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Ambiente / Opinioni

Sul flop del bando per la forestazione urbana andato deserto a Milano

Milano, piazza Gae Aulenti © Chris Barbalis - Unsplash

Il fallimento dell’avviso legato al Pnrr dovrebbe costringere amministratori e sindaci a dire finalmente “stop” al consumo di suolo e “via libera” a un’idea coraggiosa di paesaggio, natura e agricoltura, scrive Paolo Pileri. Per mettersi alle spalle il tempo delle narrazioni incoerenti. Quelle del “verde da una parte e cemento dall’altra”

Come commentare la notizia del bando per la forestazione urbana andato deserto a Milano? Partiamo dal fatto che, come ripetiamo da tempo, è difficile pensare di mettere a dimora alberi e allo stesso tempo non fermare il consumo di suolo, strizzando continuamente l’occhiolino alla rendita fondiaria e immobiliare e al business del cemento. Guidare a fari spenti nella notte usando solo l’acceleratore e non il freno porta allo schianto.

Milano e i vari Comuni della Città metropolitana non hanno mai fatto nulla per fermare il consumo di suolo e mai ho sentito sindaci battagliare per lo zero consumo di suolo. Il sindaco di Cassinetta di Lugagnano, Domenico Finiguerra, unica figura politica che negli anni ci ha provato da sindaco e ci è pure riuscito, non mi risulta sia preso ad esempio dal sindaco metropolitano di Milano o da cordate di altri sindaci. Come dire che la questione dell’azzeramento del consumo di suolo rimane un vezzo di qualcuno, una marginalità e interessa poco. Questo zero interesse politico all’azzeramento del consumo di suolo mi ha spesso fatto vedere le pur virtuose iniziative di forestazione urbana come confinate in un “di cui” che facilmente qualcuno può chiamare greenwashing, date le ombre di incoerenza con il resto. E siccome il bosco è una cosa seria, ovvero deve avere certe dimensioni minime, zero disturbo da subire, collegamenti ecologici con altri boschi o biotopi -e lo sanno bene in Centro e Nord Europa, da anni e anni– prima o poi sarebbe arrivata la stangata laddove i finanziamenti sono marchiati Europa, come quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

I meccanismi di rinverdimento nascono in Europa anche e soprattutto per mettere i bastoni tra le ruote al dilagante cemento e non certo per aggiungere una pennellata di colore al grigiore urbano. Non voglio essere frainteso: Forestami è un’ottima iniziativa ma dovrebbe essere una parte di un tutto che manca o annaspa. Diciamocelo. Un piano clima c’è a Milano ma traballa sotto la scure dei nuovi stadi che si vogliono fare; il traffico da paura continua; l’inquinamento è da primato mondiale e, ciliegina sulla torta, un consumo di suolo sempre alle stelle: a Milano nel solo periodo 2020-2021 sono stati cementificati oltre 18 ettari (figurativamente si potevano fare sei boschi europei da tre ettari l’uno). A vederla così sembra una disgiunzione illogica: pianto alberi con una mano, sgaso e cementifico con l’altra.

Detto tecnicamente sotto forma di auto-domanda: la forestazione ha generato importanti e positivi effetti di trascinamento nelle politiche ecologiche locali? Ha innescato quel necessario cambiamento radicale che la Strategia europea per la biodiversità chiede ai Paesi membri e, a cascata, ai Comuni? Possiamo annoverare i Comuni che hanno messo a disposizione spazi per impianti arborei negli ultimi anni tra i Comuni che hanno fermato più fortemente i consumi di suolo? Quei Comuni sono la bandiera verde della pianura lombarda?

Non lo so e non c’è questa informazione nei siti comunali e metropolitani. So che i tecnici di Forestami si spendono in tal senso e gliene va dato atto, loro spiegano ai Comuni che fare boschi o boschetti urbani implica il ripensare le proprie politiche urbanistiche di uso del suolo. Ma poi i Comuni gli danno retta con il passare degli anni? Si fa un monitoraggio? Sappiamo se quelli che hanno accettato gli alberi hanno poi spento le betoniere? Al momento, dati alla mano, è spiacevole ma non possiamo dire che dalla virtù della forestazione urbana sia scaturito il blocco del consumo di suolo e neppur una proposta politica in tal direzione.

Non ricordo il sindaco della Città metropolitana di Milano in testa a una qualche cordata politica per evitare di tombare suolo. Né ho visto preoccupazioni per i suoli che saranno cementificati con le Olimpiadi 2026 (in parte pure in Pianura padana). E poi la logistica che sta dilagando al Sud della Città metropolitana di Milano e di cui in qualche modo la città è responsabile, o “Cargo City” a Malpensa con i suoi 46 ettari di preziosa brughiera distruggibili secondo Sea (leggi Comune di Milano) per far posto a capannoni in puro spirito cementizio.

Eppure qualche bosco insieme ai suoli nel lodigiano o nel pavese assolverebbero lo stesso alla cattura della CO2. Per non dire delle altre strade e autostrade che sono pronte per essere realizzate. Ad esempio la Vigevano-Malpensa è stata dichiarata di pubblica utilità dal governo ma i protagonisti politici delle forestazioni non si sono scandalizzati, non hanno protestato con clamore, non si sono incatenati agli alberi che verranno abbattuti e ai suoli che saranno cancellati.

Potremmo ricordare anche la fine che ha fatto il sito Expo 2015 che doveva essere almeno al 50% un parco (e magari pure boscato) ma che via via è diventato altro cemento (e pure attorno). Possiamo ricordare la triste “questione San Siro” che ora sta diventando “questione La Maura” e poi magari “questione Porto di Mare”: tutte aree potenzialmente appetibili per qualche bosco ma che poi scivolano nella betoniera senza trovare ferrei oppositori nella politica della Città metropolitana e neppure nelle “archistar” che si azzuffano per disegnare gli stadi e neppure nei neo-garanti milanesi del verde e del suolo che al momento sono silenti o sussurrano talmente a voce bassa che non li sentiamo.

Siamo dentro a narrazioni spezzate che hanno fatto dell’incoerenza la loro regola: verde da una parte e cemento dall’altra, come se potessero andare a braccetto. L’occasione del fallimento del bando deve essere solo una opportunità per guardarsi in faccia e dire “stop” al consumo di suolo e “via libera” a un’idea di paesaggio, natura e agricoltura coraggiosa ma che al momento rantola in fondo al fondo del fondo delle agende politiche (ancor più quelle che contano e possono influenzare). Se si vuole combattere il cambiamento climatico dobbiamo rimuovere le cause ostative e i pensieri speculativi e non solo aggiungere un po’ di verde negli spazi che nessun occhio vede come possibile rendita.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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