamento una rete di organizzazioni europee e camerunesi (ReAct, GRAIN, FIAN-Belgio, Bread for all, SYNAPARCAM, FODER, SNJP, l’Amicale des Riverains d’Edéa e il sindacato SATAM) ha deciso di intentare contro il colosso una causa di fronte alla Corte di Nanterre, in Francia, Stato di bandiera dell’impresa trasnazionale. Un passo inedito che si è posto come obiettivo quello di “far rispettare gli impegni assunti nei confronti dei residenti e dei lavoratori delle piantagioni”. Questa volta la società al centro dell’attenzione è la Socapalm, Société Camerounaise des Palmeraies, un rubinetto d’oro per il gruppo. Privatizzata nel 2000 dallo Stato, oggi ha come socio di maggioranza con il 67,46% la società Socfinaf, a sua volta controllata dalla SOCFIN (58,85%). Il 60% dell’olio di palma prodotto in Camerun arriva proprio dalle piantagioni Socapalm (sei stabilimenti, 5.100 dipendenti), che contano qualcosa come 35mila ettari circa di superficie e uno standard produttivo di 118.840 tonnellate.
Numeri enormi a fronte di piccoli diritti, stando alle denunce delle organizzazioni. Tutto è partito quasi dieci anni fa. “Nel 2010 -spiegano i promotori dell’iniziativa legale- Sherpa ha presentato un reclamo presso il National Contact Point (NCP) dell’OCSE in merito alle attività di Socapalm. Si denunciavano le violenze commesse dalla società di sicurezza assunta da Socapalm e i problemi sociali, ambientali e di utilizzo delle terre patiti da residenti e dipendenti delle piantagioni”. Dopo alcuni mesi di mediazione si era anche trovato un accordo. “Il gruppo Bolloré e Sherpa avevano concordato l’attuazione in Camerun di un piano d’azione per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle comunità colpite”.
Un accordo naufragato. “Nel dicembre 2014, il gruppo Bolloré ha improvvisamente annunciato che non avrebbe attuato il piano d’azione e ha scaricato le proprie responsabilità su SOCFIN, azionista di Socapalm. Da allora, le comunità locali si sono mobilitate, ma le loro richieste rimangono senza risposta”. Vista la debolezza dei meccanismi non vincolanti dell’OCSE (i “punti di contatto nazionali” citati) è nata l’idea di chiedere a un giudice francese di “ordinare l’esecuzione forzata del piano d’azione, che deve essere inteso come un contratto non ancora rispettato”. Marie-Laure Guislain, referente per conto di Sherpa del contenzioso, ha usato parole nette. “Gli attori economici non possono ritirarsi unilateralmente dai loro impegni, né assumerli al solo scopo di conquistare una sorta di pace sociale o un’immagine pubblica di azienda etica. Il diritto non deve rimanere uno strumento per i potenti del mondo”. Piuttosto che agire nel merito, Bolloré in passato ha preferito le vie legali, intentando negli anni cause per diffamazione contro le organizzazioni della società civile. “Rivendichiamo il diritto di ritenere responsabile una multinazionale”, hanno replicato le Ong.
© riproduzione riservata