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Economia / Attualità

La crisi energetica inglese e la falsa soluzione dei combustibili fossili

Vista aerea di Londra © Benjamin Davies, unsplash

La nuova prima ministra Lizz Truss starebbe per concedere nuove licenze estrattive nel Mare del Nord. Secondo il think tank Carbon tracker questa “strategia” non permetterebbe né di abbassare le bollette né di migliorare la sicurezza energetica del Paese

L’Inghilterra progetta di aumentare la propria produzione domestica di combustibili fossili per far fronte alla crisi energetica e all’aumento dei prezzi del gas. Liz Truss, nominata primo ministro il 6 settembre 2022, avrebbe intenzione di concedere 130 nuove licenze estrattive nel Mare del Nord inglese mentre la British energy security strategy, aggiornata ad aprile di quest’anno, riportava nel proprio programma un aumento della produzione interna di idrocarburi e dei sussidi per le aziende fossili. Tuttavia secondo Carbon tracker, think tank indipendente che studia l’impatto dei cambiamenti climatici sui mercati finanziari, non solo l’espansione dei combustibili fossili è contraria al processo di decarbonizzazione ma non permetterebbe nemmeno di abbattere i prezzi pagati dai consumatori e fallirebbe nel garantire una sicurezza energetica a lungo termine al Paese. Per raggiungere una stabilità dei prezzi (a breve come a lungo termine) sarebbero invece necessari lo sviluppo di fonti rinnovabili e la tassazione degli extra-profitti delle società energetiche.

Secondo la strategia pubblicata nel maggio 2021 dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), infatti, l’apertura di nuovi giacimenti di combustibili fossili è in contrasto con gli obiettivi di decarbonizzazione che prevedono di azzerare il livello netto di emissioni climalteranti entro il 2050. “La transizione ecologica e la produzione di nuovi combustibili fossili sono chiaramente incompatibili. Ma una maggior percentuale di gas e petrolio ‘domestici’ possono contribuire ad alleviare i costi energetici o addirittura a migliorare la sicurezza energetica del Regno Unito?”, si sono domandati i ricercatori di Carbon tracker il 2 settembre 2022.

La risposta è negativa: il costo della benzina per il consumatore, infatti, è legato al prezzo internazionale del barile di petrolio. Anche se l’Inghilterra dovesse aumentare la propria produzione di idrocarburi il conto finale di benzina e diesel non cambierebbe in modo significativo. “Per il gas la situazione è simile, anche se i mercati sono più ‘regionali’ -scrive ancora il think tank-. Dopo tutto, sono le aziende private e pubbliche di combustibili fossili a vendere i loro prodotti nel mercato preferito, che sarà quello in cui il prezzo è più alto”. Infatti l’80% della produzione di combustibili fossili inglese è destinata all’esportazione.

Un’altra critica alla strategia del Regno Unito riguarda i tempi molto lunghi necessari per rendere operativi i nuovi giacimenti: si stima siano necessari dai quattro ai dieci anni per le fasi di valutazione e sviluppo. Di conseguenza i nuovi progetti arriveranno decisamente “in ritardo” per affrontare la crisi energetica attuale. A differenza di quanto succederebbe con le fonti rinnovabili: un parco solare può essere completato in poche settimane, un parco eolico in pochi mesi e una struttura off-shore da un Gigawatt di potenza può entrare in funzione entro tre anni. Non solo le rinnovabili sono una scelta efficace “a breve termine” ma anche un’opzione migliore e sostenibile per il futuro.

“Aumentando la dipendenza dai combustibili fossili per il fabbisogno energetico del Regno Unito, il governo non solo non affronta l’immediata crisi energetica ma aumenta la futura esposizione alla volatilità dei prezzi globali”, avvertono i ricercatori. Il prezzo dell’energia rinnovabile, invece, non solo non è esposto alla volatilità dei prezzi dei combustibili fossili nei mercati internazionali ma è anche in calo da diversi anni. Dal 1990 al 2020 il costo in un Megawattora (MWh) di elettricità da solare ed eolico è calato di quasi mille volte, raggiungendo un livello in cui può competere con le fonti considerate “tradizionali”. Mentre il costo di generazione da combustibili fossili, con l’eccezione dei picchi di instabilità, si è mantenuto sullo stesso livello.

Secondo Carbon tracker l’elevato costo dell’energia in bolletta pagato dai cittadini britannici è dovuto anche alla debole transizione ecologica del Paese. “Il fatto che i costi delle rinnovabili stiano rapidamente diminuendo è un’altra ragione per cui la Gran Bretagna dovrebbe dare priorità agli investimenti nel settore. Infatti, lo sviluppo di energie alternative sostenuto da ‘tasse verdi’ ha già contribuito a ridurre le bollette energetiche e se alcune politiche climatiche (come il piano per le case a zero emissioni di carbonio nel 2015 e lo sviluppo di parchi eolici onshore) non fossero state tagliate negli ultimi dieci anni, i prezzi ora non sarebbero così alti”.

Le analisi elaborate dal think tank evidenziano come la mancata transizione ecologica del settore energetico possa danneggiare anche le aziende produttrici e i loro azionisti: “Carbon tracker ha dimostrato la crescente esposizione al rischio di svalutazione degli investimenti man mano che la domanda di petrolio e gas diminuisce con la transizione energetica”. Se in passato il settore oil&gas rappresentava una delle maggiori risorse per le entrate fiscali del Paese, dal 2014 con il crollo del prezzo del petrolio le aziende hanno iniziato ad aver bisogno di sgravi fiscali e di sussidi. In questo modo il governo inglese ha subìto una perdita dalla tassazione dei combustibili fossili. Inoltre il Regno Unito ha elargito sgravi fiscali per la dismissione degli impianti e delle infrastrutture non più in attività. Secondo le stime del think tank, il 40% di questi costi di dismissione verranno pagati dai cittadini britannici, spesa che aumenterà in futuro se verranno sviluppati nuovi giacimenti fossili.

Il Regno Unito è quindi a un punto di svolta nella sua strada verso la transizione energetica. Dal 1990 al 2020 il consumo di energia da carbone è calato drasticamente, passando dal 31% al 3% mentre quello di petrolio è diminuito dal 36% al 31%. Tuttavia solo metà della nuova potenza installata è ottenuta da energie rinnovabile (cresciute da 9% al 24%) mentre la percentuale di gas fossile è quasi raddoppiata. Ma la dipendenza da combustibili fossili espone i cittadini, oltre ad aziende e investitori, alla volatilità dei prezzi del mercato internazionale. “Il Paese deve proseguire il suo percorso verso una transizione ecologica diminuendo i propri investimenti nelle fonti fossili e riformando la propria tassazione del settore, diminuendo sgravi e sussidi e tassando gli extra-profitti delle aziende energetiche”, è l’indicazione conclusiva di Carbon tracker.

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