Diritti / Opinioni
Dalla Francia un’inchiesta che buca l’omertà sulla polizia
Il giornalista Valentin Gendrot si è fatto assumere come “ausiliario alla sicurezza” e ha raccontato il mondo degli agenti dall’interno. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci
Che cosa sappiamo realmente di quel che succede in seno alle polizie? Di come vivono gli agenti? Di come sono preparati? Delle culture in cui si riconoscono? Degli errori che compiono e di come li affrontano? Poco, pochissimo. Perché le polizie non si raccontano e malvolentieri si fanno raccontare. In Italia ne sappiamo qualcosa con l’esperienza del G8 di Genova del 2001: sono passati vent’anni, ma lo choc di scoprire forze di polizia violente fino alla pratica diffusa della tortura è tutt’altro che superato. Non si è voluto ragionare apertamente sull’accaduto, alimentando così sentimenti di distanza e di sfiducia.
Non che all’estero vada molto meglio. Viviamo una fase di crisi delle democrazie e le polizie sono risucchiate verso logiche autoritarie e repressive: chi comanda, è sempre più disposto a forzare la mano nel controllo della protesta. È un fenomeno ben visibile per esempio in Francia, dove è forte la polemica sugli abusi di polizia compiuti per contrastare il movimento dei gilet gialli e anche le proteste contro la riforma delle pensioni. Proprio in Francia un giovane giornalista, Valentin Gendrot, ha trovato il modo di aggirare i muri e le chiusure che impediscono di conoscere da vicino l’universo umano e professionale della polizia. Si è fatto assumere regolarmente ed è riuscito a entrare in una squadra operativa nella banlieue parigina.
Ne è scaturito un libro, “Sbirro” (edizioni Nutrimenti), che racconta con sobrietà e precisione uno stato di malessere diffuso. L’agente Gendrot (assunto come “ausiliario alla sicurezza”, a 1.340 euro al mese) scopre presto l’esistenza di alcune consolidate prassi che si fanno beffe delle regole. Lo spirito di clan, innanzitutto. Avviene quando uno dei colleghi ha un battibecco con un ragazzino e lo preleva, lo porta lontano, lo pesta e lo abbandona. Una volta arrivata la denuncia, il poliziotto-bullo ottiene senza fatica dai colleghi (inclusa la caposquadra) testimonianze false sull’accaduto.
Poi c’è il razzismo: “Il comportamento dei poliziotti, in generale, cambia a seconda del colore della pelle. Come se le forze dell’ordine -scrive Gendrot- applicassero una sorta di ‘presunzione di colpevolezza’ nei confronti di una parte della popolazione”. E ancora, l’attitudine alla violenza gratuita: “La cosa che mi stupisce di più, oltre ai profili violenti, è quanto si sentano intoccabili. Come se non ci fosse nessuna struttura e nessuna sorveglianza da parte della gerarchia. Come se un poliziotto potesse scegliere, in base al proprio arbitrio e all’umore del momento, se essere violento o meno”. E così via. Gendrot non è né cinico né prevenuto, e anzi mette a fuoco il profondo disagio di migliaia di poliziotti, testimoniato dall’alto numero di suicidi. Un fenomeno affrontato dai vertici in modo improvvisato, con goffi inviti a fare gruppo, per esempio organizzando barbecue.
59: i poliziotti che si sono tolti la vita in Francia nel 2019, nel periodo di “infiltrazione” del giornalista Valentin Gendrot
Il libro di Gendrot non è una ricerca sociologica ma nemmeno un reportage scandalistico: è una voce dall’interno che prova a forare la patina opaca della retorica democratica ma anche l’insidia del pregiudizio. La polizia francese, negli ultimi anni, ha commesso molti errori e molti abusi: è un corpo malato, che ha bisogno di cure, più che di attacchi a tutto campo o difese d’ufficio indiscriminate. Servirebbe un Gendrot in ogni Paese, o meglio ancora: servirebbero voci che dall’interno rompono la regola del silenzio e dell’omertà. Certo, resta il dubbio di fondo: c’è qualcuno, nei palazzi del potere, disposto ad ascoltare davvero?
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”.
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