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Il ritorno dei siriani rifugiati in Turchia è un percorso lungo. Tra ostilità e poche certezze

Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ricevuto a Damasco dal nuovo leader siriano Ahmad al-Shara' poco prima di Natale dello scorso anno © EyePress News/Shutterstock / ipa-agency.net / Fotogramma

Da Istanbul a Gaziantep è partita un’intensa campagna mediatica per presentare la Siria come un Paese ormai sicuro e dal contesto politico inclusivo e pacificato. Un modo per spingere sul rientro, volontario o meno, di milioni di persone. Ma la questione non è così semplice, raccontano alcune persone rifugiate ed esperti dal campo

Dopo l’arrivo al potere all’inizio di dicembre del 2024 dell’organizzazione paramilitare Tahrir al-Sham e la conclusione dell’esperienza dittatoriale della dinastia Assad in Siria, si attende l’eventuale ritorno dei siriani residenti all’estero. Il Paese che negli ultimi quattordici anni ha accolto più rifugiati siriani è stata la Turchia, sin dall’inizio della guerra. 

Dopo il cambio di potere in Turchia è partita una vera e propria maratona mediatica per presentare l’immagine di una Siria sicura e di un contesto politico inclusivo e pacifico al comando. Il canale televisivo Tgrt ha realizzato ad esempio dei servizi nei mercati delle auto usate alla ricerca di cittadini siriani impegnati a vendere le proprie macchine per accumulare un po’ di denaro, con l’obiettivo di sostenere le spese del viaggio. L’agenzia di notizie Iha, invece, si è recata in Siria per incontrare i rifugiati che avevano appena lasciato la Turchia e dichiaravano di essere “felici” del loro ritorno. L’agenzia di notizie Demirören ha realizzato diversi servizi presso le tendopoli costruite al confine, che ora risulterebbero abbandonate perché “i siriani stanno tornando a casa”. 

Anche governatori locali in Turchia si sono pronunciati in merito alla presenza dei siriani e alle proposte per il loro futuro. Il sindaco di Ankara, Mansur Yavaş, che governa la capitale da più di cinque anni, il 12 dicembre, davanti alle telecamere, ha parlato detto che “ora non c’è più Assad al potere; quindi, i siriani non hanno un motivo per restare in Turchia. Per ora non si assiste a una partenza di massa, ma come Comune daremo il sostegno necessario per il loro rientro”. 

Una dichiarazione più completa e inclusiva è arrivata da Ekrem İmamoğlu, sindaco di Istanbul. “Spero che da oggi in avanti avremo la possibilità di costruire legami con la nostra città gemella, Damasco -ha detto İmamoğlu-. Come Comune siamo pronti a fornire corsi di formazione ai cittadini siriani intenzionati a rientrare in Siria. Così potranno contribuire in modo professionale e consapevole alla ricostruzione del loro Paese. Sono circa due milioni i cittadini siriani presenti a Istanbul e hanno il diritto di ritornare a casa, ma non devono pagare un nuovo conto per questo”. 

Secondo i dati della presidenza della Gestione dell’immigrazione in Turchia, fino al 2024, vivevano poco più di tre milioni di cittadini siriani. Mentre più di cinquecentomila di questi risultavano residenti a Istanbul meno di centomila invece erano registrati ad Ankara. Un’altra città con i numeri alti da questo punto di vista è Gaziantep. La città, tra le dieci più gradi della Turchia, ospita infatti circa cinquecentomila siriani. 

In merito all’eventuale rientro dei rifugiati la sindaca della città al confine siriano, Fatma Şahin, ha avanzato una serie di proposte in una conferenza stampa a metà dicembre. Şahin ha sottolineato che la maggior parte dei siriani presenti in città sono di Aleppo quindi vista la vicinanza prevede che il rientro sarà facile e veloce: “Aiuteremo i cittadini a portare i loro averi in sicurezza in Siria. Stiamo costruendo un sistema di trasferimento del denaro, visto che il sistema bancario è crollato in Siria, e per incentivare il rientro siamo a favore di proseguire con i sussidi esclusivamente per coloro che rientrano nel Paese”. 

Nonostante l’ondata mediatica e politica che cerca di incentivare e promuovere i rientri, la questione non sembra così semplice. I primi numeri, infatti, non parlano di un fenomeno di massa. Secondo i dati comunicati al Parlamento nazionale dal ministro degli Interni, Ali Yerlikaya, dal 6 dicembre fino a fine anno sono ritornati in Siria poco più di venticinquemila persone. 

Ercüment Akdeniz, giornalista e politico, è uno dei massimi esperti della storia dell’immigrazione contemporanea siriana in Turchia. “Per il rientro ora il problema principale è la sicurezza -racconta ad Altreconomia-. Giustamente tutti vogliono ritornare nella città che hanno lasciato ma ancora non si sa quale città sarà controllata da quale formazione politica e armata e in quali condizioni”. Secondo Akdeniz, per il momento rientrano, anche solo per un periodo provvisorio, soprattutto i giovani maschi delle famiglie, con l’intento di capire che aria tira e se i beni della famiglia esistono ancora. 

