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Ambiente / Approfondimento

Una “nuova Ilva” minaccia la biodiversità della laguna friulana e l’economia locale

Una vista della Laguna di Marano dall'alto © Giosuè Cuccurullo

Nell’area industriale di Assa Corno, ai confini della laguna friulana, potrebbe sorgere un gigantesco polo siderurgico. Secondo i promotori -il gruppo ucraino Metinvest e la multinazionale Danieli- favorirebbe il tessuto produttivo della zona. I comitati territoriali ne evidenziano i gravi impatti, anche su turismo e pesca

Nell’area industriale Aussa Corno di San Giorgio di Nogaro, ai margini dell’area di forte interesse naturalistico che è la laguna friulana, potrebbe sorgere un maxi polo siderurgico in grado produrre da 2,4 a quattro milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Un impianto paragonabile all’ex Ilva di Taranto, quindi, che nel 2022 si è attestata a 3,1 milioni di tonnellate.

I protagonisti del progetto, che ai primi giorni di luglio non è stato ancora reso pubblico, sono il Gruppo Metinvest B.V., multinazionale ucraina del settore minerario e siderurgico con un fatturato da 18 miliardi di euro all’anno, e la Danieli & C. Officine Meccaniche Spa, multinazionale della siderurgia con sede a Buttrio, nell’hinterland udinese.

La notizia del possibile investimento -per due miliardi di euro, che il colosso ucraino deciderà se stanziare a settembre- ha sollevato polemiche sul territorio da parte di cittadini, comitati, associazioni e amministrazioni comunali: il danno ambientale, infatti, potrebbe essere enorme, nonostante l’utilizzo di un sistema di produzione di “nuova generazione” le cui emissioni sarebbero al di sotto delle soglie di legge. L’impianto sorgerebbe nei pressi di una zona, quella lagunare, che è protetta sotto diversi punti di vista; si tratta di un sito della Rete Natura 2000, il network delle aree europee prioritarie per valore naturalistico e per la tutela della biodiversità e di una zona speciale di conservazione e di protezione speciale, per le specie animali e vegetali, soprattutto per gli uccelli, che qui trovano uno snodo fondamentale per le migrazioni.

“Al netto delle tecnologie che possono essere messe in campo, il luogo indicato è sicuramente inidoneo, per mille motivi conosciuti -spiega Sandro Cargnelutti, presidente di Legambiente Friuli-Venezia Giulia-. La laguna è il punto di arrivo di centinaia di uccelli migratori ed è un luogo di grandissima biodiversità”.

A determinare impatti dirompenti sull’ambiente sarebbero le infrastrutture necessarie al funzionamento dell’acciaieria. All’impianto dovrebbero arrivare navi fino a 30mila tonnellate; questo lungo il canale Aussa Mare, oggi utilizzato per accedere al porto, sarebbe impossibile. Servirebbe un dragaggio, per arrivare a un fondale di 12 metri contro i 6,5 attuali, che continuerebbe in mare per circa due miglia, unita alla costruzione di banchine alla confluenza dei fiumi Aussa e Corno che in questa zona sfociano. “La laguna è fortemente inquinata da mercurio e da cromo esavalente, sostanze cancerogene disperse da attività industriali degli scorsi decenni, presenti sul fondo e nei fanghi -aggiunge Maurizio Fermeglia, ingegnere chimico, già rettore dell’Università di Trieste e delegato del Wwf per il Friuli-Venezia Giulia-. Dragare significherebbe movimentare i fondali, rilasciando questi inquinanti nelle acque”.

Secondo uno studio svolto dagli esperti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) pubblicato all’inizio del 2023, i livelli di mercurio riscontrati nei sedimenti, nell’acqua e negli organismi viventi della laguna sarebbero già superiori alla norma: con un intervento di dragaggio la situazione non potrebbe far altro che peggiorare. “Un altro problema sarebbe la penetrazione del cosiddetto cuneo salino -continua Fermeglia-, che, insieme all’innalzamento del livello dei mari di 40 o 50 centimetri previsto per il 2050, andrebbe a mettere a serio rischio le falde di acqua dolce della bassa friulana, che verrebbero fortemente salinizzate”.

