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Interni / Intervista

Enrico Deaglio. Cinquant’anni di Piazza Fontana

A mezzo secolo dalla bomba nella Banca nazionale dell’agricoltura di Milano, il giornalista ha ricostruito in un libro la vicenda, dai depistaggi alla copertura degli esecutori materiali

Tratto da Altreconomia 220 — Novembre 2019
La folla ai funerali delle vittime di Piazza Fontana, il 15 dicembre 1969. Il giorno che cambiò l’Italia, secondo Enrico Deaglio - wikipedia

La quarta del libro di Enrico Deaglio dedicato alla strage di piazza Fontana è stringata ed efficace come un tweet ben scritto: “La bomba compie mezzo secolo. Non ha mai smesso di cambiare l’Italia, quasi fosse una massa incandescente nel sottosuolo, che continua a bruciare”. Il 12 dicembre 1969, a Milano, nel salone centrale della Banca nazionale dell’agricoltura, scoppiò un ordigno capace di fare 17 morti e di far vacillare una giovane Repubblica la cui storia dopo il fascismo aveva poco più di vent’anni.

“Quando scoppiò la bomba ero uno studente di Medicina a Torino, tra i fondatori di Lotta Continua (formazione della sinistra extraparlamentare, ndr)” racconta Deaglio, classe 1947, già direttore del settimanale Diario, oggi editorialista del Venerdì, che su “La bomba” (questo il titolo del libro edito da Feltrinelli, 304 pagine, 18 euro) cumula ricerche, interviste e aneddoti dal 1969. L’accusa mosse subito verso un’improbabile pista anarchica, e tre giorni dopo la strage un uomo -Giuseppe Pinelli, ferroviere- morì al termine di un interrogatorio lungo tre giorni, precipitato da una finestra della Questura di Milano. Solo nel 2005 la Corte di Cassazione stabilì che l’ideazione della strage era attribuibile a un gruppo eversivo costituito a Padova, vicino a Ordine Nuovo, organizzazione neofascista, e capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più condannabili in quanto già assolti in passato per lo stesso reato. Gli esecutori materiali, coloro che portarono la bomba in piazza Fontana, non sono mai stati ricercati. 

Perché, cinquant’anni dopo, c’è bisogno di scrivere di Piazza Fontana? È solo il dovere della memoria?
ED Perché non c’è nessuna verità ufficiale, non esiste una verità giudiziaria: tutta la vicenda si è conclusa senza alcun colpevole. Esiste un oblio, e non c’è nemmeno di fatto una ricostruzione storica, una narrazione, di ciò che è successo, di ciò che l’ha causato. È un avvenimento enorme, eppure nascosto. Accanto al dovere della memoria, che va esercitata, ce n’è anche uno storico: ricostruire quella vicenda.

La bomba scoppia il 12 dicembre. Ma, scrive, il giorno che cambiò l’Italia è il 15 dicembre. Perché?
ED La bomba faceva parte di un piano, e questo piano prevedeva di seminare il terrore. Di creare un clima di insicurezza nella società italiana che avrebbe favorito l’instaurazione di un governo autoritario, se non militare. Secondo questo progetto, la bomba doveva scoppiare di venerdì e il lunedì seguente, ai funerali, avrebbero dovuto esserci incidenti politici. Sarebbe così partita la richiesta di una sospensione dei diritti costituzionali, e un governo d’emergenza che limitasse le libertà costituzionali. Il 15 dicembre il prefetto e il ministero dell’Interno avevano già annunciato di aver trovato il colpevole, gli anarchici. Questo disegno venne meno perché quel giorno in piazza a Milano ci fu una presenza massiccia e silenziosa, senza bandiere, senza connotazioni politiche di sorta, che ha fatto da argine a questa possibilità. È la giornata che ha cambiato le sorti del nostro Paese. Ricordo, di quel giorno, l’assenza del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Oggi c’è una liturgia, dopo ogni bomba, ogni attentato: prevede fiaccolate e presenza, ed è impensabile che non ci sia la più alta carica dello Stato.

