Diritti / Opinioni
In Francia si discute degli abusi della polizia. In Italia no
La morte di Cédric Chouviat a Parigi ha riacceso il dibattito sull’uso della forza degli agenti. Discussione assente nel nostro Paese. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci
La Francia è in pieno fermento politico, attraversata da manifestazioni e scioperi. Con le piazze piene, i cortei affollati, la protesta sociale che sale, si discute molto oltralpe di ordine pubblico e di polizia. In più occasioni le forze dell’ordine sono state accusate di un uso eccessivo e sproporzionato della violenza e settimana dopo settimana si è accumulata un’ampia documentazione video e fotografica in materia. Violente cariche preventive, largo utilizzo di strumenti pericolosi (come i proiettili di gomma), episodi di pestaggio di persone inermi: il carnet delle contestazioni è molto ampio e così il dossier all’esame dell’autorità incaricata di verificare le accuse e la condotta dei poliziotti.
In un clima già teso, si è inserito un episodio molto grave: all’inizio di gennaio un fattorino di 42 anni, Cédric Chouviat, è morto a Parigi in seguito a un fermo di polizia. La scena è stata ripresa da numerosi filmati girati da cittadini di passaggio. L’uomo viene fermato per strada da una pattuglia che gli contesta l’uso del cellulare alla guida dello scooter. Sceso dal mezzo, si rivolge agli agenti filmandoli con il suo smartphone (operazione vietata dalla legge): comincia un alterco, finché Chouviat viene messo faccia a terra da tre agenti. I video sono drammatici: si vede l’uomo dibattersi sull’asfalto a fianco dell’auto della polizia, gli agenti sopra di lui finché lo sbattere di gambe di Chouviat non cessa. A quel punto soccorso e portato in ospedale, il fattorino morirà tre giorni dopo: asfissiato per la frattura della laringe, secondo l’autopsia.
Il caso ha suscitato grande clamore e la magistratura ha aperto un’inchiesta, mentre si è aperta un’accesa discussione sulle violenze della polizia; è una vicenda, quella di Chouviat, che ricorda da vicino casi accaduti in Italia, vedi la fine di Federico Aldrovandi a Ferrara e quella di Riccardo Magherini a Firenze.
24, le persone che hanno perso un occhio in Francia negli ultimi mesi a seguito di scontri con la polizia durante manifestazioni pubbliche
Per entrambi i versi -la gestione dell’ordine pubblico, le tecniche di arresto- l’operato delle forze di polizia è al centro della scena e si ha il coraggio, in Francia, di affrontare questioni difficili e un tema generale molto delicato, il rapporto fra uso della forza e diritti democratici. Il pendolo, in questa fase storica, pende pesantemente sul primo braccio della bilancia col potere politico ben disposto a cedere il passo alla repressione, nell’incapacità di trovare soluzioni democratiche e partecipative ai casi più roventi.
Nella Francia scossa prima dai gilet gialli e poi dalla protesta per la riforma delle pensioni si intravedono meccanismi simili a quelli osservati in Italia nei momenti caldi della contestazione al Tav in Val di Susa.
Ma mentre a Parigi la condotta della polizia è sotto osservazione e passata al vaglio di una critica serrata, in Italia l’uso del braccio di ferro -sia poliziesco, sia giudiziario- non è stato discusso in modo adeguato né in ambito mediatico né sul piano culturale e politico. Nicoletta Dosio, condannata a un anno per una manifestazione No Tav del 2012, ha rifiutato le misure alternative ed è entrata in carcere a Torino il 30 dicembre scorso con il preciso obiettivo di richiamare l’attenzione su questo lato oscuro delle democrazie del nostro tempo, sempre più tentate dalle scorciatoie autoritarie. La richiesta di Nicoletta è limpida e ha tutta la forza della prassi nonviolenta: non dev’essere lasciata cadere, pena un ulteriore degrado della nostra vita civile e istituzionale.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del Quotidiano Nazionale. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”
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