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Ambiente / Opinioni

Si allungano ancora “Le mani sulla città”

© Francesco Rosi - pubblico dominio, wikimedia commons

Che cosa abbiamo imparato dal film di denuncia di Francesco Rosi uscito 60 anni fa? La speculazione non è finita. Organizziamo proiezioni pubbliche per parlarne. La rubrica di Paolo Pileri

Tratto da Altreconomia 257 — Marzo 2023

“Lo so che la città sta là e da quella parte sta andando perché il piano regolatore così ha stabilito. Ma è proprio per questo che noi da là, la dobbiamo fare arrivare qua”. “E ti pare una cosa facile”. “E cambiamo il piano regolatore”. […] “Non c’è bisogno. La città va in là. E questa è zona agricola! E quanto la puoi pagare oggi? 300, 500, 1.000 lire al metro quadrato? Ma domani questo stesso metro quadrato, ne può valere 60-70mila. E pure deppiù. Tutto dipende da noi. Il 5.000% di profitti. Eccolo là: quello è l’oro oggi. E chi te lo dà? Il commercio? L’industria? L’avvenire industriale del Mezzogiorno? Sìììì… investili i tuoi soldi in una fabbrica. Sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia. Ti fanno venire l’infarto custiccose. E invece niente affanni e niente preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun rischio. Noi dobbiamo fare solo in modo che il Comune porti qua le strade, le fogne, l’acqua, il gas, la luce, il telefono”. 

Sono le parole del primo minuto de “Le mani sulla città”, il film di Francesco Rosi che vinse il Leone d’oro al festival di Venezia nel 1963: una sintesi acuta e lucida per denunciare l’ingordigia urbanistica che senza scrupoli sputava cemento sulle terre agricole del nostro Paese, in nome della rendita. Aree che la banda degli speculatori definiva “squallide estensioni di terreno”, ovvero asservite alle sole utilità del cemento, del consenso elettorale e del potere. 

Dopo sessant’anni corre l’obbligo di farci e di porre alcune domande, ma con più furore del solito: che cosa abbiamo imparato da quella denuncia? Perché sono ancora pochi quelli che chiedono una legge nazionale di tutela del suolo? È un’urgenza per gli urbanisti? Di stop al consumo di suolo non si vede l’ombra. Di un cambio di pelle al governo del territorio, non abbiamo notizia. 

Il 1963 è l’anno in cui “Le mani sulla città” di Francesco Rosi ha vinto il Leone d’oro al festival del cinema di Venezia. Proiettiamolo in tutte le scuole, nelle piazze, nei cinema e nelle sagre estive: vietato dimenticarsene, obbligatorio imparare

Forse l’unica cosa che è cambiata sono le parole di quel dialogo ma non il risultato: le lire sono diventate euro; commercio e industria sono ora logistica, grandi eventi e infrastrutture veloci; il piano regolatore è il Piano nazionale di ripresa e resilienza; l’avvenire del Mezzogiorno è la Next generation del Sud Italia. “Le mani sulla città” era ed è una denuncia attuale, e continua a essere una domanda politica rivolta a tutti, elettori ed eletti.

Come rispondere? Iniziamo a mostrare il film ovunque e a ripetizione: nelle piazze, nei Consigli comunali e regionali, nel Parlamento, nelle scuole, negli ospedali, nelle feste estive. “Imbrattiamo” le facciate con quel film: non rovina muri e portoni ma ci apre gli occhi e spalanca la bocca per dire che non abbiamo né suoli, né climi, né ecosistemi di riserva. Mi appello ai comitati locali, alle associazioni, agli insegnanti, ma anche ai sindaci, ai parlamentari, ai presidenti di Regione e agli assessori. Tutti costoro hanno la possibilità di organizzare delle proiezioni: lo facciano.

Mi appello anche ai giovani e al loro coraggio, magari proprio a quei “verniciatori” affinché mettano a riposo per un attimo il pennello per brandire l’arma pacifica, arguta e artistica di questo film assieme alle domande che si porta dietro. Pretendete spazi e luoghi pubblici dove proiettarlo e dove dibattere. Sta a noi usare quel materiale prezioso per innescare cambiamenti culturali e politici: è un regalo che Francesco Rosi ci ha fatto e che ora noi possiamo fare alla sua memoria e al buon futuro di tutti. 

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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