Diritti / Approfondimento
La sfida della vita indipendente per le persone con disabilità
In Italia viene considerato “normale” che le persone con disabilità grave restino a vivere con i genitori anche da adulti. Eppure la possibilità di costruire percorsi di autonomia permetterebbe non solo di affermare i diritti e le preferenze individuali ma anche di risparmiare ingenti risorse pubbliche. Ecco perché
Per Lorenzo Bevacqua non è stato facile immaginare il proprio futuro. “Quando ero più piccolo mi chiedevano che cosa volessi fare da grande ma quando le persone hanno iniziato a percepire il mio corpo disabilizzato e non conforme ai canoni estetici dettati dalla società hanno smesso di pormi questa domanda -racconta-. Dopo le superiori ho provato a cercare lavoro: alcuni parenti, stupiti, chiedevano a mia madre perché non mi accontentassi della pensione. Andare via di casa è molto più difficile se hai una disabilità”. Oggi Lorenzo ha 24 anni, si è trasferito da Decollatura (Catanzaro) a Milano ed è laureando all’accademia Naba: sogna di lavorare nel cinema, come montatore, e nella città ha avviato il suo percorso per costruirsi una vita indipendente.
Non è banale per un giovane con disabilità vivere solo ma tramite le risorse messe a disposizione da Regione Lombardia attraverso il Fondo nazionale per la non autosufficienza, Lorenzo riceve un assegno mensile di circa 800 euro con cui paga un assistente che lo aiuta per quelle incombenze che non può svolgere in autonomia. “All’inizio era il mio ex compagno ad aiutarmi, adesso che posso contare su un assistente mi rendo conto della differenza -riflette-. Questo aiuto toglie un peso enorme sia alla persona con disabilità sia ai suoi familiari. Se avessi un compagno, ad esempio, mi sentirei più libero anche nel vivere la relazione, perché non dovrei far ricadere su di lui una serie di responsabilità”. Il percorso di Lorenzo è ancora in costruzione, anche a causa dei rallentamenti imposti dalla pandemia da Covid-19: la ricerca di un lavoro e di una nuova casa sono i prossimi obiettivi.
Per certi versi l’esperienza di Lorenzo rappresenta un’eccezione: per come è strutturato il sistema di welfare italiano, infatti, sono le famiglie a farsi carico dell’assistenza delle persone con disabilità ben oltre l’infanzia e l’adolescenza. E viene considerato “normale” che queste restino a vivere a casa dei genitori da adulti, anche quando “le condizioni di vita garantite alla persona sono lontane dalle sue esigenze, preferenze e interessi”, come evidenzia il Gruppo di lavoro dedicato al contrasto della segregazione dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità. Un percorso di vita che, nella maggior parte dei casi, si conclude con l’inserimento in una residenza sanitaria nel momento in cui vengono a mancare i caregiver familiari. Luoghi dove si ritrovano costrette a vivere anche quelle persone con disabilità (congenita o acquisita) che non hanno né mezzi propri né una famiglia che li possa assistere.
La vita indipendente è fatta anche di piccole cose, spiega Enrico Mantegazza, presidente di Ledha Milano, federazione che riunisce una ventina di associazioni impegnate per la tutela dei diritti delle persone con disabilità sul territorio della Città Metropolitana. “Quando vivi in un istituto devi fare i conti con una serie di limitazioni: si mangia tutti alla stessa ora, per entrare o uscire devi chiedere dei permessi -ricorda-. Da più di trent’anni io vivo in un appartamento in condivisione con altre persone con disabilità: adesso siamo noi a decidere i ritmi delle nostre giornate”. Classe 1960, Mantegazza è stato uno dei precursori della vita indipendente in Italia. La sua patologia -un’atrofia muscolare spinale- ha portato i genitori a ricoverarlo in un istituto gestito dalla Fondazione don Gnocchi di Milano dai 10 ai 23 anni. “Io e un gruppo di altre persone, tutti con grave disabilità, uscivamo tutti i giorni per andare a lavorare. Ma abbiamo deciso di osare di più -racconta-. Abbiamo convinto la fondazione a creare un progetto di comunità alloggio per noi: avevamo un budget da spendere per l’assistenza e abbiamo stipulato i contratti con i nostri assistenti”. Era il 25 aprile 1984 e da quel momento, nonostante i cambi di casa e di coinquilini, Mantegazza ha sempre continuato a vivere in autonomia.
Oggi chi vuole avviare un percorso di questo tipo può contare sull’aiuto di realtà specializzate, come l’Agenzia per la vita indipendente “Fulvio Santagostini” di Ledha Milano: attiva dal 2009, è formata da un piccolo gruppo di operatori specializzati che forniscono consulenza e accompagnamento alle persone con disabilità che vogliono avviare un percorso di autonomia. In questi anni ha accompagnato circa 500 persone con esigenze molto diverse: dai casi più semplici, come chi necessita di qualche ora di assistenza al giorno per alzarsi dal letto e coricarsi la sera, a quelli più complessi, come il caso di uno studente universitario che l’Agenzia ha accompagnato durante un Erasmus in Spagna.
Ma la sperimentazione della vita indipendente può iniziare ancora prima: “Ad esempio con un periodo di vacanza in autonomia per un adolescente, una prima occasione per iniziare a capire quali sono i suoi desideri, così quando sarà più grande avrà già gli strumenti per decidere come vivere la propria vita adulta fuori dalla casa dei genitori -spiega Marco Rasconi, presidente nazionale dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm) e direttore dell’agenzia milanese-. Noi aiutiamo le persone a intercettare le risorse, sia economiche sia di competenze presenti sul territorio necessarie a costruire la propria vita autonoma”. A completare il team, due assistenti sociali (che aiutano la persona con disabilità a identificare i propri bisogni, ovvero a capire quali interventi, strumenti e ausili gli sono necessari per poter vivere in autonomia) oltre ai consulenti alla pari con cui le persone si possono confrontare per trovare risposte ai piccoli problemi quotidiani.
