Diritti / Attualità
Prima le persone o le spese militari? L’Unione europea deve scegliere, lobby permettendo
Le spese militari degli ultimi anni suonano come scandalose in questi tempi di pandemia. Il costo di un cacciabombardiere F-35 potrebbe permettere di creare circa 3.244 posti letto nelle unità di terapia intensiva negli ospedali europei. “Ogni euro del bilancio europeo che verrà utilizzato per il settore militare è un euro perso”, denuncia Laëtitia Sédou della Rete europea contro il commercio di armi
L’Unione europea ha una grossa responsabilità e deve scegliere con coscienza come sarà il nostro futuro: intende impegnarsi per una pace sostenibile, affrontando con coscienza le cause profonde dei conflitti, oppure sceglierà di continuare a percorrere la strada del militarismo e della preparazione della guerra? L’Alto Rappresentante dell’Unione europea Josep Borrell ha dichiarato che il mondo che emergerà da questa crisi sarà molto diverso da quello che conosciamo e che la sua configurazione dipenderà in larga misura dalle nostre azioni adesso.
Questa pandemia era prevedibile. Già da anni vari documenti strategici nazionali (degli Stati Uniti e del Regno Unito), nonché la Strategia Globale Europea del 2016, hanno lanciato l’allarme: è urgente prepararsi seriamente per affrontare delle gravi pandemie. E invece molti Stati europei hanno adottato misure di austerità, in parte per seguire i regolamenti di bilancio dell’Ue, che hanno avuto un impatto negativo sui sistemi sanitari nazionali.
Contemporaneamente le spese militari globali hanno registrato il massimo aumento nel 2019 e l’Unione europea non fa eccezione: le spese militari collettive la pongono al secondo posto al mondo, stabilmente ormai da due decenni, e hanno ammontato a 268 miliardi di dollari Usa nel 2019 (Ue compreso il Regno Unito), una cifra quattro volte la spesa militare della Russia.
Le scelte degli ultimi anni ci sembrano particolarmente scandalose in questi tempi di pandemia. Oggi sappiamo che il prezzo di un cacciabombardiere F-35 potrebbe invece permettere di creare circa 3.244 posti letto nelle unità di terapia intensiva nei nostri ospedali; che il costo di una sola ora di volo di quel F-35 potrebbe coprire un intero anno di stipendio di un’infermiera; che si possono acquistare 440 ventilatori polmonari per il costo di un singolo carro armato Leopard 23 o che i soldi spesi per un missile Trident II ci permetterebbero di acquistare 17 milioni di mascherine.
L’attuale crisi sanitaria, economica e sociale cambierà il corso della storia? Convincerà i decisori europei a rivedere la propria impostazione incentrata sul tradizionale modello di sicurezza militare per seguire invece l’obiettivo della sicurezza umana, un modello che garantisca, per tutti, tutti gli aspetti di una vita dignitosa, compresi l’assistenza sanitaria, la scuola, la sicurezza alimentare, un ambiente in salute? Lo speriamo, ma abbiamo i nostri dubbi.
Le lobby dell’industria militare, insieme ai loro alleati nei centri studi allineati, stanno già chiedendo a gran voce che il livello delle spese militari non venga ridotto ma anzi sia aumentato. Da un lato usano il pretesto dell’assistenza offerta dai militari nella lotta contro il Covid-19, ignorando il fatto che il ruolo dei militari si è reso necessario proprio a causa della scarsità di risorse concesse ai sistemi sanitari. Un altro argomento che utilizzano è che le pandemie non sono le uniche minacce che dobbiamo affrontare e hanno ragione.
Secondo il Report del 2019 sui rischi globali, stilato dal World Economic Forum, i tre principali rischi che con maggiore probabilità dovremo affrontare sono tutti di natura ambientale (eventi meteo estremi, cambiamenti climatici, disastri naturali). E l’Indice di Normandia, che considera i rischi per l’Ue, identifica l’insicurezza energetica come la minaccia principale all’autonomia strategica dell’Unione europea.
Contro queste minacce le armi ci offrono scarsa protezione. L’ulteriore rafforzamento dei nostri arsenali militari non favorirà la cooperazione internazionale, la fiducia reciproca e la diplomazia, tutti elementi di cui abbiamo un forte bisogno. Al contrario, alimenterà la paura e la sfiducia: in altre parole, preparerà la strada a guerre future che nasceranno a causa di conflitti irrisolti. Eppure, è proprio questo il percorso che l’Ue sta per intraprendere.
