Diritti / Reportage
La battaglia cruciale intorno alla diga di Tishreen, al confine tra Siria e Turchia

Da inizio gennaio il governo turco ha intensificato i bombardamenti nell’area, a circa 90 chilometri a Est di Aleppo, a danno di una popolazione già segnata dall’instabilità. Ufficialmente mirati contro le forze curde, gli attacchi colpiscono infrastrutture strategiche e aree abitate, minacciando l’approvvigionamento idrico ed energetico. La sopravvivenza di intere comunità è a rischio
Il destino delle terre del Tigri e dell’Eufrate, in Medio Oriente, dipende da un equilibrio precario tra dighe e tensioni internazionali, in cui l’acqua è una risorsa preziosa quasi quanto il petrolio. Non è un caso che nel 2015 l’Isis abbia cercato di prenderne il controllo in aree strategiche come Mosul e Haditha, in Iraq, o Tabqa, in Siria. A dieci anni di distanza il conflitto si concentra su Tishreen, punto strategico conteso nella zona di confine tra Siria e Turchia, cruciale per la sicurezza e il controllo del territorio.
Alta 40 metri e con un bacino idrico di 60 chilometri, la diga di Tishreen è un pilastro della stabilità regionale. Dall’8 gennaio di quest’anno la Turchia ha intensificato i bombardamenti nell’area, a circa 90 chilometri a Est di Aleppo, scatenando una nuova ondata di mobilitazione tra la popolazione, già segnata dall’instabilità. Ufficialmente mirati contro le forze curde, gli attacchi colpiscono in realtà indiscriminatamente infrastrutture strategiche e aree abitate, minacciando l’approvvigionamento idrico ed energetico, mettendo a rischio la sopravvivenza di intere comunità e causando potenziali disastri ambientali.
“Il fiume Eufrate è essenziale per la Siria, specialmente per l’agricoltura e la fornitura d’acqua -dice Ziyad Rusteem, co-presidente del Consiglio per l’energia dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria del Nord-Est (Daanes)-. In un contesto di guerra, chi controlla questo luogo ha un vantaggio strategico per esercitare pressioni interne ed esterne, coinvolgendo anche Paesi vicini come Turchia e Iraq”.
Con la caduta del regime di Bashar al-Assad l’8 dicembre scorso, la Siria è entrata in una nuova fase, aprendo la porta all’ingresso di nuovi attori internazionali. Dall’inizio della rivoluzione nel 2011, il Paese è diventato arena contesa, campo di battaglia diplomatico e militare, con la Turchia determinata a rafforzare la propria influenza.
Il 21 gennaio un drone turco ha ferito Hemrin Ali, co-presidente del consiglio esecutivo del cantone di Jazira, mentre si trovava nei pressi della diga. Da mesi, una resistenza civile permanente è determinata a proteggere un’infrastruttura che, secondo Ali, va ben oltre la sua funzione idroelettrica. “Tishreen controlla il flusso dell’Eufrate, elemento chiave nei delicati assetti del conflitto siriano. A Ovest ci sono Manbij e Aleppo, a Est Kobane, simbolo della lotta contro Daesh”, continua Ali.
L’offensiva turca è condotta con il sostegno dell’Esercito nazionale siriano (Sna) e prende di mira i gruppi curdi, etichettati come “terroristi”. Ma il prezzo più alto lo pagano i civili e i giornalisti che documentano la guerra.
Rusteem ricorda che “quando le unità di difesa popolari curde Ypg e Ypj, supportate dalla coalizione internazionale a guida statunitense, conquistarono la diga durante l’offensiva contro l’Isis, evitarono la sua distruzione”. Oggi, il controllo di Tishreen significa dominio sulle riserve idriche ed energetiche, ma anche su cruciali vie di comunicazione militare lungo l’Eufrate.
Oltre alla strategia espansionistica del presidente turco Erdoğan, che mira a ostacolare l’autonomia curda lungo il confine turco-siriano, Ronahi Hassan di Kongra Star avverte di non sottovalutare il pericolo interno: “Non bisogna dimenticare che Ahmed al Sharaa, capo della coalizione al governo, fu in passato Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) e prima ancora comandante di Al-Qaida”.
Nel frattempo, l’appello recente di Abdullah Öcalan a rivedere la strategia del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) potrebbe ridefinire gli equilibri tra Ankara, Damasco e le comunità curde. Mazloum Abdi, comandante delle Syrian democratic forces (Sdf), ha accolto favorevolmente l’annuncio, precisando che riguarda esclusivamente il Pkk e non le Sdf. “Si tratta di un’occasione storica per diffondere la democrazia in Turchia e dare impulso al processo di pace”, ha dichiarato. Tuttavia Erdoğan continua a considerare la rivoluzione in Rojava una minaccia, portando avanti attacchi mirati e sostenendo gruppi islamisti nel tentativo di destabilizzare le Sdf.
I rapporti tra Daanes e il governo provvisorio di Damasco restano tesi, segnati dal dibattito sulla decentralizzazione e sull’integrazione delle Sdf nell’esercito siriano, con la possibilità di mantenere una propria struttura militare. Finora, l’Hts ha respinto ogni ipotesi di soluzione federalista, chiedendo lo scioglimento delle Sdf e opponendosi a qualsiasi compromesso.
Le tensioni non si limitano al Nord-Est: nel Sud, una parte della comunità drusa ha formato proprie milizie e rivendicato il controllo di alcune aree, tra cui un sobborgo di Damasco. Di fronte alle tensioni con il nuovo governo e alle minacce di un intervento israeliano “in difesa dei drusi”, i leader locali hanno avviato un dialogo, scongiurando per ora una escalation. Daanes e Sdf restano neutrali, cercando di mantenere un fragile equilibrio nei rapporti con Damasco.
Tishreen non è solo una diga ma il simbolo di una battaglia più grande, quella tra guerra, risorse e potere. Il suo destino definirà gli equilibri della regione e la sopravvivenza di milioni di persone. In un Medio Oriente segnato da instabilità e ambizioni di potere, la resistenza civile si batte per preservare un diritto essenziale: l’accesso all’acqua e all’energia.
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