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La drammatica condizione dei migranti in arrivo a Trieste: “500 persone abbandonate in strada”
I trasferimenti dei richiedenti asilo in arrivo nella città dalla rotta balcanica sono fermi, mentre gli arrivi aumentano (quasi 8mila tra gennaio e luglio). Crescono i casi di famiglie e i minori soli costretti a dormire all’addiaccio. Le istituzioni restano immobili, negando servizi di bassa soglia. La rete solidale cittadina fa il punto della situazione
La situazione dei migranti a Trieste, principale punto di passaggio delle rotte balcaniche nel nostro Paese, è sempre più drammatica: a fine agosto sono quasi 500 i richiedenti asilo costretti a vivere all’addiaccio, mentre i trasferimenti si sono completamente azzerati. Lo evidenzia il nuovo rapporto stilato dalla rete solidale cittadina, network di realtà che operano nel capoluogo giuliano nel campo dell’accoglienza e dell’assistenza alle persone in transito e che comprende la Comunità di San Martino al Campo, il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), la Diaconia valdese (Csd), Donk humanitarian medicine, International rescue committee Italia e l’associazione Linea d’Ombra.
Il documento fa seguito al report “Vite abbandonate”, predisposto all’inizio dell’estate, che rendeva noti i dati raccolti dagli attivisti e dagli operatori nel corso del 2022. La necessità di un aggiornamento deriva dal grave inasprimento della situazione, ormai di estrema emergenza, dovuta alla carenza dei servizi a fronte di un’elevata richiesta di aiuto. Il numero di migranti a Trieste è in aumento -sono 7.890 gli arrivi dall’inizio di gennaio alla fine di luglio, contro i 3.191 dello stesso periodo dello scorso anno- con una presenza sempre maggiore di nuclei familiari, donne sole o con bambini e minori non accompagnati. Questi ultimi sono saliti dell’11% rispetto al 2022, con un’età in calo.
Alcuni dei ragazzi incontrati dalle realtà autrici del report sono sotto i 14 anni e in alcuni casi ne hanno anche 10 o 11. Nel solo mese di luglio sono arrivate nel capoluogo giuliano 2.277 persone, il 20% delle quali non era ancora maggiorenne; solo in questo periodo sono giunte 55 famiglie, molte delle quali di provenienza curda.
A questa impennata di presenze non è corrisposto affatto un incremento dei servizi di bassa soglia. Anzi, l’amministrazione comunale ha deciso di chiudere, a inizio luglio, il progetto “Emergenza freddo”, che garantiva una sessantina di posti letto in più per le persone vulnerabili costrette a vivere per strada. Per l’accoglienza temporanea dei nuclei familiari e delle donne sole, un grande lavoro è stato fatto dall’hotel Alabarda, struttura di proprietà del Comune gestita dalla Caritas; oggi, tuttavia, l’albergo si trova in una situazione di tale saturazione -dovuta anche all’aumento di minori stranieri non accompagnati- che risulta difficile trovare posto per nuove persone. “L’altro giorno c’era una famiglia curda con quattro bambini, di cui la più grande aveva sei anni e il più piccolo tre mesi -ha raccontato nella conferenza stampa del 24 agosto Gian Andrea Franchi di Linea d’Ombra-. Sono andato alla parrocchia più vicina, che risponde al sontuoso nome di ‘Santissimo cuore immacolato di Maria’, ho suonato, abbiamo parlato un po’ e mi hanno detto di andare alla Caritas, che però era chiusa. Alla fine un amico ha dato ospitalità a suo rischio a questo nucleo familiare”.
Il rapporto evidenzia, così come il precedente, la mancanza strutturale di servizi di bassa soglia e “suggerisce” al Comune di Trieste di prendere atto della realtà in cui è inserito e del periodo storico che stiamo attraversando. La città, infatti, essendo il punto di ingresso su suolo italiano delle rotte balcaniche, dovrebbe prepararsi agli arrivi di persone migranti e intervenire aumentando l’assistenza e i posti letto disponibili. L’incremento nel numero di ingressi dipende in larghissima parte dalle condizioni di vita nei Paesi di partenza ed è quindi pressoché inevitabile. La maggiore responsabilità della situazione drammatica che si è delineata nel capoluogo giuliano, tuttavia, va ricercata nell’azzeramento totale dei trasferimenti verso altre Regioni; il rapporto mette infatti in evidenza lo strettissimo rapporto tra la quantità di spostamenti organizzati e il numero di richiedenti asilo segnalati senza accoglienza. Se a gennaio c’erano 132 trasferimenti e 313 persone rimaste in strada, ad agosto, con zero trasferimenti, i migranti costretti a vivere all’addiaccio sono 494. Di questi, almeno 74 sono in attesa di un posto nel sistema di accoglienza da più di tre mesi.
“Nel momento in cui il ministero fa un programma, i richiedenti asilo devono essere considerati tutti uguali e devono essere tutti ricollocati -ha aggiunto Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani-. Ci dovrebbe essere una quota da ripartire per area di ingresso. A Trieste se prima questa quota era bassa e avevamo persone in strada, adesso siamo a zero. Questo territorio è completamente abbandonato, lo Stato è sparito. Per questa situazione catastrofica ci sono delle responsabilità su cui la magistratura dovrà indagare”. Come messo in luce dall’associazione Donk humanitarian medicine, chi vive in situazioni critiche di abbandono ha più probabilità di sviluppare patologie.
Le persone che si ammalano, tuttavia, dopo esser state visitate dal pronto soccorso, tornano sulla strada, spesso a dormire nel silos accanto alla stazione, in un ambiente estremamente malsano e precario e certamente non adatto a un periodo di convalescenza o alla cura di una malattia. Gli operatori segnalano, inoltre, che da giugno si sono verificati alcuni episodi di violenza, dovuti all’arrivo di un gruppo di individui che parrebbe lavorare in rapporto con i passeur. La situazione di stallo che caratterizza la città è ormai nota anche alle persone in arrivo: rispetto all’anno scorso è aumentato il numero di coloro che dichiarano di non volersi fermare in zona per chiedere asilo (dal 59 al 72%). La maggior parte degli ingressi (77,1%) sono di cittadini provenienti dall’Afghanistan, che spesso preferiscono continuare il proprio viaggio. Chi invece tende a fare maggiori domande di asilo nell’area sono i cittadini pakistani, che rappresentano il 51,3% dei richiedenti asilo in attesa di accoglienza a Trieste. Lasciati lì.
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