Che cosa ne pensano invece quei siriani che vivono in Turchia in merito al loro futuro in questo Paese? Ne abbiamo parlato con Walid Sibake, originario di Aleppo, che vive in Turchia da otto anni e lavora a Istanbul nel settore tessile. “Ciò che è accaduto in Siria è una novità straordinaria. Da cittadino siriano sono molto contento che il regime di Assad sia caduto. Ciò permetterà al Paese di crescere. Vorremmo rientrare in Siria perché l’abbiamo lasciata per via della violenza del regime, tuttavia ci vorrà un po’ di tempo. Vedremo l’operato del nuovo governo e il ripristino delle infrastrutture”. 

Emir è un altro rifugiato siriano che vive in Turchia da undici anni, abita ad Ankara e lavora nel mondo dell’associazionismo. Il suo punto di vista è prezioso. “Ho sempre desiderato che andasse via questo dittatore crudele e per questo ero sceso in piazza. Nel 2013 sono stato arrestato”. Aveva solamente 14 anni quando ha preso parte alle manifestazioni di protesta, con l’intento, come dice lui, “di costruire una Siria democratica, laica e inclusiva”. Anche Emir, come tanti altri siriani, aveva l’obiettivo di restare in Turchia per poco: “Tanti sono andati in Europa e parecchi avevano questo sogno, ma non sono riusciti a realizzarlo. Con il passare del tempo ci siamo stabiliti in Turchia e abbiamo dovuto, purtroppo, fare i conti con una serie di discriminazioni e con un razzismo in crescita”. Sottolinea che quest’aria di intolleranza e di emarginazione continua a essere presente anche oggi: “Finché esiste un clima di tensione, scontri e minacce non sarà possibile rientrare in Siria. Tuttavia, diversi partiti politici e media dicono già che dobbiamo andare via”. Per le persone queer come lui né in Turchia né in Siria c’è un futuro al sicuro. 

I siriani presenti in Turchia in questi ultimi anni sono stati oggetto anche delle discussioni di politica internazionale. I fondi sostanziati dai Paesi europei alla Turchia sono stati percepiti come un atto per “difendere i confini dall’arrivo dei rifugiati” in Europa. In Turchia invece quest’accordo è stato percepito come un “privilegio concesso ai siriani” da parte della cittadinanza e in piena crisi economica ha creato notevole malcontento in gran parte della società. Nel caos politico le associazioni che si occupano di accoglienza sono state spesso prese di mira.  

Tra queste c’è anche il Centro di ricerche sull’immigrazione e sui rifugiati in Turchia (Igameder) che attraverso un comunicato stampa il 15 dicembre ha preso una posizione netta e chiara: “È necessario fare riferimento alle regole stabilite dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr). Il rientro dei siriani sarà un percorso lungo e da portare avanti con pazienza. È importante rispettare la volontà dei rifugiati. In questo momento ci sono troppe incertezze, quindi è fondamentale continuare con i progetti di sostegno con l’obiettivo di creare percorsi per il rientro volontario in futuro”. 

L’eventuale rientro dei siriani nel loro Paese d’origine non avverrà nell’immediatezza. Ne sa qualcosa Kazım Kızıl, giornalista turco, che si è recato al confine, a Reyhanlı. “Quando è caduto il regime, qui in piazza c’erano centinaia di persone per festeggiare. In questa zona, da anni vivono parecchi siriani -racconta Kızıl-. Tuttavia, nei giorni seguenti ad attraversare il confine c’erano meno di cento persone ogni giorno. Sono numeri confermati anche dagli ufficiali della dogana”.

Secondo Kızıl, la maggior parte di queste persone fa rientro in modo volontario: “Lasciano i documenti e firmano una lettera in cui dichiarano di rinunciare ai loro diritti e al loro permesso ottenuti in Turchia. Tutto è possibile se il cittadino non ha nessun vincolo legale o fiscale”. 

Kızıl riferisce poi che con il passare del tempo il numero di persone che attraversa il confine è arrivato quasi a mille al giorno, sia al confine di Reyhanlı sia alla dogana di Antep. In merito al profilo di coloro che hanno iniziato a rientrare, Kızıl fa notare come “dalle interviste che ho fatto emerge che la maggior parte di coloro che ritornano in Siria sono contenti dell’arrivo al potere delle formazioni paramilitari. Sono principalmente giovani maschi, convinti di trovare una soluzione economica, perché in Turchia sia a livello occupazionale sia a livello sociale non si trovavano bene”. 

La circostanza fa il paio con quanto sostiene il giornalista Ercüment Akdeniz: l’eventuale partenza dei siriani potrebbe creare un importante problema per le industrie in Turchia, visto che rappresentano tuttora una manodopera a bassissimo costo. “Se regnerà di nuovo il caos -riflette Akdeniz- l’Europa resterà il principale obiettivo per i siriani presenti in Turchia. In quest’ottica, se il capitale europeo deciderà di lavorare con il nuovo governo e investirà in Siria, questo potrebbe essere un elemento attraente per i siriani che vivono in Turchia”. 

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