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Terra e cibo / Approfondimento

Slow Food guarda al futuro e scommette sull’inclusione

Un momento del VII Congresso internazionale di Slow Food, che si è svolto in Cina nel 2017, durante il quale è stata adottata la “Dichiarazione di Chengdu” © Archivio Slow Food

Il nuovo percorso -delineato nel 2017 a Chengdu, in Cina- punta a superare l’attuale modello “eurocentrico” e sta lavorando per costruire une rete globale di comunità locali del cibo, con una leadership diffusa e non più verticistica

Tratto da Altreconomia 218 — Settembre 2019

“Solo rinnovando profondamente l’organizzazione di Slow Food, solo rendendola più aperta e inclusiva e solo sperimentando nuove forme di aggregazione, di coinvolgimento e di partecipazione potremo affrontare nel modo migliore le sfide che ci attendono”. Si chiude così la “Dichiarazione di Chengdu” del 1° ottobre 2017, votata dai 400 delegati al VII Congresso Internazionale di Slow Food, in Cina. L’inizio di una rivoluzione interna. Da allora l’associazione della Chiocciola ha avviato, su scala globale, una riforma strutturale verso una nuova organizzazione di cui ora “si cominciano a delineare meglio i contorni”, spiega Roberto Burdese, in Slow Food dal 1988, presidente di Slow Food Italia dal 2006 al 2014 e oggi nel comitato esecutivo internazionale. “In un momento di grande fermento nel dibattito sul futuro del cibo, abbiamo ritenuto importante fare una riflessione sul futuro della nostra associazione”. La Slow Food di domani vorrebbe essere “una rete globale di comunità locali, con una leaderhip diffusa e non più verticistica”, grazie alla quale “entrare sempre più in una connessione di idee e buone pratiche territoriali, indirizzate a un agire collettivo”, spiega.

Cuore pulsante di questa trasformazione sono le Comunità Slow Food, fondate sulla condivisione di uno o più progetti di tutela della biodiversità ed educazione alimentare e sulla contaminazione con altre realtà locali e internazionali. Le Comunità rappresentano quindi “la messa in pratica dei valori Slow Food nei territori”, dice Burdese, e chiunque condivida questi valori, ovunque nel mondo, unendosi con almeno altre nove persone, potrebbe fondarne una, a partire dalla “dichiarazione fondativa delle comunità” (su slowfood.it), che conferma l’adesione ideale ai valori Slow Food, condivide il modello organizzativo e definisce l’obiettivo della Comunità e i suoi impegni. Fino a luglio scorso, erano 170 le Comunità in tutto il mondo, di cui 60 italiane.

“A Cercola (Napoli) in una decina di persone ci occupiamo di un orto duemila metri quadrati, che abbiamo avuto in comodato d’uso”, racconta Mariarosaria Donnarumma, insegnante e portavoce della “Comunità dell’orto condiviso vesuviano: biodiversità e tradizione”, che ha sede nel paese alla periferia orientale di Napoli. Un orto che, oltre alle attività di coltivazione e semina, favorisce la socialità e l’inclusione dei bambini e di fasce deboli della popolazione. Nell’orto di Cercola, infatti, le persone lavorano insieme, coltivando in modo condiviso le varietà tipiche vesuviane -di Presìdi Slow Food (passati in Italia dai 292 del 2017 ai 311 del 2018) e non solo-, come il pisello centogiorni, il peperone papaccella o il cavolo torzella riccia. Una parte importante delle attività in orto, dalla semina alla raccolta, si svolge con i bambini delle scuole elementari e con i ragazzi dell’Istituto alberghiero. L’orto viene inteso come un laboratorio didattico aperto alla cittadinanza e alle scuole, per un’educazione diffusa alla sostenibilità ambientale, sociale e alimentare. Mantenere in campo il patrimonio agricolo locale, infatti, ha prima di tutto una valenza educativa, così come il recupero di tre antichi forni -spenti da lungo tempo, ma salvaguardati perché situati dentro a dei cortili condominiali- di Caravita, una frazione di Cercola, riaccesi per preparare pane e biscotti in modo comunitario. E non solo, perché, una volta accesi, le donne li usano per cuocere anche altre pietanze, “come l’agnello con le patate, o i dolci delle feste”, spiega Mariarosaria. “Le signore ci raccontano che quando erano bambine si usava sfornare delle pagnotte piccole, da donare ai contadini che passavano”, ricorda.

Già da cinque anni, le persone attive nella Comunità Slow Food di Cercola -prima ancora che fosse tale- avevano iniziato a collaborare con la Condotta Slow Food Vesuvio: “Ci siamo accorti che il nostro progetto cadeva a pennello rispetto alla nuova prospettiva arrivata da Chengdu -spiega Mariarosaria-. Perciò quest’anno abbiamo fatto richiesta per aderire formalmente e siamo diventati Comunità”. Un riconoscimento nazionale che, nei loro desideri, li aiuterà a “uscire dai confini territoriali per sposare un progetto di più ampio respiro, in rete con altre Comunità del mondo”.

