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Cultura e scienza / Opinioni

Uno spaccato ironico sull’università italiana degli anni Settanta

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Con “La ricreazione è finita” lo scrittore Dario Ferrari esplora alcune “lacune” della letteratura del nostro Paese. La vicenda di un dottorando che scopre il grottesco mondo accademico si intreccia con un enigmatico mistero legato a uno scrittore ex terrorista. Una credibile commedia nell’ambiente universitario degli Anni di piombo

Alcune rimozioni culturali: spesso ci si chiede perché manchino narrazioni su realtà, peculiarità e periodi molto rilevanti della società italiana e della nostra storia recente. Non abbiamo -ad esempio- una grande tradizione letteraria (o cinematografica) su temi legati al mare e alla fabbrica, pochi romanzi sul lavoro e ancora meno sulla navigazione.

Un altro ambiente poco raccontato è quello dell’università, anche se la prima accademia occidentale è stata fondata in Italia, per la precisione a Bologna, nel 1088. Fatta eccezione per “Apocalisse da camera”, piccolo gioiellino caustico di Andrea Piva (Einaudi, 2006), non ci sono tanti campus novel, cioè racconti sul mondo universitario, nella nostra tradizione. 

Altra rimozione: sebbene gli Anni di piombo siano molto raccontati e studiati -dalla pubblicistica, dai documentari, dal cinema, nelle memorie di chi li ha vissuti- non si trovano molti romanzi su quel periodo storico. Fatta eccezione per qualche caso isolato comeTempo materiale” di Giorgio Vasta (Minimum fax, 2008) oppure “Strage” di Loriano Macchiavelli (pubblicato nel 1990 e subito ritirato dall’editore, è stato ripubblicato da Einaudi solo nel 2010)

Ultima rimozione: la commedia all’italiana. Quel genere dolce e amaro che ha contraddistinto buona parte della fortuna di tanta nostra produzione culturale, soprattutto cinematografica, che via via è stata sempre più marginalizzata. In generale non c’è più molto spazio per narrazioni che ricorrono allo humor, al grottesco. Insomma si ride meno, anche in modo amaro, tra la richiesta di verità del pubblico pseudo-impegnato, storie vere, ispirate a fatti realmente accaduti e generi d’intrattenimento che ricorrono poco o nulla alla leggerezza. 

Bisogna essere grati, dunque, a Dario Ferrari per aver concentrato nel suo secondo romanzo queste rimozioni. “La ricreazione è finita” (Sellerio, 2023) è una credibile commedia all’italiana i cui protagonisti si muovono in ambiente universitario nell’Italia degli Anni di piombo. Oltre a essere uno dei migliori romanzi di quest’anno è anche un’inchiesta e una riflessione sulla letteratura.

Marcello è un trentenne da manuale: viene da una provincia (quella di Viareggio) ed è quello che ai tempi si definiva un “vitellone”: abulico e cinico è senza un lavoro, non ha prospettive. Passa le giornate con i soliti amici e la fidanzata di sempre. Ha frequentato la facoltà più inutile di tutte, quella di Lettere di Pisa, e si è laureato con una tesi sul grottesco in Kafka. Grazie a un ripescaggio improbabile a un concorso fatto senza speranze, ottiene una borsa di studio per un dottorato sotto l’egida del barone della facoltà: il chiarissimo professor Sacrosanti.

Questi gli assegna un lavoro di ricerca su uno scrittore minore, di cui il protagonista non ha mai sentito parlare: l’ex terrorista scomparso Tito Sella. Il barone gli impartisce una lezione, infatti, sul funzionamento feudale dell’università italiana: meglio presidiare un argomento minuscolo, cosicché da diventare lo specialista e ottenere un dazio da chiunque voglia citarlo, che occuparsi di grandi temi. Così si fa carriera: “Conosco dei cretini che però erano i massimi conoscitori di Gozzano, o di Giovan Battista Marino”.

C’è anche la prospettiva di andare a Parigi e scartabellare il Fondo di Sella, che custodisce le carte e gli scritti dell’ex terrorista trasferitosi in Francia dopo il carcere grazie alla dottrina Mitterrand sull’asilo politico a favore di persone imputate o condannate per “atti di natura violenta ma d’ispirazione politica” a patto che avessero deposto le armi. Tra quelle carte potrebbe nascondersi “La fantasima”: il manoscritto perduto dello scrittore, un romanzo autobiografico proprio sugli Anni di piombo. 

Lo studio della vita e delle opere di Sella risveglia in Marcello un senso di identificazione e connessione empatica con il terrorista-scrittore. Quello che lo colpisce, in particolare, è la natura intima e personale, piuttosto che sociale, della disperazione che Sella trasmette. In parallelo, il protagonista si addentra nell’interno del mondo universitario, esplorando le intricate trame sottostanti: le lotte di potere tra gruppi influenti e le contrapposizioni ideologiche che spesso si rivelano soltanto pretesti per una lotta di egemonia. “La ricreazione è finita” getta luce sul processo di costruzione di una carriera accademica e rivela, inoltre, i dettagli sulla scrittura e la valutazione degli articoli scientifici. 

Nel libro si sovrappongono dimensioni immaginarie e reali, in cui verità sospese emergono come inaspettati colpi di scena. L’archivio di Sella, custodito nella Biblioteca nazionale di Parigi, nasconde un mistero, mentre il rinomato professor Sacrosanti manifesta un interesse sospetto per lo scrittore dimenticato: che cosa potrebbe narrare, se mai esistesse, “La fantasima”, l’autobiografia smarrita?

Ferrari ha una scrittura davvero felice, divertente e divertita. Raccontando il mondo accademico -togliendosi qualche soddisfazione nello svergognare nevrosi e assurdità di quel mondo- travalica spesso nel grottesco descrivendo le illogiche leggi non scritte universitarie, non omettendo la violenza di alcuni comportamenti. Come si cita, come non si cita, a che cosa servono i convegni, chi sono i dottorandi e che cosa sono disposti a fare: sono solo alcuni esempi del campionario istituzionale messo in fila dall’autore. Il suo è un libro sull’università, ma è soprattutto sul potere, sulla capacità manipolativa del potere dentro un’istituzione. 

“La ricreazione è finita” fa riferimento alla fine dell’innocenza -politica e ideologica- della generazione post-1977. Ma anche, nel gioco di rispecchiamento tra epoche, con la formazione degli individui in questo tempo attuale. Un po’ per provenienze e per stile -la Toscana tirrenica e la spigliatezza della commedia- richiama alla mente Mario Monicelli e il suo cinema. Per un paio di riferimenti, invece, l’altro nome che salta fuori dalla pagina è quello dello scrittore Roberto Bolaño.

Il romanzo di Ferrari è, dopotutto, un oggetto letterario esplicitamente postmoderno, nel quale, per dirla davvero in modo sintetico, il pessimismo per la dinamica storica è rimborsato dalla fiducia per la letteratura. Qual è, infatti, il limite tra invenzione e realtà? Quel dato scrittore è davvero esistito? E quell’opera è stata, in effetti, scritta? Sono domande, però, da non porsi, sembra suggerire Ferrari con il suo libro, perché la letteratura è quell’invenzione che deve aiutarci a comprendere qualcosa di più profondo, di noi stessi e della nostra storia comune. 

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