La parte più complessa di questo percorso è proprio il suo inizio: “La vita indipendente non può essere l’obiettivo. Non è sufficiente dire: ‘Voglio andare a stare da solo’ per costruire un progetto -spiega Rasconi, lui stesso persona con una disabilità complessa che da qualche anno ha lasciato la casa dei genitori-. È invece un mezzo che ci permette di avere pari opportunità e di vivere la nostra vita come la vogliamo, esattamente come tutti. Questo significa anche avere dei doveri: trovarsi un lavoro, per chi ne ha la possibilità, dare il proprio contributo alla società”.
Le associazioni come Ledha Milano e Uildm hanno intercettato negli ultimi dieci anni un numero crescente di persone adulte con disabilità (in particolare motoria) alla ricerca di supporti per poter vivere in autonomia. Quello che però manca sono una normativa ad hoc e risorse dedicate: “Ancora oggi, in Italia, una persona con disabilità che richiede un forte sostegno e non ha una famiglia di supporto ha ‘diritto’ solo a essere inserita in un servizio residenziale (Rsd): le alternative, quando presenti sono delle opportunità ma non ancora dei diritti esigibili”, si legge nella relazione del Gruppo di lavoro sul contrasto alla segregazione dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità. In altre parole: oggi l’assistenza di una persona adulta con una disabilità grave o gravissima è affidata ai caregiver familiari, nel momento in cui questi vengono a mancare la sola risposta che viene garantita dalle istituzioni pubbliche è il ricovero in una Rsd dal momento che non esiste il diritto all’assistenza al di fuori di queste strutture.
Garantire alle persone adulte con disabilità le risorse necessarie per restare a casa propria ed essere autonomi oltre ad assicurare una migliore qualità di vita permetterebbe di gestire in maniera diversa e in alcuni casi anche di risparmiare risorse. “Questi progetti possono essere molto flessibili -spiega Rasconi-. Inoltre non tutte le persone con disabilità, anche gravi, hanno bisogno di avere qualcuno accanto 24 ore su 24: le tecnologie oggi a disposizione ci permettono di avere un’autonomia molto maggiore rispetto al passato. Io spendo tra i 1.600 e i 1.900 euro al mese per l’assistenza”.
Per le persone con disabilità gravissima e che hanno bisogno di maggiore sostegno la cifra può essere molto più elevata: “Il costo medio per l’assunzione di un assistente personale full time a tempo indeterminato oscilla tra i 1.900-2.000 euro al mese. A cui vanno aggiunti quelli per le coperture di eventuali ferie, malattie o sostituzioni. E che raddoppiano nel caso in cui sia necessario assumere due persone per garantire la turnazione notturna -spiega Mantegazza-. Una possibile opzione, per fare fronte a questi costi è quella di dare vita a piccole residenze autogestite: noi siamo in tre, tutti beneficiamo della cosiddetta Misura B1 erogata da Regione Lombardia che a oggi prevede l’erogazione di un contributo fino a 1.200 euro, in base alle esigenze del singolo. In questo modo riusciamo garantirci un’assistenza adeguata”.
Importi che da un lato garantiscono una migliore qualità di vita oltre ad assicurare il rispetto del diritto di “scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza, dove e con chi vivere” senza essere “obbligati a vivere in una particolare sistemazione”, come sancito dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, recepita dall’Italia con la legge 18 del 3 marzo 2009. Ma che dall’altro non si discostano molto dal costo di un posto letto in una struttura residenziale, che in Lombardia ammonta a circa 5mila euro al mese. Nelle Marche il costo mensile per una struttura residenziale “ad alta intensità assistenziale” è di circa 4.800 euro al mese, mentre per quelle a medio-bassa intensità si oscilla tra i 2.800 e i 3mila euro. In Friuli-Venezia Giulia il costo per l’assistenza va dai 4.300 euro al mese per le residenze protette e i 3.200 euro al mese per le comunità alloggio. Nel Lazio la tariffa giornaliera per l’assistenza è di circa 3.500 euro al mese per un impegno assistenziale elevato e 3.000 euro per chi ha un bisogno “medio”.
Maggiore qualità della vita a costi inferiori fanno della vita indipendente uno strumento prezioso per avviare quel processo di de-istituzionalizzazione e promozione dell’autonomia delle persone con disabilità indicato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e che ha portato, a dicembre 2021, all’approvazione del disegno di legge 2475 che delega il Governo ad adottare, entro venti mesi, uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità.
Per Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato tecnico dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità siamo a un punto di svolta epocale: “La legge delega punta a superare il vecchio modello medico della disabilità, basato su una lettura percentuale del livello di invalidità che però non dice nulla sulle condizioni di svantaggio -spiega-. Il primo obiettivo è dare piena cittadinanza alla persona con disabilità, in base a una valutazione che tenga conto di tutte le sue caratteristiche, non solo dei punti di invalidità”. La legge mette al centro il ruolo e il coinvolgimento diretto della persona nell’elaborazione del suo progetto di vita che deve avere come obiettivo quello di migliorare la sua qualità della vita, garantendo l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, tra cui la possibilità di scegliere il proprio luogo di residenze a un’adeguata soluzione abitativa.
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