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Economia / Opinioni

Il grande gioco speculativo che determina l’aumento dei prezzi dei beni alimentari

© Krissia Cruz - Unsplash

Pesano i passaggi presenti nella filiera che cercano margini e altrettanto rilevante è il prezzo dell’energia per i trasporti. Ma un ruolo centrale hanno le speculazioni finanziarie sui prezzi delle materie prime alimentari, un tema su cui bisognerebbe intervenire. L’analisi di Alessandro Volpi

Il prezzo dei beni alimentari cresce rapidamente, dando un contributo decisivo all’aumento dell’inflazione. Ma da che cosa dipende questo aumento? Possiamo escludere che discenda dal costo della manodopera nella filiera della produzione e della distribuzione alimentare perché tutti i dati indicano la presenza di salari molto bassi in tali settori, dove peraltro esistono diffuse forme di caporalato. Certamente pesano i vari passaggi presenti nella filiera che cercano margini e altrettanto rilevante è il prezzo dell’energia per i trasporti. Ma un ruolo centrale hanno le speculazioni finanziarie sui prezzi delle materie prime alimentari, un tema su cui bisognerebbe intervenire. Proviamo a descrivere che cosa avviene, semplificando una questione assai complessa.

Da sempre esistono i contratti a scadenza differita per il commercio dei beni agricoli e alimentari; in altre parole, il mercato ha funzionato con contratti in cui il venditore e il compratore fissano il prezzo oggi e la consegna a distanza di tempo dal momento della firma del contratto medesimo. Rispetto a tali contratti, potrebbe esistere un rischio di natura monetaria: il contratto è fatto in euro e l’euro da qui a due mesi si può svalutare o rivalutare. Per evitare che questo avvenga erano nati i derivati che rappresentavano un’assicurazione contro i rischi del cambio: venditore e compratore “compravano” due strumenti derivati che “scommettevano” in egual misura sul rialzo e sul ribasso del valore della moneta in cui è effettuato lo scambio per “sterilizzare” così l’effetto di un eventuale rialzo o di un eventuale ribasso del prezzo definito dal contratto.

Esistono da tempo anche contratti di compravendita di beni agricoli e alimentari che prevedono un prezzo a scadenza che si può adeguare ai cambiamenti conosciuti dallo stesso prezzo: il compratore e il venditore definiscono un prezzo attuale del bene venduto che potrebbe aumentare nel caso i prezzi di quel bene salissero. Anche in questo caso gli strumenti della finanza derivata svolgono una funzione di copertura del rischio di oscillazione di prezzo. Il compratore compra un derivato che lo copre in caso di prezzo che sale e il venditore compra un derivato nel caso in cui il prezzo scenda.

Fin qui il mondo reale. Poi è arrivata la finanziarizzazione che funziona in un altro modo. Ci sono compratori non di un bene ma di un’opzione di acquisto di un bene con scadenza differita. Il compratore opziona un bene ad un determinato prezzo da qui a due mesi; se poco prima della scadenza il prezzo è salito, il compratore di quella opzione, che non ha ancora versato niente perché appunto si tratta di un’opzione, può vendere l’opzione stessa lucrando non solo sulla differenza rispetto al prezzo pattuito, ma su l’intero valore del contratto che potrà cedere ad un compratore reale, guadagnando moltissimo senza aver versato niente in anticipo e senza aver avuto alcun rapporto con la merce oggetto del contratto.

Ma c’è di più. Il compratore dell’opzione, può comprare degli strumenti derivati che lo assicurano rispetto al prezzo del bene che ha opzionato. In questo senso compra un’assicurazione su un bene che non ha ancora e che dovrebbe garantirlo nel caso in cui il prezzo non raggiungesse il livello pattuito. In realtà se tutti i possessori di opzioni che puntano sul rialzo del prezzo comprano derivati che li assicurano per il raggiungimento di quel livello di prezzo, quel livello di prezzo verrà automaticamente raggiunto proprio perché tutti puntano su quello stesso livello di prezzo; in pratica una scommessa che si autoavvera. La conseguenza, dolorosa, di tutto è che i prezzi dei beni agricoli e alimentari salgono, gli scommettitori che non hanno nulla a che fare con la produzione di quei beni guadagnano una montagna di soldi, la manodopera non ne trae alcun beneficio e i consumatori pagano prezzi altissimi per beni che in realtà costerebbero assai meno. Dunque, se non si ferma la finanziarizzazione, l’impoverimento reale della stragrande maggioranza della popolazione diventerà drammatico quando invece sarebbe molto semplice evitare una simile ingiustizia consentendo l’utilizzo degli strumenti della finanza derivata solo ai produttori reali dei beni. Per questo serve una grande battaglia politica.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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