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Diritti / Approfondimento

La proposta di Regolamento dell’Ue per “aumentare i rimpatri” è un problema per i diritti

Il commissario europeo per gli Affari interni, Magnus Brunner, e la vicepresidente esecutiva della Commissione europea, Henna Virkkunen © Unione europea

Tempi di detenzione dei migranti allungati anche oltre i due anni, persino per i bambini, centri di rimpatrio in Paesi terzi, potenziali espulsioni collettive. Il testo presentato con urgenza e senza alcuna valutazione d’impatto dalla Commissione europea a inizio marzo è una minaccia concreta per i diritti fondamentali delle persone. La questione ora passa al Parlamento europeo e ai ministri degli Stati membri

Un nuovo Regolamento dell’Unione europea per aumentare i rimpatri dei migranti considerati “irregolari” è stato presentato martedì 11 marzo dalla Commissione europea alla sessione plenaria del Parlamento a Strasburgo.

La proposta legislativa -presentata dal commissario europeo per gli Affari interni, Magnus Brunner, e della vicepresidente esecutiva della Commissione Ue, Henna Virkkunen- mira a “dare un quadro giuridico moderno, più semplice ed efficace” per far migliorare l’attuale media del tasso di rimpatri ferma al 24% (secondo gli ultimi dati Eurostat del 2024). 

Il testo, che dovrà essere approvato dai colegislatori del Consiglio Ue e dell’Eurocamera nei prossimi mesi, dà un “ordine europeo di rimpatrio” che permetterà a uno Stato membro di riconoscere ed eseguire direttamente una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro senza dover avviare un nuovo processo.  

Dall’altro lato, la Commissione vuole estendere l’uso e la durata della detenzione per immigrazione (da 18 a 24 mesi, con misure restrittive possibili dopo i 24 mesi, tra cui il monitoraggio elettronico e l’obbligo di rendicontazione). La detenzione sarà possibile come “last resort” anche per i bambini, nonostante una risoluzione del 2020 del Consiglio d’Europa secondo la quale “la detenzione di minori e dei loro genitori in base al loro status migratorio è contraria al superiore interesse del minore e costituisce una violazione dei diritti dell’infanzia”.  

La novità più importante -ma pericolosa per il rispetto dei diritti umani- è la proposta di istituire centri di rimpatrio in Paesi terzi per persone che hanno già ricevuto una decisione definitiva di rimpatrio. L’istituzione dei centri sarebbe frutto di accordi bilaterali tra Stati e segue la richiesta di alcuni Paesi -tra cui l’Italia, la Polonia e i Paesi Bassi- di avere “soluzioni innovative” per contrastare l’immigrazione considerata “irregolare”. La Ong Picum ha criticato il carattere urgente di questa procedura e il fatto che la Commissione europea non abbia pubblicato alcuna valutazione d’impatto.  

In base all’articolo 4 del testo per “Paese di rimpatrio”, oltre a quello di origine o di residenza del migrante, si può intendere “un Paese terzo di transito verso l’Unione”, o “un Paese terzo con cui esiste un accordo o un’intesa in base ai quali il cittadino di un Paese terzo è accettato”. Si può prospettare dunque un rimpatrio con accompagnamento in Stati extra Ue, in cui le persone non sono mai state in precedenza. Riguardo agli Stati di transito, invece, non esiste ancora la lista europea che elencherà i cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, che dovrebbe essere approvata dagli Stati Ue entro giugno 2025 per dare attuazione ai Regolamenti del Patto sulla migrazione e l’asilo approvato nel 2024. 

Secondo Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà ed esperto di diritto di asilo e migrazioni, “il Paese terzo, con cui la persona rimpatriata potrebbe non avere alcun legame diretto, non ha nessun obbligo di garantire i diritti umani”. Per questo motivo “l’Unione europea sarebbe in concorso di violazione degli stessi diritti fondamentali” perché “il testo esclude la possibilità per gli Stati membri di gestire i centri di rimpatrio (che si conclude con il trasporto e l’accompagnamento, ndr)”. 

Altro punto critico viene espresso sempre all’articolo 7 della proposta dove il Paese di rimpatrio non può essere determinato sulla base delle informazioni a disposizione delle autorità, una decisione può indicare provvisoriamente uno o più Paesi di rimpatrio. Una previsione che secondo il giurista Fulvio Vassallo Paleologo “è in contrasto con il divieto di non refoulement e viola il divieto di espulsioni collettive sancito nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché richiama la possibilità di allontanare dal territorio di un Paese membro dell’Ue persone la cui nazionalità non è stata accertata”.  

In ogni caso, “lo Stato che emette l’ordine di espulsione ha non solo l’obbligo di assicurarsi che tali diritti non vengano violati nel Paese terzo ‘sicuro’ designato come hub per i rimpatri”, continua Vassallo Paleologo. In altre parole, ci può essere il rischio che il Paese terzo possa fare un respingimento indiretto delle persone rimpatriate.  

Durante il dibattito al Parlamento europeo la maggioranza composta da Popolari, Socialisti e i liberali di Renew che aveva approvato il Patto sulla migrazione e l’asilo ad aprile 2024 ha visto alcuni dei suoi esponenti di spicco essere critici verso la proposta della Commissione. Cecilia Strada eletta da indipendente nel gruppo del Partito democratico (che fa parte di S&D), ha denunciato la mancanza di trasparenza nel pubblicare gli eventuali futuri accordi tra l’Ue o i suoi Stati membri con i Paesi terzi. Mentre Fabienne Keller, esponente del gruppo Renew, si è chiesta retoricamente come sia possibile far garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti fuori dall’Europa. 

Ora la proposta di regolamento dovrà essere dibattuta e approvata dal Parlamento europeo e dai ministri degli Stati membri che potranno proporre emendamenti e dovranno trovare un accordo sul testo finale. 

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