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La transizione giusta: un’opportunità per Taranto?

Vecchio scatto dell'Ilva di Taranto © Alberto Vaccaro - Flickr

La sfida di una governance inclusiva e di un mercato del lavoro di qualità per cogliere l’occasione offerta dagli 800 milioni di euro stanziati dall’Unione europea. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)

Tratto da Altreconomia 260 — Giugno 2023

La transizione ecologica è oggi al centro dell’agenda della politica. La crisi ambientale ha spinto l’Unione europea ad assumere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e a promuovere iniziative utili a favorire la transizione ecologica e la decarbonizzazione della produzione economica. Si tratta senza dubbio di un programma di radicale riconversione tecnologica, energetica ed economica. Altrettanto profonda e onerosa sarà la trasformazione sociale.
Con l’obiettivo di rendere la transizione “giusta e inclusiva”, la Commissione europea ha istituito il Just transition fund (Jtf): uno strumento a sostegno del passaggio a un’economia climaticamente neutra dei territori più fortemente dipendenti dall’estrazione e dall’utilizzo del carbone.

Tra quelli italiani -cui spetta un finanziamento complessivo di circa 1,2 miliardi di euro- vi è l’area di Taranto, sede del più importante sito italiano di produzione siderurgica primaria (ex-Ilva). L’accesso al fondo è stato subordinato alla definizione di specifici Piani territoriali, che delineano le sfide sociali, economiche e ambientali dell’area interessata muovendosi lungo tre assi di azione: la riqualificazione dei lavoratori e i percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro; la “rivitalizzazione” del tessuto economico; il risanamento ambientale.

A dicembre 2022, il Piano di transizione giusta dell’area di Taranto è stato approvato, con un finanziamento di circa 800 milioni di euro. Le azioni previste ricadono in diversi ambiti: l’energia rinnovabile e l’idrogeno “verde”; la tutela delle risorse naturali; la ricerca; lo sviluppo imprenditoriale; l’orientamento e la formazione; i servizi di cura. Il piano si aggiunge ai percorsi che sono già in corso in città, promossi dall’alto, dagli enti locali o regionali, così come dal basso, per iniziativa dei cittadini che non vogliono più respirare i veleni dell’acciaieria.

Già da tempo nella città pugliese si sono individuate “nuove vocazioni” per lo sviluppo locale, che mirano ad affrontare la crisi ambientale e quella occupazionale. Riguardano il turismo, a partire da iniziative e attività incentrate sui beni immateriali e culturali, le attività legate al mare, l’agricoltura e le energie rinnovabili, nonché il rafforzamento del comparto della logistica, in combinazione con il più ampio progetto della zona economica speciale per attrarre maggiori investimenti internazionali.

Il Jtf può allora essere considerato come un “vincolo benefico” per indirizzare più fermamente i processi di riconversione industriale e di sviluppo economico verso la sostenibilità ambientale e sociale. Non si tratta -o non dovrebbe trattarsi- dell’ennesima fonte di finanziamento a carattere compensatorio, bensì dovrebbe diventare un’opportunità di ripensamento collettivo dello sviluppo del territorio tarantino stretto tra la “dipendenza dal percorso” e la necessità di trovare una nuova collocazione economica a livello nazionale e internazionale, senza aumentare le disuguaglianze sociali.

È doveroso, tuttavia, porre la giusta attenzione alle criticità socio-istituzionali e socio-economiche presenti in città e che possono minare i processi di transizione. Tra le prime, troviamo quelle associate a modelli di governance dove alcuni attori tendono a imporre i propri interessi a scapito di quello comune, mentre altri -più marginali- non riescono proprio a parteciparvi. Una seconda criticità riguarda la qualità degli impieghi: si pensi al lavoro povero che spesso caratterizza il settore turistico-culturale, o alla scarsità dei servizi offerti dai centri per l’impiego, soverchiati dalla burocrazia e non in grado di assicurare nuovi e dignitosi percorsi professionali ai loro utenti. Per una transizione giusta, la protesta non può fermarsi ai disastri ambientali, così come l’azione pubblica.

Lidia Greco, professoressa associata di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Bari. Maristella Cacciapaglia, assegnista di ricerca all’Università di Milano. Fanno parte del comitato scientifico di OCIS, Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale.

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