La zona industriale di Aussa Corno è solo una delle tre opzioni al vaglio della Metinvest come insediamento dell’impianto, insieme al ravennate e a un altro Paese europeo, probabilmente la Bulgaria. I vertici della Danieli, tuttavia, hanno dichiarato che preferirebbero costruire l’acciaieria in territorio friulano; il nuovo complesso industriale, infatti, aumenterebbe secondo loro il Pil della Regione dell’8%. Questo non tiene conto, tuttavia, degli ingenti danni che i lavori comporterebbero in alcuni settori chiave della Regione. L’area, infatti, è un polo turistico fondamentale per il Nord-Est, che richiama ogni anno moltissimi visitatori da oltre confine, soprattutto da Austria e Germania. Anche la pesca sarebbe compromessa: l’economia di Marano Lagunare, un Comune dell’area, per esempio, si basa in larga parte su questa attività, svolta quasi interamente in laguna. A partire da queste considerazioni, insieme alle preoccupazioni di carattere ambientale, si sono mossi i comitati territoriali, che hanno organizzato assemblee molto partecipate sul tema.

La pagina promozionale del progetto di acciaieria pubblicata come inserzione da parte della società Danieli sui giornali locali friulani

“Collegando i vari tasselli, ci siamo parecchio allarmati -racconta Giosuè Cuccurullo, dell’associazione Foce del Tagliamento Odv-. Inizialmente ci si muoveva tutti in maniera un po’ sparsa, ora stiamo cercando di compattarci in modo da poter intervenire anche in eventuali tavoli di lavoro. Stiamo raccogliendo dati in laguna per esser poi più incisivi nelle argomentazioni”.

Ed è proprio questo movimento popolare, probabilmente, ad aver raffreddato gli animi della Giunta regionale; nel maggio 2021 -all’epoca il progetto riguardava l’area di Noghere, a Muggia, Comune costiero in provincia di Trieste, al confine con la Slovenia- la Regione aveva firmato un protocollo d’intesa che accoglieva la manifestazione di interesse per la realizzazione di un impianto integrato, sottoscritto assieme al Consorzio di sviluppo economico locale dell’area giuliana (Co.Selag), Autorità di sistema portuale del mare Adriatico Orientale – porti di Trieste e Monfalcone, Comune di Muggia, Danieli e Metinvest, con lo scopo di verificare la fattibilità tecnica del progetto e avviare poi un accordo di programma per la sua effettiva realizzazione. Nei mesi successivi l’ipotesi triestina è tramontata, per lasciare spazio, nell’estate del 2022, a quella legata all’area industriale di Aussa Corno; Sergio Emidio Bini, assessore alle Attività produttive e al Turismo della Regione, in agosto, affermava a Udine Today che c’era “massimo interesse alla tutela della sostenibilità e degli interessi del territorio” rispetto al procedimento “che dovrà accompagnare l’investimento del gruppo siderurgico ucraino Metinvest e Danieli di Buttrio a San Giorgio di Nogaro”.

Oggi, per quanto il presidente Massimiliano Fedriga dichiari che non si farà alcun intervento che danneggi la laguna, alcuni sostengono che la posizione della Regione sia piuttosto ambigua. La Giunta ha commissionato due studi di fattibilità alle Università di Trieste e di Udine, insieme a un terzo di una realtà privata, e ha stanziato 20 milioni di euro per lavori di infrastrutturazione dell’area, necessari, dicono, a prescindere dall’impianto.

Resta l’intenzione -bloccata fino al termine delle indagini- di istituire un’area di interesse strategico nazionale. Un passaggio che tuttavia rischierebbe di allontanare il controllo dall’operazione da parte del territorio, portandola a livello nazionale e snellendo così le procedure per avviare il progetto.

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