“Esiste un oblio, e non c’è nemmeno di fatto una ricostruzione storica, una narrazione, di ciò che è successo, di ciò che l’ha causato. È un avvenimento enorme, eppure nascosto. Accanto al dovere della memoria, che va esercitata, ce n’è anche uno storico: ricostruire quella vicenda”

La strage di piazza Fontana portò a coniare il concetto di “strategia della tensione”. Lo fece un quotidiano inglese. Che cosa significa? A suo avviso è mai terminata?
ED Quel termine fu usato da The Observer, e voleva indicare una strategia di destabilizzazione, tesa a favorire una svolta autoritaria. Questo è successo, per tutti i successivi vent’anni. Il progetto che non è riuscito a Milano nel 1969, per la risposta della società civile, è continuato per vent’anni con gli stessi protagonisti, le stesse facce, le stesse strutture e gli stessi obiettivi, con tutte le stragi seguite dopo (tra le altre: piazza della Loggia, a Brescia, maggio 1974; treno Italicus, San Benedetto Val di Sambro, agosto 1974; Dc 9 Itavia, Ustica, giugno 1980; stazione di Bologna, agosto 1980; Strage del Rapido 904, Appennino, dicembre 1984, ndr), alcune fatte dalle stesse persone. Questo dimostra che il nucleo di potere che concepì questa strategia non era piccolo, né marginale. In seguito, la violenza politica assume altre forme, c’è il periodo delle Brigate Rosse, quindi quello della grande violenza mafiosa, che termina alla fine del 1993. Tra 50 anni gli storici ci diranno perché da 25 anni in Italia non c’è più violenza politica, dopo che stragi e attentati avevano caratterizzato la vita delle due generazioni precedenti. L’Europa è da 10 anni sotto attacco del terrorismo islamico, ma in Italia non c’è stata alcuna bomba: questo non lo so ancora interpretare.

Enrico Deaglio

Perché la morte di Pinelli è, a suo avviso, il più grande mistero della storia italiana del Novecento?
ED È simbolico. La figura dell’uomo innocente che, in mano ad una struttura di potere, misteriosamente muore mentre è nella custodia di chi avrebbe dovuto garantire la sua sicurezza. Pinelli era un ferroviere anarchico, padre di famiglia, con due figlie piccole, un uomo che aveva sempre rifiutato la violenza, un uomo contro il quale si organizza una catena di menzogne che è francamente impressionante. Era difficile pensare, in quei giorni, che si levasse a Milano una voce per mettere in dubbio la verità della polizia, e quella polizia affermava che Pinelli si era suicidato perché colpevole. Una figura alla Gesù Cristo, l’uomo inerme ucciso dal potere. Una cosa che si sarebbe ritrovata, ad esempio, a Genova nel 2001, o nel caso di Stefano Cucchi. Per quanto riguarda Pinelli, la cosa più impressionante è l’omertà ufficiale: riconquistare la verità, anche solo dubitare, è stato difficile, e si è verificato con strumenti inediti, nella musica (La ballata del Pinelli, nel 1969, ndr), nelle rappresentazioni artistiche (Morte accidentale di un anarchico, del Nobel per la letteratura Dario Fo, del 1970), le scritte sui muri. Hanno portato a riaprire il caso, e al formarsi di una coscienza. Di tutte le cose che questa Bomba mi ha insegnato, una la considero un comandamento del vivere civile: quando ti dicono che un anarchico si è buttato dalla finestra della Questura, non ci devi credere. Tra i protagonisti, emerge Licia Pinelli, la moglie di Giuseppe: nessuno riuscì a metterla a tacere.

Alcuni testimoni avrebbero potuto condurre verso una soluzione immediata del caso. Perché non furono ascoltati?
ED La mia ricostruzione è la prima che lega due aspetti, l’organizzazione dell’attentato e quella del depistaggio. Perché quando è stato pensato l’attentato, è stato contestualmente ideato il piano per costruire il falso. Sono notizie di cui si è avuto prova recentemente, quando si è saputo che l’Ufficio Affari Riservati aveva organizzato la presenza di Pietro Valpreda (il primo anarchico fermato e accusato per la strage di piazza Fontana, ndr) a Milano, a lungo interpretata come una coincidenza. Io poi descrivo la storia di Guido Lorenzon, insegnante di Maserada sul Piave (TV) e amico di Giovanni Ventura: lui aveva raccontato tutto, il lunedì stesso. Quella notte in cui morì Pinelli. È incredibile come siano riusciti a metterlo a tacere, quanta forza si sia mobilitata -la Questura di Padova, quella di Milano, i servizi segreti- per chiudere la bocca a quest’uomo. Ancora adesso viene trattato come una figura marginale.

Perché un giovane o un adolescente dovrebbe studiare piazza Fontana o leggere il suo libro, nel 2019?
ED Perché l’Italia orribile del nostro presente è così perché c’è stata piazza Fontana. Se noi abbiamo fenomeni come Matteo Salvini, ministri dell’Interno che si fanno fotografare con un rosario o con le armi, la chiusura dei porti, gente che aizza al razzismo, lo dobbiamo al fatto che quelle vecchie cose non sono mai state cancellate. Un ragazzo di vent’anni che vorrà studiarle, troverebbe similitudini nel modo di organizzarsi della destra, di muovere campagne di opinione. Oggi sono affidate ai social network, ma hanno la stessa radice di 50 anni fa.

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