Diritti / Approfondimento
La “stretta” italiana (promossa dall’Ue) per rimpatriare più cittadini del Gambia
Aumentano i reclusi originari del Paese nei Centri di permanenza per il rimpatrio italiani: nei primi due mesi del 2023 sono il 3,8% del totale, mai così tanti dal 2019. Un dato destinato a crescere: da marzo il Paese è diventato di “origine sicura”. Intanto, l’Ue impone una tassa sui visti per spingere Banjul a far atterrare più charter
Nei primi due mesi del 2023 i cittadini gambiani transitati nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) per essere rimpatriati sono tornati ai livelli record raggiunti nel 2019. Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno ad Altreconomia sono 50 i “transitati” dalle strutture al 28 febbraio: il 3,8% sul totale dei reclusi, con un’incidenza raddoppiata rispetto al 2021. La “stretta” voluta dalle istituzioni italiane segue quella europea: a inizio dicembre 2022 il Consiglio europeo ha imposto una tassa di 120 euro in più su tutti i visti rilasciati a cittadini gambiani -con più di dodici anni- che riescono ad ottenere il lasciapassare per l’ingresso in Europa. Una “punizione” per la scarsa collaborazione delle autorità gambiane, secondo la ricostruzione della Commissione europea, in materia di riammissioni dei cosiddetti irregolari presenti sul suolo europeo. “Ormai è consuetudine per le istituzioni europee condizionare il rilascio dei visti alla cooperazione in materia di rimpatri. E il caso del Gambia è emblematico da questo punto di vista”, spiega Diletta Agresta coordinatrice del progetto Sciabaca&Oruka dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che ha svolto una missione di monitoraggio nel Paese nell’ottobre 2022.
I 120 euro sono cifra irrisoria, vista con gli occhi di Bruxelles, un salasso per i cittadini di uno dei Paesi più poveri al mondo per cui la nuova tassa corrisponde a più di 8mila dalasi, la moneta locale. Come raccontato sul numero di maggio di Altreconomia corrispondono a circa tre anni di stipendio di un dipendente pubblico, poliziotto o insegnante che sia, tra le professioni con gli stipendi più alti nel Paese. Una “stetta” voluta fortemente dalle istituzioni europee. Secondo i dati forniti ad Altreconomia da Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee e gioca un ruolo fondamentale anche nella partita delle espulsioni forzate, dal 2004 a oggi ha collaborato a rimpatriare tramite charter dai Paesi europei sono in totale 387 principalmente da Germania (269) e Austria (44). Un dato parziale, perché i singoli Stati membri organizzano autonomamente ulteriori voli di rientro. Ma in termini assoluti, sempre secondo la Commissione, troppi pochi a fronte, nel 2021 di 1720 persone di origine gambiana con a carico un “ordine di via”, ovvero l’obbligo di lasciare il territorio europeo. E il braccio di ferro tra le autorità gambiane e Bruxelles è ricominciato il 6 aprile 2021.
Da Banjul, capitale del Gambia, il governo ha fatto sapere che a causa delle “limitate capacità di assicurare la sicurezza per le elezioni presidenziali di dicembre” venivano sospese unilateralmente le operazioni di rimpatrio tramite charter. Uno sgarbo per le istituzioni europee che a fine settembre 2021 hanno adottato una prima stretta sul rilascio dei visti che ha dato frutti solo nel marzo 2022 quando le autorità gambiane hanno permesso l’atterraggio di tre voli diretti all’aeroporto della capitale. Ancora non abbastanza, però, per l’Ue. “Nonostante la sospensione della moratoria introdotta dal Gambia, la cooperazione resta insufficiente”, hanno scritto. E così è arrivata la tassa sul visto. “Un film già visto -continua Agresta-. Nel 2018 dopo l’accordo di riammissione siglato da parte delle autorità gambiane con quelle europee c’è stata una forte sollevazione popolare e il presidente ha deciso di bloccare tutto. Per questa ragione da Bruxelles sono intervenuti proprio sul tema dei visti rendendone più difficile il rilascio”.
Il tentativo di fermare le persone in fuga dalla povertà in Gambia si è spostato, dal 2017 in avanti, anche più a Sud. Attraverso l’Eu-Iom joint initiative for migrant protection and reintegration, finanziata dal Fondo fiduciario europeo per l’Africa dal 2017 al maggio 2022 oltre 3.300 persone gambiane hanno “beneficiato” del programma di rimpatrio volontario dalla Libia: un progetto portato avanti dall’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) che prevede, parole dell’Agenzia delle Nazioni Unite, un “ritorno dignitoso e sicuro”. “Sono espulsioni forzate mascherate -commenta Agresta-. Durante la nostra permanenza in Gambia abbiamo incontrato quattro minori, di cui uno sordomuto, rimpatriati tra il 2017 e il 2018 proprio attraverso uno di questi programmi. Fino all’ultimo non sapevano che sarebbero rientrati a ‘casa’ e non è chiaro come siano stati scelti. Sono arrivati in aeroporto e hanno potuto chiamare in quel momento i parenti: non sono stati riaccompagnati neanche a casa e gli sono stati messi in tasca appena 80 euro”.
Concentrandoci sull’Italia, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno ad Altreconomia, dal 2008 al 2023 sono in totale 572 le persone rimpatriate verso il Gambia (appena lo 0,5% del totale, quasi 102mila persone) con una crescita significativa registrata dal 2022 in avanti quando hanno raggiunto l’1,4% sul totale con 62 persone rimpatriate. Di queste, ben 46 su voli di linea, altra “indicazione” della difficoltà negli ultimi anni a far decollare i charter alla volta di Banjul. Questi dati, però, sono destinati ad alzarsi. Nei primi due mesi del 2023 sono stati 50 i transitati di origine gambiani nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) su tutto il territorio nazionale: il 3,8% del totale, il doppio al 2019 quando in totale in un anno sono stati trattenuti 96 cittadini gambiani.
Infine, un elemento che inciderà ancora di più sugli ingressi nelle strutture detentive è il decreto del 17 marzo 2023 con cui il ministero degli Esteri, di concerto con il Viminale, ha aggiunto il Gambia tra i cosiddetti “Paesi di origine sicura”. Tradotto: le persone che sono arrivate da quella data in avanti in Italia avranno minori tutele e garanzie nella loro procedura d’asilo. “Stiamo aspettando le motivazioni per cui il governo ha optato per inserire il Gambia tra questi Paesi: sono liste spesso aggiornate secondo criteri molto superficiali -conclude Agresta-. È il cittadino a dover dimostrare di essere in pericolo: spesso i cittadini gambiani hanno una bassa scolarizzazione, analfabeti, una povertà endemica. Non è scontato raccontare la propria condizione adeguatamente di fronte alle autorità. E poi, non è un Paese in cui si possa dire che le persone a prescindere sono sicure al cento per cento: le libertà garantite e tutelate dalle istituzioni sono insufficienti”.
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