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Il caro benzina e i nuovi divari nella mobilità in Italia. Ma quale transizione è questa? 

La stazione Centrale di Milano © Tommaso Pecchioli - Unsplash

Le disuguaglianze legate alla difficoltà negli spostamenti non vanno ridotte al caro benzina o all’impossibilità di comprarsi un’auto elettrica. Il tema centrale è la qualità e l’accessibilità dei servizi di trasporto, anche collettivi o pubblici. L’analisi (e le proposte) di Andrea Poggio, responsabile Mobilità sostenibile di Legambiente

Ammesso che il governo possa farlo, il caro benzina non si risolve riducendo l’accisa. La benzina è arrivata a costare mediamente 1,946 euro al litro, il gasolio 1,845 nella terza settimana d’agosto 2023. La benzina costava 1,8 euro a fine dell’anno scorso, più o meno quanto nel 2012, anno dell’ultimo rincaro dell’accisa (poco più di 0,7 euro al litro). L’accisa valeva poco più di mezzo euro tra il 2000 e il 2012. Eppure, il prezzo medio della benzina è aumentato da un euro al litro a 1,786 nel 2012 a quasi due euro di oggi, un raddoppio da inizio secolo. 

Nel frattempo, il reddito medio disponibile pro capite, considerando gli aumenti degli stipendi erosi dall’inflazione, è persino diminuito: era pari a 21.325 euro all’anno nel 1995, è di 21.081 euro nel 2021, secondo i dati Censis. Oggi, dopo un anno di inflazione al 10%, c’è da temere il peggio. Il carburante alla pompa è aumentato in egual misura per tutti, ricchi e poveri, mentre sono cresciute le disparità: il 10% più ricco possiede oltre sei volte la ricchezza del 50% più povero dei nostri connazionali. Una quota cresciuta in 20 anni del 7,6% a fronte di una riduzione del 36,6% di quella della metà più povera degli italiani. 

Così rinunciamo a cambiare auto. Ne acquistiamo un terzo di meno (1,4 milioni all’anno invece di oltre due milioni) perché costano sempre di più, soprattutto negli ultimi 15 anni: un’utilitaria che costava 12mila euro, nel 2022 ha sfiorato i 18mila in media, inclusi sconti e incentivi governativi. Meglio tenersi la vecchia auto o rivenderla a quei due terzi di famiglie italiane che si rivolgono al mercato dell’usato. 

E non sono ancora arrivate le auto elettriche, oggi sotto il 4% del venduto. Attendiamo tutti il 2026, quando si prevede che le auto elettriche costino quanto quelle a combustione, perché si tratterà di un pareggio al rialzo: quelle elettriche costeranno meno ma quelle a petrolio di più. Parità oggi già raggiunta per le auto più grandi (dal segmento D in su). Il problema non è il motore elettrico o la batteria, bersaglio (insieme ai monopattini) dei populisti, ma è la distribuzione del reddito e il costo degli spostamenti troppo alti per la metà degli italiani. 

E mentre i servizi di trasporto collettivi e pubblici (treni e autobus) faticano a riconquistare i passeggeri persi nei due anni della pandemia da Coivd-19, anche i prezzi dei biglietti e degli abbonamenti sono cresciuti: il report Pendolaria di Legambiente ci informa infatti che per una tratta da 30 chilometri dal 2011 a oggi il costo del biglietto è aumentato del 35,3% in Lombardia, del 56,5% in Liguria, del 55,6% in Piemonte. Mentre le spese statali e regionali per il trasporto pubblico in questi anni sono diminuite. Salvo gli investimenti previsti nei prossimi tre anni dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il servizio pubblico di trasporto è stato costretto, salvo eccezioni locali, alla marginalità. 

La morale è che pur possedendo più automobili di vent’anni fa (67 autovetture ogni 100 abitanti, 57 nel 2001), le usiamo sempre meno, come si deduce anche dai consumi di carburante: meno di 11mila chilometri all’anno per ogni auto, il 20% in meno dei tedeschi e spagnoli. A che cosa rinunciamo, in quanti e chi fa rinunce?

Conosciamo i risultati di un’interessante indagine svolta in Francia (“La dépendance aux carburants fossiles source de précarité, baromètre des mobilités du quotidien” del marzo 2022) promossa da Wimoov per la Fondation pour la nature e l’homme: il 28% del campione analizzato ha rinunciato negli ultimi cinque anni almeno una volta a un lavoro a causa di spostamenti quotidiani troppo onerosi, mentre il 23% degli studenti ha rinunciato ad attività di piacere e il 42% degli anziani a una cura. Si stima che in Francia gli abitanti in condizione di precarietà legata alla mobilità e trasporti siano 13,3 milioni di abitanti con più di 18 anni (27,6% della popolazione): 4,3 milioni sono immobili, non possiedono veicoli né sono abbonati ad alcun servizio di trasporto. E in Italia? 

