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Ambiente / Approfondimento

In Italia non sappiamo quanto emettono davvero le nostre auto

© ec.europa.eu/jrc/en

La Corte dei conti europea ha rilevato lacune nelle ispezioni, nelle comunicazioni dei dati e nella verifica dell’inquinamento su strada. I gravi difetti nei processi di omologazione non garantiscono la conformità dei veicoli alle leggi comunitarie

Tratto da Altreconomia 269 — Aprile 2024

C’è un settore nel quale le politiche comunitarie di riduzione delle emissioni di gas serra non stanno funzionando: è quello dei trasporti, che rappresenta circa un quarto dell’impronta di carbonio dell’Ue. Secondo i dati dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) queste emissioni sono cresciute notevolmente dal 1990 in avanti. A indagare sulla loro mancata riduzione è stata la Corte dei conti europea (Eca) che a gennaio 2024 ha pubblicato una relazione speciale in cui dà conto di come i Paesi membri attuano le procedure di sorveglianza del quadro normativo sull’omologazione dei nuovi veicoli. Per poi valutare l’efficacia del regolamento sulle emissioni di CO2 delle auto. 

L’Italia ha grosse lacune nel sistema dei controlli. Dal documento emergono carenze nei sistemi di ispezione e di omologazione dei veicoli, problemi nelle comunicazioni dei dati all’Eea e alla Commissione europea, mancata verifica delle emissioni reali. Analizzando i dati a livello europeo, inoltre, l’Eca sottolinea divergenze preoccupanti tra i livelli di CO2 registrati dalle case automobilistiche in laboratorio e quelli rilevati su strada. 

Nello specifico, l’esame della Corte si concentra su Italia, Germania e Paesi Bassi prendendo in considerazione tre periodi diversi, a seconda delle informazioni a disposizione. La scelta degli Stati si basa sui risultati di una valutazione preliminare della qualità dei dati registrati per il 2020 e sul numero di nuove immatricolazioni, che per Germania e Italia sono tra le più alte in Europa. Il nostro Paese, inoltre, ha un altro record: nel 2022 ha registrato il più alto tasso di motorizzazione in Europa con circa 684 auto ogni mille abitanti contro una media europea di 560 (dati Eurostat).

Come primo obiettivo la Corte ha voluto verificare se i Paesi membri stiano attuando le regole del quadro normativo per l’omologazione e la sorveglianza del mercato dei prodotti automobilistici, aggiornate a seguito di un processo di revisione accelerato dallo scandalo “Dieselgate” del 2015 quando, grazie alle denunce dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (Epa), si è scoperto che Volkswagen aveva installato su milioni di veicoli diesel un impianto in grado di manipolare le emissioni di ossidi di azoto (NOx).

“In Italia non abbiamo trovato prove sul fatto che le autorità abbiano verificato se i produttori hanno effettuato il numero di test necessari” – Jindrich Dolezal

Per quanto riguarda quelle di CO2, la legislazione dell’Ue prevede che le autorità statali effettuino una serie di controlli prima che i nuovi veicoli vengano immessi sul mercato. In fase di omologazione, durante quelle di produzione per verificare la conformità agli standard europei e poi anche sui veicoli già in circolazione. Queste verifiche possono essere eseguite attraverso servizi tecnici interni ai ministeri oppure da enti terzi accreditati che eseguono in autonomia le prove di conformità dei veicoli e dei componenti. In l’Italia l’autorità competente è la Direzione generale per la motorizzazione interna al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit).

“Abbiamo constatato che in Germania è stato fatto un lavoro abbastanza corretto, mentre in Italia e nei Paesi Bassi ci sono stati diversi problemi”, spiega ad Altreconomia Jindrich Dolezal, il principale revisore della relazione dell’Eca.

