Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Opinioni

La riforma più urgente sulla cittadinanza italiana

© referendum cittadinanza - instagram

I tempi per ottenerla sono irragionevoli e hanno conseguenze sui minori: c’è un segno di speranza nelle 600mila firme raccolte per dimezzarli. La rubrica Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 275 — Novembre 2024

La legge che definisce chi è e chi non è cittadino di un Paese, dice più di qualsiasi altra norma quale sia l’identità profonda di una collettività e quale sia il suo tasso di democrazia reale. Uno Stato democratico, se è veramente tale, si fonda sulla promozione e la tutela dei diritti fondamentali, inclusi i diritti politici, di ogni persona che vi abiti stabilmente.

Secondo l’Istat gli stranieri legalmente residenti in Italia erano 629.165 nel lontano 1993, mentre nel 2023 erano circa cinque milioni di cui oltre 2,3 milioni risultano già titolari del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, rilasciato a chi dimostra l’iscrizione anagrafica per un periodo di almeno cinque anni, la conoscenza della lingua italiana, l’inesistenza di reati o di procedimenti penali ostativi, un reddito buono e costante e il rispetto degli obblighi fiscali.

La norma vigente sulla cittadinanza italiana intercetta poco questa realtà del Paese perché mantiene la stessa impostazione di fondo di quella che fu la legge 555/1912 interamente sbilanciata sulla concezione per filiazione (ius sanguinis) e chiusa verso quelle che si sono affermate nel corso della seconda metà del Novecento e che privilegiano altri criteri come il legame che la persona ha stabilito con il Paese in cui vive per nascita (ius soli) o per scelta di vita (naturalizzazione).

La norma attuale, ovvero la legge 91 del 1992 ha persino acuito tale chiusura in quanto mentre la legge del 1912 richiedeva il requisito dei cinque anni di residenza, salvo alcune eccezioni, essa richiede dieci anni di ininterrotta residenza, oltre ai requisiti sopra richiesti, per poter chiedere la cittadinanza italiana. In Francia, in Germania, nel Regno Unito, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Portogallo, in Lussemburgo e in Svezia vengono richiesti cinque anni; la metà del tempo. Al lunghissimo tempo previsto dalla legge italiana si aggiungono i tre anni di cui l’amministrazione centrale può usufruire per rispondere. Totale: non meno di tredici anni.

Sono 900mila gli alunni non italiani nell’anno scolastico 2022/2023, secondo le statistiche del ministero dell’Istruzione. Il 65% sono nati in Italia.

In questo quadro di rigida chiusura non deve stupire che secondo le statistiche del ministero dell’Istruzione nell’anno scolastico 2022/2023 gli alunni non italiani erano quasi 900mila, il 65% dei quali sono nati in Italia. Da alcuni anni si è acceso un dibattito sul cosiddetto ius scholae, ovvero sulla necessità di una riforma che permetta ai minori che hanno completato il ciclo di studi obbligatorio di diventare cittadini italiani. È un dibattito che riconosce un’esigenza reale, di cui si avvede chiunque abbia messo piede in una scuola italiana oggi, ma allo stesso tempo che nasce da una distorsione di fondo che rimane nell’ombra; la gran parte dei minori stranieri che sono di fatto italiani, non sono cittadini perché non lo sono i loro genitori, costretti ad attendere tempi irragionevoli per conseguire la cittadinanza ed estenderla automaticamente ai figli.

È questa però la riforma più urgente e necessaria, ed è un segno di forte speranza constatare che in pochi giorni la proposta referendaria che ha chiesto il dimezzamento, da dieci a cinque anni, del termine per la richiesta di cittadinanza per lunga permanenza e inserimento sociale nel nostro Paese, abbia raccolto oltre 600mila firme. Mi auguro che la Corte costituzionale riconosca la piena ammissibilità giuridica del quesito referendario in quanto esso si limita a estendere a tutti gli stranieri extra Ue la portata di una disposizione (i cinque anni per chiedere la cittadinanza) già prevista dalla stessa legge 91 del 1992 ma attualmente limitata ai soli maggiorenni adottati da cittadini italiani e ai titolari dello status di rifugiato.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

 © riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2025 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati