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Diritti / Opinioni

A chi stiamo negando il diritto d’asilo e perché dobbiamo vergognarci

© Miko Guziuk

È uscita la quinta edizione del report “Il diritto d’asilo” pubblicato dalla Fondazione Migrantes. S’intitola “Gli ostacoli verso un noi sempre più grande” ed è una miniera di informazioni e squarci sul mondo, sull’Europa e sull’Italia. Pubblichiamo l’illuminante intervento di presentazione di Mariacristina Molfetta, curatrice del volume con Chiara Marchetti

Prima di entrare nel merito del triste quadro che anche quest’anno emerge dal Rapporto, ci tengo a sottolineare la partecipazione dell’Unione nazionale italiana per rifugiati ed esuli (Unire). È un fatto molto importante. Unire è entrata all’interno della redazione e vi rimarrà anche nei prossimi anni: questo vuol dire che fa parte del gruppo che decide l’indice, stabilisce i temi e poi lo presenta assieme a noi. È veramente ora che la parola ce l’abbiano direttamente le persone e che noi impariamo a camminare a fianco, non solo a tendere una mano. È tempo che lasciamo degli spazi perché nell’opinione pubblica si senta direttamente la voce delle persone che molto meglio di noi hanno un’esperienza di che cosa ha significato passare innanzitutto attraverso i non-passaggi e poi attraverso spesso la non-accoglienza e la difficile integrazione che questo Paese ancora riserva.

Veniamo ora al triste scenario europeo. Il Rapporto in realtà in questo dimostra una grande continuità rispetto alle edizioni precedenti perché non è chiaramente il primo anno che stiamo violando né la Convenzione di Ginevra né quella dei diritti umani né la possibilità di fare domanda d’asilo all’interno del Paese, ma se vogliamo ogni anno si acuisce e diventa più smaccata la modalità con cui lo facciamo. Non abbiamo neanche più remora di nascondere quanto in realtà stiamo violando queste convenzioni.

Da una parte abbiamo il numero delle persone in fuga che aumenta, non dico nessuna novità: ogni anno il numero è più alto, nel 2021 siamo già a 84 milioni. Quando ci si ferma solo al numero di questi 84 milioni verrebbe da dire “Beh certo vedi sono tanti e quindi è giustificato che noi e il nostro Paese non possiamo fare sempre di più”. In realtà di questi 84 milioni è bene ricordare che la stragrande maggioranza, nell’85% dei casi, è nei Paesi limitrofi, molti di questi Paesi sono tra i più poveri del mondo. Non è certo l’Europa, nella parte ricca del mondo, quella che se ne fa carico.

La presentazione del report 2021 “Il diritto d’asilo. Gli ostacoli verso un noi sempre più grande”, 14 dicembre 2021

Diventiamo così sempre più attivi non solo per mantenere un numero maggiore di persone lontano da noi ma per far proprio in modo che questi canali legali di ingresso spariscano. C’è un dato che a me piace tristemente citare perché rende molto chiara l’ipocrisia. Degli 84 milioni di persone che non hanno più una casa e che per l’85% stanno in campi profughi vicino alle zone di conflitto, bene di questo 85% viene stabilita una lista di quali sono le persone più bisognose. Questa lista è fissa da molti anni perché noi non ne spostiamo mai nessuno ed è circa 1.400.000. Di questi milioni di persone che stanno nei campi profughi ce ne sono dunque 1.400.000 che non sopravviveranno. Vuol dire che hanno bisogno di cure mediche, che hanno bisogno di attenzioni che non si riescono a garantire dentro ai campi profughi. E bene questa lista viene mandata ai Paesi più ricchi occidentali e di questa lista nel 2020 nella ricca Europa ne abbiamo fatti arrivare 20.000. La ricca Europa significa più di 500 milioni di abitanti. Questo dà una misura di quanto noi non siamo disponibili ad aprire dei canali legali di ingresso, perché quelli sono dei canali legali.

Vuol dire che non apriamo dei canali per fare arrivare delle persone in sicurezza. Questa cosa non la facciamo sistematicamente da anni. Poi certo abbiamo qualche canale umanitario e quindi noi nel rapporto, con precisione, abbiamo provato a ricostruire quante persone sono arrivate negli ultimi cinque anni attraverso i canali umanitari -che sono uno strumento preziosissimo e che però devono avere il loro posto numerico dentro a questo scenario e devono diventare in realtà l’occasione perché i governi facciano uno scarto significativo-. Bene dicevo negli ultimi cinque anni in tutta Europa con i canali umanitari sono arrivate poco più di 4mila persone.

Potremmo essere contenti perché quasi 3.300 solo in Italia. Uno dice “La nostra piccola parte l’abbiamo fatta”. Già, ma è veramente piccola. E per di più i canali umanitari vengono portati avanti spesso da organizzazioni religiose, dal Terzo settore che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione di queste persone. E quindi quelle 1.400.000 persone che aspettano e che non hanno una possibilità -perché non avranno operazioni e non avranno cure- sono sempre lì. Quest’anno, sentiamoci un po’ meglio, ne abbiamo fatte arrivare forse 25mila in Europa. Sono dei numeri che fanno veramente vergognare.

Quindi canali legali di ingresso non ne apriamo e questo, come dire, non è una grande novità, è il trend degli ultimi anni. Ma non solo: abbiamo iniziato a chiudere con sempre più ferocia quelle che sono le possibilità che alle persone lasciamo, quelle cioè di viaggiare in maniera irregolare. Prima abbiamo esternalizzato, abbiamo provato a tenerli il più lontano possibile. Abbiamo pagato per questo, abbiamo pagato chiunque fosse disponibile a farlo, dal peggiore dei dittatori alla peggiore delle condizioni. Paghiamo per mantenerli in campi di prigionia e paghiamo tanti soldi.

Perché non usiamo quelle cifre per accogliere poche migliaia di persone? Non è un’orda barbarica quella che sta aspettando fra la Bielorussia e la Polonia. Di quanto stiamo parlando? 5.000, 6.000 persone? Non siamo in grado in 500 milioni in Europa di farci carico di 5.000, 6.000 persone? La Turchia ne ha quasi quattro milioni. Paesi molto più poveri della Turchia -che sono quelli che accolgono- hanno un Pil che non è neanche paragonabile al nostro. E vergognosamente queste poche centinaia di persone vengono non solo tenute fuori ma anche attaccate con idranti e lacrimogeni, con l’esercito schierato, neanche fossero gli ultimi dei barbari o l’esercito più pericoloso. E non ci siamo neanche fermati lì. Gli abbiamo proibito di accedere alle misure di sicurezza, le organizzazioni non hanno potuto sfamare e nutrire quelle persone. Non ci fermiamo veramente di fronte a nulla. Quindi va bene che muoiano di fame, va bene che muoiano di freddo, poche migliaia di persone ai confini dei Paesi più “cattolici” d’Europa. Ma veramente vergogniamoci.

E adesso cito un altro numero, quello dei respingimenti verso la Libia. In questi cinque anni abbiamo rimandato più di 100mila persone in Libia e 25mila nell’ultimo anno. È vergognoso. Sappiamo dove le rimandiamo, sappiamo in quale tipo di Paese, in quale tipo di condizione e a che tipo di persone le stiamo riconsegnando.

Nel rapporto abbiamo fatto il punto anche sul Covid-19. Non ci sembrava vero, finalmente avevamo una motivazione per chiudere queste maledette frontiere. Le abbiamo sigillate ancora di più se era possibile. Quasi tutti i Paesi hanno dichiarato che i richiedenti asilo non potevano arrivare. Noi chiaramente possiamo andare in quei Paesi. Noi ne siamo stati la testimonianza: a febbraio 2021, in pieno Covid-19, abbiamo potuto andare in Niger. Basta fare una quarantena, fare un tampone e poi si può entrare. Però chissà perché alle persone che hanno bisogno di cure dalle altre parti del mondo, a loro no, la possibilità di fare una quarantena e di entrare qua non viene data.

Noi abbiamo molto più di un vaccino a persona e ci sono parti del mondo dove ce n’è uno ogni 100mila persone. Queste parti del mondo dove stanno i rifugiati non hanno quasi neanche un letto di terapia intensiva, noi andiamo in allarme se ne occupiamo il 10% nelle nostre Regioni. È solo per farvi toccare con mano quanto in realtà siamo poco consapevoli di qual è la diversità tra “stare qua” e stare da un’altra parte del mondo. E quanto è illusorio il nostro pensiero di chiudere con un filo spinato e un muro i problemi fuori dalla porta di casa.

Non mi stanco di pensare e di ricordare che se questo continente e questo Paese non riusciranno a fare uno scatto di realtà -non siamo invasi da niente e da nessuno-, se non avremo uno scatto di civiltà che ci fa vedere la realtà per quella che è, ovvero che siamo un continente vecchio, arroccato e chiuso, che difende i propri privilegi e non apre le porte a chi realmente ha bisogno, beh questo continente meriterà di non sopravvivere.

A me tocca sempre questa parte drammatica e mi dispiace. Vorrei veramente arrivare un giorno e dire “Quest’anno ho visto dei significativi cambi di scenario e di prospettiva, finalmente stiamo rispettando di nuovo la Convenzione di Ginevra, il principio di non respingimento, stiamo accogliendo con responsabilità rispetto alle nostre capacità le persone che ne hanno bisogno. Trepido per riuscire un giorno a dire questa cosa e spero che a breve riusciremo a farlo.

Mariacristina Molfetta è antropologa culturale, ha lavorato dal 1992 al 2008 nella protezione dei diritti umani e nella cooperazione internazionale. Ha vissuto all’interno di campi profughi nei Balcani, in Centro America nelle aree tribali del Pakistan, nel Kurdistan iracheno e in Darfour nel Sudan. È attualmente la referente della sezione protezione internazionale e diritto d’asilo dell’area ricerca e documentazione della Fondazione Migrantes e dell’Osservatorio permanente sui rifugiati Vie di Fuga

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