Per ogni nuova automobile immatricolata il produttore fornisce il certificato di conformità, un documento utilizzato per garantire che le caratteristiche tecniche del veicolo prodotto siano esattamente quelle descritte nell’omologazione concessa dall’autorità. I costruttori devono poi testare in laboratorio le emissioni di CO2 di almeno un’auto ogni cinquemila prodotte per famiglia di veicoli, una categoria che comprende più modelli con specifiche caratteristiche comuni.

La quota di casi in cui i dati trasmessi dall’Italia alle autorità europee, relative alle emissioni di CO2 segnalate  dai produttori, contenevano valori inesatti è del 14%.  Nei Paesi Bassi  si raggiunge il 27%

Le autorità nazionali sono tenute inoltre a partecipare a una di queste prove, per ogni costruttore, nell’arco di tre anni. Nel periodo 2020-2021 l’Olanda non ha assistito a nessuna pro-va, l’Italia a quella di due veicoli. Il fine della partecipazione delle autorità è garantire che la qualità delle procedure sia rispettata e che tutti i costruttori eseguano il numero necessario di test. “Ci aspettavamo di revisionare una serie di documenti, di vedere un rapporto sul numero di veicoli prodotti dai costruttori, sul numero di auto testate o sottoposte a qualche tipo di verifica, ma non lo abbiamo trovato. Questi controlli sono stati realmente effettuati? Per noi è difficile dirlo perché non sappiamo che cosa abbiano fatto. Possiamo dire chiaramente che in Italia non abbiamo trovato prove che quel lavoro sia stato svolto”.

L’équipe della Corte dei conti europea che ha svolto le procedure di audit in Germania, Paesi Bassi e Italia © Unione europea

Le autorità devono poi controllare i sistemi usati dai costruttori per generare i dati dei certificati di conformità, ma anche su questo aspetto sia l’Italia sia i Paesi Bassi risultano carenti. Per la Corte il comportamento delle autorità non fornisce garanzie sufficienti ai consumatori sul fatto che i valori di CO2 indicati nei certificati di conformità delle nuove auto siano corretti. L’autorità di omologazione italiana del Mit non ha mai risposto alle ripetute richieste di intervista da parte di Altreconomia. E anche per quel che riguarda i controlli sulle vetture già in circolazione, le valutazioni dell’Eca sono negative.

“Il ministero delle Infrastrutture non ha né nominato servizi tecnici terzi per eseguire i test di omologazione né risulta in possesso di laboratori interni per svolgerli” – Luca Taschini

Dal 2020 la Commissione, i costruttori e le autorità di omologazione devono eseguire ogni anno prove su un numero minimo di veicoli già in circolazione, per verificare che le emissioni delle Euro 5 ed Euro 6 rispettino i limiti dei regolamenti durante tutto il ciclo di vita. Queste due classi rappresentano in Italia circa la metà del parco veicoli circolante che, dalle stime fornite dall’Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri (Unrae), ha superato i 40 milioni di mezzi nel 2023.

Per questo obbligo, nessuno dei tre Paesi analizzati ha rispettato il numero minimo di controlli, ma l’Italia è l’unico che per 2020, 2021 e 2022 non ha effettuato nessuno dei test prescritti dichiarando di non aver trovato un appaltatore in grado di eseguirli. Eppure anche nel nostro Paese, come in tutta Europa, operano società come Tüv Italia che offre servizi di certificazione e test in laboratori attrezzati e, facendo parte del gruppo Tüv süd, è designata dall’autorità di omologazione tedesca Kba anche per questo tipo di verifiche, oltre che per tutti i tipi di omologazione.

“Il ministero delle Infrastrutture italiano non ha attualmente nominato servizi tecnici terzi per l’esecuzione di test di omologazione e non risulta in possesso di laboratori o spazi di prova adibiti per svolgerli -spiega Luca Taschini, responsabile vendite e project manager per servizi di omologazione di Tüv Italia-. Il servizio tecnico italiano svolge le proprie attività principalmente revisionando le prove eseguite presso i laboratori del costruttore o di terzi, come può essere Tüv Italia, e controllando la correttezza della documentazione fornita dal produttore”. Si tratta quindi di un ruolo burocratico e amministrativo, a differenza dei servizi tecnici utilizzati da altre autorità comunitarie che hanno specifiche capacità di test nel settore. Ma anche questo aspetto della sorveglianza è carente in Italia.

