Crisi climatica / Attualità
“Il buono, il brutto, il cattivo”. Un report mette in guardia dal ritorno del carbone in Europa
Con la riduzione delle forniture di gas dalla Russia diversi Paesi europei hanno riaperto o prolungato l’attività di centrali a carbone. Secondo il think tank Carbon tracker, al contrario, governi e aziende dovrebbero abbandonare il combustibile fossile e pianificare una transizione senza le false soluzioni (come gas e nucleare)
L’uscita dal carbone in Europa è rallentata dalle multinazionali fossili. Quattro in particolare: il gruppo ceco Cez, la polacca Pge e le tedesche Rwe e Uniper. Le aziende sono state infatti responsabili nel corso del 2021 dell’emissione di 220 milioni di tonnellate di CO2 di cui 160 milioni dovute proprio al carbone. Con l’inizio del conflitto in Ucraina e la riduzione delle forniture di gas fossile dalla Russia, diversi Paesi hanno deciso di riaprire o di prolungare la vita delle centrali a carbone rallentando ulteriormente la transizione ecologica (Italia inclusa). Ad esempio il governo tedesco ha approvato una legge per rendere nuovamente operativi 10 GW di energia da carbone fino al 2024. Lo denuncia il think tank indipendente Carbon tracker initiative nella sua ricerca “Eu coal, the good, the bad and the ugly” (Carbone Ue: il buono, il brutto e il cattivo) pubblicata il 14 settembre 2022. Il think tank divide le sue valutazioni nelle tre categorie del titolo. “Il buono”: la scarsa disponibilità e l’elevato costo delle materie prime renderanno le centrali a carbone sempre meno convenienti. Allo stesso tempo il crescente prezzo della CO2 nel mercato europeo delle emissioni e l’elevato costo del gas fossile favoriscono lo sviluppo di energia rinnovabile diminuendo i tempi di ammortamento degli investimenti nel settore. Ma vi sono anche dei risvolti negativi. “Il brutto”: a causa del costo delle materie prime i governi possono comprare le quote in carbone degli azionisti di minoranza con il rischio di esporre i loro contribuenti ai costi futuri del settore fossile. “Il cattivo”: i costi elevati del gas possono spingere i governi a promuovere l’utilizzo di carbone per garantire la sicurezza energetica e quindi allontanare i Paesi dalla transizione ecologica.
L’apertura di nuove centrali a combustibili fossili, infatti, non solo è un pericolo per la transizione ecologica, ma rischia di esporre le aziende e i loro azionisti alla volatilità del mercato e al futuro calo della domanda mentre le energie rinnovabili diventano sempre più convenienti. “Le forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime spingono i governi ad acquistare gli azionisti di minoranza come proprietari della capacità di carbone in diverse aziende, con in Peg e Cez e in Uniper”, scrive Carbon tracker. I costi elevati e il blocco degli investimenti può riflettersi negativamente passando dal governo ai contribuenti: ad esempio in Polonia, il cui governo possiede il 60,9% di Peg, i cittadini rischiano di pagare nelle proprie tasse i costi della mancata transizione. “Agli attuali livelli di emissioni e di prezzo della CO2, i contribuenti polacchi pagheranno ogni anno altri sei miliardi di euro (rispetto alla normale fiscalità, ndr)”, si legge nella ricerca. Infine un’altra criticità del piano di decarbonizzazione delle aziende esaminate è la scelta di sviluppare idrogeno e gas fossile come strategie di riduzione delle emissioni. “L’allungamento della vita utile degli asset del carbone giustifica gli investimenti in gasdotti, terminali Gnl (Gas ‘naturale’ liquefatto, ndr) e impianti di stoccaggio per migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti. Tuttavia, per quanto riguarda gli effetti sul clima, il gas fossile presenta notevoli problemi. Il Gnl ha un’impronta di carbonio superiore a quella del gas trasportato tramite metanodotti, inoltre il metano è 80 volte più dannoso della CO2 quando viene rilasciato nell’atmosfera”. Anche l’idrogeno, spesso presentato come una soluzione ecologica, presenta delle problematiche: sia l’idrogeno blu, ottenuto da gas fossile con cattura di carbonio, sia quello verde, generato da elettrolisi con energia “rinnovabile”, hanno un costo elevato e il loro trasporto è costoso e presenta problemi di natura tecnica.
Nessuna delle aziende ha un programma di decarbonizzazione pienamente allineato con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, si legge nella ricerca di Carbon tracker. Ad esempio Cez, nonostante abbia pianificato di ridurre le proprie emissioni, intende effettuarlo abbassando “l’intensità energetica” (emissioni di CO2 per elettricità prodotta), ma non ha dichiarato un taglio effettivo della produzione di CO2 e i suoi progetti di energia rinnovabile sono rimandati al 2030. Inoltre l’azienda progetta di mantenere il 51% della propria potenza da carbone anche dopo la scadenza del 2030. Le aziende tedesche Uniper e Rwe, invece, hanno compiuto dei progressi per la riduzione delle emissioni, ma la recente riapertura di impianti a carbone ha invertito la tendenza. Inoltre tutte quattro le aziende hanno in progetto investimenti in nuovi impianti di gas fossile. Ad esempio l’azienda polacca Peg ha dedicato il 10% del suo programma di investimenti 2021-2030 da 16,5 miliardi di euro per la costruzione di 2,5 GW da gas fossile. “Tuttavia, questa scelta non è compatibile con l’obiettivo di neutralità climatica il 2050 e mette a rischio quasi due miliardi di euro di investimenti”, si legge nella ricerca.
Eppure è proprio il mercato a poter spingere le aziende alla transizione ecologica, grazie ai prezzi elevati delle materie prime e delle emissioni di CO2, che rendono le rinnovabili ancora più convenienti. Per questo motivo Carbon tracker incoraggia gli investitori e gli azionisti a spingere per una transizione ecologica. “Gli investitori devono porre alle aziende tre domande: quanto capitale è necessario per mantenere in funzione gli asset del carbone e quali sono i piani per finanziare completamente la loro chiusura entro il 2030? Come stanno cambiando le vostre strategie sul gas e come decarbonizzerete gli investimenti, allineandovi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi? Quali sono i vostri piani per accelerare la produzione di energia rinnovabile?”. Domande da non eludere.
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