Probabilmente di più, visto che siamo più poveri, ma difficile dirlo, in mancanza di indagini serie. Sappiamo dall’Istat, con due anni di ritardo, quanto spende la famiglia in media per la mobilità e i trasporti: nel 2021, 2.892 euro annui (9,9% del totale). Il doppio esatto che per le bollette luce e gas (1.411 euro). Sempre nel 2021, secondo l’Osservatorio italiano povertà energetica (Oipe, istituito per legge ma mai finanziato) le famiglie italiane in “povertà energetica” erano l’8,5%, 2,2 milioni. Ma le bollette nel 2022 sono più che raddoppiate sfiorando i tremila euro, tanto che il governo è intervenuto con 3,9 miliardi di spesa per calmierare le bollette per cinque milioni di famiglie. 

Così come la povertà energetica non si riduce alla difficoltà di pagare le bollette ma ha a che fare con l’abitare in una casa confortevole, la difesa dal freddo e dalle ondate di calore estive, anche i nuovi divari legati alla difficoltà negli spostamenti non possono essere ricondotti al caro benzina o all’impossibilità di acquistarsi un’auto elettrica. Ma piuttosto all’esistenza di servizi di trasporto, anche collettivi o pubblici, raggiungibili e negli orari utili alle proprie necessità. Servizi connessi tra loro, a cui sia possibile abbonarsi, accompagnati da servizi alla domanda (come bus a chiamata, taxi collettivi) o mezzi in sharing o noleggio. I nuovi divari riguardano anche l’esistenza di servizi di noleggio o di condivisione (auto o e-bikes), piste o percorsi ciclabili, l’uso di monopattini o parcheggi per biciclette, la possibilità di accedere a servizi di prossimità, come scuole, negozi, farmacie, uffici pubblici (città 15 minuti). Dovremo costituire, accanto all’Oipe, un Osservatorio italiano divari mobilità delle persone per accompagnare la transizione. 

E soprattutto, dobbiamo investire nel trasporto collettivo e condiviso, elettrico e digitale, perché è questa la vera differenza con gli altri Paesi europei. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), rielaborando i dati Istat (sino al 2018), valuta che nella spesa media della famiglia per i trasporti, l’auto (e la moto) di proprietà incidano per il 90% della spesa (un terzo per l’acquisto e due terzi carburante e gestione). I treni e il trasporto pubblico incidono solo per il 5%, la bicicletta per tre millesimi.

Il trasporto collettivo conta poco non solo perché costa poco ma perché non è disponibile per la maggioranza degli italiani. Abbiamo più auto ma meno trasporto collettivo rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei. Da “Luci e ombre della mobilità urbana in Italia” (Cassa depositi e prestiti 2019, che rielabora dati di Legambiente del 2018) veniamo a sapere che in Italia abbiamo 240 chilometri di metropolitane, meno della sola Madrid e lontana dagli oltre 672 del Regno Unito, dai 648 della Germania o dai 610 della Spagna. Abbiamo ben 342 chilometri di tramvie, rispetto ai 755 della Francia o ai 2.013 della Germania. Le ferrovie suburbane in Italia si estendono per 672 chilometri a fronte dei 1.695 del Regno Unito o dei 2.038 tedeschi.

In Germania piovono critiche sulle ferrovie perché, in risposta alle difficoltà delle famiglie tedesche, il governo ha promosso l’abbonamento integrato ai trasporti regionali (treni e bus) a 49 euro al mese per tutti. I treni sono stati presi d’assalto, sono insufficienti, macinano ritardi, come i nostri treni pendolari. Ma i tedeschi si muovono di più e a costi inferiori. E acquistano più auto e autobus elettrici di noi. Il nostro governo punta tutto sui bonus auto, anche con i nuovi diesel euro 7, molto più cari di quelli acquistabili oggi, dopo aver rinnovato il rimborso parziale delle accise sul gasolio consumato dai veicoli industriali nel secondo trimestre del 2023. E i camionisti ringraziano. Ma quale transizione è questa? 

Andrea Poggio è il responsabile Mobilità sostenibile di Legambiente

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