“È importante avere un ordine di grandezza che porti energie nuove e faccia restare chi all’associazione ha dedicato tanti anni di volontariato” – Gaetano Pascale

Un’occasione sarà la prossima edizione di Terra Madre-Salone del Gusto, a ottobre 2020 a Torino: una scadenza fondamentale in questa fase di transizione dell’associazione. La prima edizione di Terra Madre fu nel 2004 (il Salone del Gusto debuttò invece nel 1996): un evento che “ha cambiato profondamente il nostro movimento”, ha detto Carlo Petrini. “Oggi siamo in 160 Paesi nel mondo ma ci siamo con un vestito vecchio, eurocentrico, che prevede forme di tesseramento individuale, logiche organizzative verticali e questo, abbiamo visto strada facendo, non è proponibile in tante parti del mondo”. Nella visione del fondatore e presidente internazionale dell’associazione, le Comunità “saranno improntate sulla libertà di operare”. Di fatto, diventano il soggetto politico che rappresenta Slow Food, sulla base di un “diritto di uguaglianza” tra le Comunità, i soci e gli attivisti dell’associazione. “Il sistema dei soci è in crisi”, afferma Roberto Burdese -da bilancio, erano 27mila nel 2018, circa 5mila in meno rispetto al 2017-, anche se la tessera associativa per ora rimane: “Paradossalmente, diminuiscono i tesserati, ma sono sempre di più le persone che partecipano attivamente”. Così come restano le Condotte, i fiduciari e i progetti storici di Slow Food -dai Mercati della terra (38 attivi nel 2018) agli Orti in condotta (438 nel 2018, circa 60 in meno rispetto al 2017).

Gaetano Pascale, ultimo presidente di Slow Food Italia, oggi consigliere nazionale e internazionale, parla di una “naturale evoluzione” e racconta l’impegno a “sperimentare un modello organizzativo più inclusivo e raccontare meglio la complessità dell’associazione”. Le difficoltà, secondo l’ex presidente, stanno ora nel definire il percorso per raggiungere questi obiettivi. “Quanto tempo serve per passare dall’elaborazione teorica dei dirigenti alla messa in pratica di quel messaggio sui territori? -si chiede-. Non sono certo che l’anno che ci resta da qui a Terra Madre 2020 possa bastare”. Questa fase di transizione, secondo Pascale, richiede infatti “molta attenzione, flessibilità e piccoli passi”, per riuscire a fare sintesi tra posizioni differenti, pur essendo l’obiettivo di Chengdu “largamente condiviso nell’associazione”.

E le Comunità, per essere sostenibili nel tempo, dovranno avere un “peso” anche numerico, coinvolgendo nuovi attivisti. “È importante avere un ordine di grandezza che porti in Slow Food energie nuove e faccia restare chi all’associazione ha dedicato tanti anni di volontariato”, dice.

Silvia de Paulis, agronoma e membro del Comitato esecutivo, ricorda che all’assemblea della rete di Slow Food Italia del maggio scorso a Genova, si era detto che un buon risultato sarebbe avere almeno tante Comunità quante le Condotte, quindi circa 300 in Italia. “Speriamo di arrivare anche a 500”, dice. È passato un anno dall’IX Congresso nazionale di Montecatini nel quale, dopo Chengdu, è stato definito il documento di mandato di Slow Food Italia ed eletto il Comitato esecutivo, e ne manca un altro prima di Terra Madre.

“Siamo stati chiamati in sette a guidare politicamente l’associazione -continua l’agronoma-. L’organizzazione deve procedere in forma più possibile orizzontale, senza deleghe formali (a parte quella, obbligatoria, del rappresentante legale, che è Antonio Cherchi, ndr)”. Li aspettano altre tre scadenze fondamentali: il nuovo congresso nazionale, quello internazionale e Terra Madre. “Stiamo discutendo quali di questi appuntamenti far coincidere”, dice de Paulis. Intanto, occorre allargare la base associativa, condividendo la nuova visione di Slow Food con altre persone. “Molte di queste le abbiamo già incontrate sulla nostra strada, sono pronte a diventare Comunità, devono solamente formalizzare il proprio obiettivo”, dice de Paulis. Un percorso che, se avrà successo, potrà incidere nelle politiche globali del cibo promuovendo lo scambio di buone pratiche per la sovranità alimentare e l’agrobiodiversità. Poi, chissà, “magari fra due anni chi parlerà racconterà una storia diversa”, sorride Burdese.

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