L’analisi effettuata sui dati del 2020 dalla Corte e i controlli dell’Eea hanno mostrato che i dati iniziali, trasmessi dagli Stati membri alle autorità europee dopo che avevano fatto le verifiche dovute, contenevano valori inesatti o mancanti: nel 14% dei casi per l’Italia, nel 27% per i Paesi Bassi e solo dell’1% per le auto nuove registrate dalla Germania. 

Per le auto diesel le emissioni su strada sono ancora superiori del 18,1% rispetto a quelle di laboratorio; per i veicoli a benzina del 23,7% e per quelli ibridi ricaricabili del 250% circa a causa delle cattive abitudini degli automobilisti che non sfruttano a sufficienza l’alimentazione elettrica

Per valutare l’efficacia delle misure per ridurre la produzione di CO2 nei trasporti, la Corte ha poi confrontato i dati provenienti dai test di laboratorio con quelli su strada. Le emissioni di una singola auto sono misurate in condizioni di laboratorio standardizzate, stabilite dalla nuova procedura di prova per veicoli leggeri armonizzata a livello mondiale (Wlt), che nel 2017 ha sostituito il Nuovo ciclo di guida europeo (Nedc). 

Il nuovo protocollo ha l’obiettivo di aumentare la solidità dei test e colmare il divario tra le emissioni in laboratorio e quelle reali che sono sempre maggiori perché influenzate da fattori come il comportamento di guida, la temperatura esterna, il traffico, l’altitudine, e l’utilizzo di apparecchiature che consumano energia (fari, aria condizionata, etc.). Se sulla carta i produttori possono affermare di aver diminuito le emissioni, la stessa riduzione ancora non si registra in condizioni di guida su strada. Per l’Eca, l’analisi preliminare effettuata dalla Commissione sui dati del 2021 fornisce un quadro preoccupante: per le auto diesel le emissioni su strada sono ancora superiori del 18,1% rispetto a quelle di laboratorio; per i veicoli a benzina del 23,7% e per quelli ibridi ricaricabili circa del 250%. Quest’ultimo dato si spiega con le abitudini di guida dei cittadini, che non sfruttano a sufficienza l’alimentazione elettrica. 

In passato le case automobilistiche hanno trovato il modo di effettuare i test in modo “controllato”, sfruttando escamotage nei regolamenti, per risultare conformi alle prescrizioni. Per il relatore Dolezal insistere su test di laboratorio potrebbe non portare molti vantaggi: “C’è il rischio che alcune di queste pratiche possano ancora emergere, ma se mettessimo più enfasi sulle reali emissioni forse ci sarebbe un cambio nell’approccio dei produttori”. Così, se le autorità di omologazione non applicano i regolamenti e gli obiettivi di riduzione delle misure europee non producono veri abbattimenti di gas serra nel settore trasporti, per la Corte è necessario cambiare la normativa. Oltreché aumentare la vigilanza sulle autorità nazionali, la Commissione dovrebbe sostituire gli obiettivi attuali basati sulle emissioni medie di CO2, sia a livello dell’Ue sia di costruttori, con target di quote minime di veicoli a zero emissioni oltre che introdurre limiti alle emissioni su strada, per le auto con motori a combustione e per tutti i tipi di veicoli ibridi. “Un’altra delle nostre raccomandazioni -conclude Dolezal- esorta la Commissione a utilizzare le informazioni dei test su strada per fornire ai consumatori informazioni più precise e renderli maggiormente consapevoli delle scelte che hanno a disposizione”. 

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