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Inchiesta di Bergamo sul Covid-19: “Restituito un pezzo di dignità a tutti i nostri cari”
Intervista a Consuelo Locati, tra i legali dell’associazione #Sereniesempreuniti dei familiari delle vittime. “Fin dall’inizio avevamo intuito che ci fosse la politica di mezzo, però leggerlo nero su bianco è ancora più disarmante. Chi ha ancora il coraggio di usare quello che è successo solo per sostenere una parte o l’altra deve vergognarsi”
Diciannove persone rinviate a giudizio, tra cui l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, l’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Giulio Gallera, e l’attuale governatore della Lombardia, Attilio Fontana. Ma soprattutto 4.000 morti che si potevano evitare, se fosse stato applicato il piano pandemico nazionale -mai aggiornato dal 2006- e istituita la zona rossa nella bassa Val Seriana, epicentro del contagio bergamasco nella prima ondata di Covid-19. È ciò che emerge dalla maxi inchiesta sul Covid-19 della Procura di Bergamo, conclusa dopo tre anni. Quella che Consuelo Locati, del team legale dell’associazione #Sereniesempreuniti dei familiari delle vittime del Covid-19, definisce un’impresa “coraggiosa e mastodontica”.
Avvocato Locati, si aspettava questi risultati?
CL Ho sempre avuto fiducia nella Procura e mi aspettavo che ci fossero degli indagati anche in ruoli apicali o almeno lo speravo. La Procura ci ha ripagato di tutta la fiducia che abbiamo sempre riposto in lei e in tutte le persone che hanno contribuito alle indagini.
Da legale, ma anche da figlia (ha perso il padre per il Covid-19, ndr), come si è sentita quando sono emersi i risultati dell’inchiesta?
CL Quando ho letto le agenzie, mentre venivano battute, ho pianto. Ho pianto con mia madre e insieme a tutti i familiari dell’associazione. In quel momento è stato restituito un pezzo di dignità a tutti i nostri cari. In qualità di legale, invece, credo sia stata scritta la storia da un punto di vista prettamente giuridico.
Il capo della Procura di Bergamo, Antonio Chiappani, in un’intervista a la Repubblica non è sembrato così certo che l’ipotesi di reato su cui si fonda l’impianto accusatorio, cioè l’epidemia colposa, possa tenere. C’è il rischio che salti tutto?
CL Chiappani non ha detto questo ma che dalle indagini espletate e dalle analisi anche giuridiche effettuate, sono emerse una serie di persone che vengono indagate. È chiaro che adesso si apre una nuova fase procedurale, in cui ci sarà la possibilità per gli indagati di depositare memorie ed essere ascoltati. All’esito di tutto ciò, un giudice stabilirà se ci sono gli estremi per poter rinviare a giudizio tutti gli indagati o parte di essi o magari nessuno, e quindi se sostenere un processo. È chiaro che in tutto questo percorso, essendo configurata di fatto una nuova fattispecie di reato, possa essere ritenuta non fondata in alcuni aspetti, oppure fondatissima per altri: è normale. Ma senza dubbio è stato un atto di coraggio da parte della Procura -attraverso uno studio della normativa, della giurisprudenza e della dottrina- arrivare a trovare il fondamento per poter individuare il reato di epidemia colposa. Le dobbiamo un grandissimo riconoscimento e un encomio per il lavoro svolto.
Non ha paura quindi che, anche alla luce di questa fattispecie di reato, tutto si risolva in niente?
CL No. E anche se fosse, come familiari delle vittime e come legali, quello che è emerso è già la risposta alle nostre domande. Non basta, certo, ma dobbiamo essere anche realistici: lo sanno tutti che è molto rischioso un procedimento che si basa su questa fattispecie di reato. Però è altrettanto evidente che vogliamo andare a fondo e quantomeno che ci sia un processo.
Secondo lei c’è qualcuno tra gli indagati che ha maggiori responsabilità?
CL Per rispondere dovrei acquisire tutti gli atti, ma di sicuro la mancata istituzione della zona rossa, soprattutto per il territorio bergamasco, è una delle cause principali della perdita di tante vite. Anche se dai dibattiti sui media pare che ci si dimentichi di questo: si butta tutto sul piano della politica, quando in realtà quest’indagine fa riferimento a quante vite si sarebbero potute salvare e perché sono morte così tante persone. Fin dall’inizio avevamo intuito che ci fosse la politica di mezzo, però leggerlo nero su bianco è ancora più disarmante. Chi ha ancora il coraggio di usare quello che è successo solo per sostenere una parte o l’altra, dovrebbe vergognarsi.
Giuseppe Conte si è detto totalmente disponibile a collaborare.
CL Speriamo collabori, dicendo alla fine quello che è davvero successo. Per esempio, aveva dichiarato di essere venuto a conoscenza dei dati della bergamasca solo il 5 marzo del 2020, in realtà c’era stata una riunione due giorni prima in cui gli avevano detto della gravità. Bene la collaborazione, forse però avrebbe dovuto darla prima ai cittadini, che magari avrebbero evitato di rivolgersi alla giustizia. La Procura è l’unica istituzione che ha dimostrato rispetto verso i familiari e onorato i nostri cari, facendo un lavoro mastodontico e avendo il coraggio di non archiviare. Tutte le altre istituzioni hanno tentato di coprire quello che era successo, di far cadere il silenzio sulle richieste dei familiari, cercando di riscrivere la storia.
Attilio Fontana invece ha detto di aver scoperto dai media di essere indagato. Sembra quasi non se l’aspettasse, forse anche grazie ai risultati elettorali.
CL Bisognerebbe chiederlo a lui ma anche io ho avuto quest’impressione. Probabilmente con tutte le archiviazioni o le richieste di archiviazione che sono state fatte, pensava che anche la Procura di Bergamo archiviasse o non approfondisse le responsabilità effettive. Inoltre, come ha detto Chiappani, nessuno ha apprezzato il fatto che i risultati dell’indagine non siano usciti prima delle elezioni regionali.
Recentemente è stata ascoltata in quanto rappresentante dell’associazione, alle audizioni preliminari della Commissione d’inchiesta Covid-19. Come è andata?
CL Mi sono limitata a dire il perché dovrebbe essere istituita una commissione d’inchiesta che indaghi davvero però su quanto accaduto, a differenza di quella della legislatura precedente che aveva proposto di indagare soltanto prima del 30 gennaio 2020, cioè prima che la pandemia scoppiasse anche in Italia.
Per quanto riguarda l’azione civile intrapresa dai familiari delle vittime nei confronti della presidenza del Consiglio dei ministri, del ministero della Salute e della Regione Lombardia, presso il Tribunale di Roma, a che punto siete?
CL La prossima udienza sarà il 24 maggio, si dovrebbe entrare nel cuore dell’istruttoria e le evidenze che sono state rese pubbliche in questi giorni si vanno ad aggiungere ai documenti in nostro possesso, circa le responsabilità istituzionali nella gestione della pandemia. Contestiamo la mancata attuazione del Piano pandemico del 2006 e la mancata istituzione di una zona rossa: gli oltre 600 familiari in causa chiedono ovviamente anche un risarcimento, intorno ai 200-230 milioni di euro complessivi.
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