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Economia / Opinioni

La guerra dell’energia ha spaccato l’Europa

Olaf Scholz -quando era ancora primo cittadino di Amburgo- durante la cerimonia di inaugurazione del parco eolico offshore "Nordsee Ost" nel maggio 2015 © RWE Innogy

Invece di muoversi verso una soluzione comune la Germania ha puntato su una scelta “sovranista” emettendo grandi quantità di debito. Errore fatale. La rubrica a cura di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022

A Lipsia, in Sassonia, esiste una Borsa definita Eex (European energy exchange) che guadagna tanto più quanto maggiore è il numero dei contratti che tratta. Quest’anno farà profitti record grazie al fatto che è cresciuto a dismisura il loro numero e sono saliti i prezzi. Il dato rilevante è costituito dalla tipologia di contratti trattati; non siamo di fronte a scambi reali ma per larghissima parte a derivati -quindi a scommesse- costruiti sul rialzo dei prezzi. Gli azionisti dell’Eex sono, guarda caso, grandi società energetiche, comprese Enel ed Edison, qualche immancabile banca d’affari e Deutsche Boerse.

Quest’ultima società tedesca, con vari azionisti “internazionali”, partecipa a un altro lucrosissimo gioco rappresentato dai derivati sui tassi di interesse. Forse non tutti lo sanno, ma esiste un “mercato-casinò” dove si scommette su questi ultimi: la recente mossa della Bce di alzare i tassi (che renderà più costosi il debito e la spesa pubblica e farà pagare di più i mutui e il credito produttivo) ha fatto fare lauti introiti agli scommettitori sui derivati costruiti sui tassi di interesse.

Il sistema è davvero incredibile: l’inflazione, che sta mettendo in ginocchio aziende e famiglie, deriva dalla speculazione operata dai grandi soggetti finanziari, ma la ricetta per curare tale inflazione, il rialzo dei tassi d’interesse, determina il successo degli scommettitori che hanno puntato proprio su questo. Il dato ancora più grave, però, è che gli artefici delle due speculazioni -quella energetica e quella sui tassi- sono gli stessi che guadagnano due volte e magari, a tempo perso, si comprano pezzi di banche e di aziende. Sono mesi che abbiamo davanti a noi questi dati, chiari e inoppugnabili, ma non si muove nulla.

Sono 200 i miliardi di euro sono stati stanziati dal cancelliere tedesco Olaf Scholz per fare fronte all’aumento dei prezzi del gas. Un colossale aiuto di Stato sotto mentite spoglie

Per contenere il prezzo dell’energia sarebbe “sufficiente” invece fare poche cose immediate. Per prima cosa abbandonare la borsa di Amsterdam come elemento di definizione del prezzo del gas. Già questa scelta, individuandone un’altra meno speculativa, determinerebbe una discesa dei prezzi del 40% e un riallineamento di quelli italiani ed europei al resto del mondo. Occorre poi sganciare il prezzo delle altre fonti di energia da quello del gas. Infine: stabilire una moratoria dei contratti derivati sull’energia per riportare i prezzi a una dimensione reale. Si tratta del minimo sindacale che però né i governi tecnici, né i “progressisti” hanno sostenuto. In tale ottica, la guerra dell’energia non ha piegato la Russia ma ha certamente spaccato drammaticamente l’Europa. Ormai è evidente che esiste un asse tra Germania e Olanda (di cui Von der Leyen è espressione), che sta paralizzando qualsiasi decisione comune, a partire dalle soluzioni sopra indicate.

La decisione della Germania di varare un piano da 200 miliardi di euro per far fronte alle proprie difficoltà senza cambiare di una virgola il quadro di riferimento europeo è densa di conseguenze. In pratica il governo guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz ha scelto la strada del sovranismo: consumerà larga parte del margine fiscale di cui dispone, emettendo grandi quantità di debito per non far gravare su imprese e cittadini tedeschi il peso dell’aumento energetico. In pratica un colossale aiuto di Stato, sotto neppure troppo mentite spoglie, che popolerà i mercati finanziari di titoli tedeschi in grado di fare concorrenza a quelli dei Paesi più deboli, a cominciare dall’Italia, e persino a quelli necessari per finanziare il Piano nazionale di ripresa e resilienza che dunque entrerà in fibrillazione. In un simile quadro, trovare soluzioni per i consumatori europei risulta un’inutile chimera.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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