Mentre molti dei provvedimenti decisi nel quadro del recente Green New Deal verranno rimandati, l’emergenza del Covid-19 ha avuto effetti quasi inesistenti sull’attuazione della fase pilota del Fondo europeo per la Difesa: la selezione di nuovi progetti di ricerca militare è stata effettuata come previsto, praticamente senza ritardo, e sono stati stanziati altri 160 milioni di euro a favore di progetti per lo sviluppo di nuove tecnologie militari. Più per crearsi un’immagine pubblica positiva che per altro, una piccola cifra sarà probabilmente dedicata a un progetto relativo alla pandemia ma ciò non influisce affatto sull’obiettivo primario del Fondo che rimane quello di rafforzare la competitività globale dell’industria delle armi e lo sviluppo di una nuova generazione di armamenti.
Con simili provvedimenti si potenziano l’industria della difesa e la sicurezza militare, non si rafforza la sicurezza dei cittadini dell’Ue. Riducendo i propri costi per la ricerca e lo sviluppo (che vengono così pagati con fondi pubblici) i produttori di armamenti si troveranno avvantaggiati sul mercato internazionale delle armi: aumenteranno, di conseguenza, le loro vendite di armi che andranno ad alimentare le tensioni e i conflitti armati.
Non sarà utile né all’autonomia strategica dell’Ue né alla sua capacità di rispondere a una (assai ipotetica) aggressione russa: come mostrano le cifre delle spese militari, il problema non è di natura economica ma è invece collegato al predominio di interessi nazionali industriali e strategici dal punto di vista geopolitico.
Se l’industria europea degli armamenti fosse davvero di importanza così strategica, i governi europei dovrebbe smettere di acquistare sistemi d’arma statunitensi. Nei prossimi giorni la Commissione europea presenterà agli Stati membri la sua nuova proposta di Quadro finanziario pluriennale (2021-2027) che includerà sicuramente un grande piano di ripresa economica.
Questo nuovo bilancio potrebbe davvero rappresentare l’opportunità per ribaltare il paradigma: non dirottare più le risorse europee (sia economiche sia umane) verso il settore della sicurezza militare e i produttori di armi! Ma indirizzarle nella direzione della sicurezza umana. Purtroppo, i segnali che ci arrivano non sono incoraggianti.
La Commissione europea si è impegnata a mantenere per il 2021-2027 un Fondo europeo per la difesa “ambizioso”, con l’appoggio della sua Presidente ed ex Ministra della Difesa Ursula von der Leyen e del Commissario francese Thierry Breton, ex amministratore delegato di imprese che sono ammesse, potenzialmente, ad attingere a quel Fondo. Un sostanzioso aumento del bilancio globale dell’Ue potrebbe permettere di tornare alle cifre inizialmente proposte dalla Commissione (13 miliardi di euro per il Fondo europeo per la difesa, 6,5 miliardi per la mobilità militare e 10,5 miliardi per il cosiddetto Fondo europeo per la Pace),o addirittura di superarle.
Non c’è più tempo per le mezze misure e nemmeno per far finta che si possa giocare su tutti e due i tavoli. Il Green New Deal è arrivato già molto (troppo?) in ritardo e non mette a disposizione le risorse sufficienti per far fronte alle necessità secondo le previsioni delle organizzazioni ambientali. Con il futuro piano per la ripresa economica sarebbe necessario accelerarne l’attuazione ed estenderne l’impatto.
Il piano di ripresa economica dovrebbe favorire la ricollocazione della produzione in Europa, in particolare per settori chiave come le attrezzature mediche, le energie rinnovabili e la sicurezza alimentare. Ciò non solo creerà posti di lavoro (compresa la conversione di lavoratori dal settore delle armi, le cui elevate specializzazioni sono particolarmente importanti e necessarie), ma rafforzerà l’autonomia dell’Ue rispetto alle pressioni esterne.
Ogni euro del bilancio europeo che verrà utilizzato per il settore militare è un euro perso: non potrà essere usato per far fronte alle crisi interdipendenti dell’ambiente, del clima e della salute che oggi rappresentano le minacce più tangibili alla sicurezza umana globale e le cause profonde di molti conflitti.
I legislatori europei e i nostri governi dovranno tra breve prendere decisioni importanti. Toccherà a loro scegliere se l’Unione europea dovrà servire gli interessi dei cittadini o quelli del complesso militare-industriale. In altre parole, dovranno scegliere se impegnarsi per la pace o preparare la guerra.
Laëtitia Sédou, Eu Project Officer per la European Network Against Arms Trade (Enaat)-Rete europea contro il commercio di armi. L’articolo è stato pubblicato su Euractiv
Traduzione a cura di Lisa Clark
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