Diritti / Attualità
Sempre più minori in carcere. Uno su due per reati legati al patrimonio
Nel 2023 sono stati 1.143 i giovani che hanno fatto ingresso negli Istituti penali minorili: mai così tanti negli ultimi quindici anni. Il rapporto “Prospettive minori” di Antigone denuncia la crescita della presenza di minorenni, quasi il 60% del totale, soprattutto stranieri. Il cosiddetto “Decreto Caivano” dà i suoi frutti
Nel 2023 sono stati 1.143 i ragazzi e le ragazze che hanno fatto ingresso negli Istituti penali minorili (Ipm). Mai così tanti negli ultimi quindici anni. E il ritmo delle presenze non sembra rallentare: nel mese di gennaio 2024 i giovani detenuti in misura cautelare erano 340 contro i 243 dell’anno precedente. Sono i dati allarmanti contenuti nel settimo rapporto sulla giustizia minorile pubblicato il 20 febbraio da Antigone, che dagli anni Novanta si occupa di giustizia penale.
“Il cosiddetto decreto Caivano comincia a mostrare i suoi frutti. Siamo molto preoccupati -spiega ad Altreconomia Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione-. Sono ‘Prospettive minori’, come intitoliamo il report, quelle che oggi vediamo rispetto alla giustizia minorile. Per il sistema, che sembra rinnegare i suoi principi ispiratori, per gli operatori che spesso lavorano con strumenti sempre più inefficaci e soprattutto per i giovani che si ritrovano attorno più sbarre e meno speranze per il loro futuro”.
A metà gennaio nei 17 istituti attivi in Italia erano presenti 496 detenuti (13 ragazze): un numero che in Italia non si raggiungeva da più di dieci anni. Secondo Antigone sarebbe causato soprattutto dagli effetti del decreto varato dal Governo Meloni a metà settembre 2023 (convertito in legge il 14 novembre) in seguito allo stupro di due ragazze al Parco Verde di Caivano a Napoli. Due dati lo confermerebbero. Da un lato, come detto, l’aumento della custodia cautelare (il 68,5% è detenuto in attesa di una condanna definitiva) e di coloro che vi fanno ingresso per violazione della legge sugli stupefacenti, cresciuti di oltre il 37% tra il 2021 e il 2022. Dall’altro, invece, il fatto che quasi il 60% della popolazione detenuta negli Ipm sia minorenne: le strutture, in cui possono essere reclusi giovani fino al compimento dei 25 anni, negli anni precedenti, in modo più o meno costante, ospitavano soprattutto maggiorenni (il 57-58% del totale). “Questa inversione di tendenza è frutto delle norme del ‘decreto Caivano’ che amplia la possibilità di ricorrere alla custodia cautelare e dà il potere al direttore dell’istituto di trasferire i detenuti diventati maggiorenni subito nel carcere per adulti -aggiunge Marietti-. Così, entrano più minorenni in custodia cautelare e per fare posto e risolvere le situazioni di conflitto più difficili da gestire, i diciottenni vengono ‘scaricati’ nella fabbrica di criminalità che oggi rappresentano i penitenziari. Interrompendo nei fatti il loro percorso di crescita”.
La criminalità minorile torna ai livelli del 2015 con 32.522 ragazzi segnalati alle autorità, in aumento rispetto ai dati bassi del 2020 ma influenzati dalle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19. Un ragazzo ogni due che entra in Ipm lo fa però per reati contro il patrimonio con percentuali che raggiungono il 55% sul totale, il 64% se si guarda agli stranieri e addirittura il 70% prendendo in esame solo le donne. Un dato da leggere con l’analisi geografica delle denunce di minorenni all’autorità giudiziaria, che aumentano soprattutto al Nord, meno nel centro Italia e sono in forte decremento al Sud. “L’aumento del costo della vita nonché la privatizzazione di alcuni servizi pubblici molto più al Nord rispetto al Sud -si legge nel rapporto- impedisce ad alcune fasce di popolazione di accedere a una serie di servizi fondamentali nella vita di tutti i giorni, a cui negli anni passati quelle stesse persone avevano invece accesso; pertanto, la difficoltà o l’impossibilità di fruire di determinati servizi porta a vedere coloro che invece possono permetterseli come dei ‘privilegiati della società’, che hanno la possibilità di vivere in condizioni più agiate pur senza averne merito. E questo senso di frustrazione, soprattutto nelle aree urbane in cui negli ultimi anni vi è stata una crisi del sistema di welfare, favorisce l’insorgere di condotte devianti”.
E aumenta, infatti, anche la presenza di minori stranieri, che al 15 gennaio 2024 rappresentavano oltre il 51% della popolazione detenuta. Rispetto agli altri sono più spesso in custodia cautelare (75,6% contro il 61,2% degli italiani) anche se commettono, generalmente, reati meno gravi: quasi il 64% ha commesso reati contro il patrimonio, un dato che si ferma al 47,2% per gli italiani. In generale, il sistema della giustizia minorile “funziona meglio per chi è a monte maggiormente garantito e può contare su reti sociali e familiari esterne”, si legge nel rapporto.
La presunta assenza di reti sociali comporta anche una maggior frequenza di trasferimenti per gli stranieri reclusi, provenienti soprattutto da Tunisia (12%), Marocco (10%) ed Egitto (10,4%). “Si dà per scontato che non abbiano rete territoriale e quindi, più spesso, sono loro ad essere trasferiti sul territorio nazionale e non gli italiani e questo causa molti disagi”, sottolinea Marietti che è anche coordinatrice dell’area minori. Per poter tornare nei territori di appartenenza, si legge nel report, diversi reclusi hanno messo in atto proteste sfociate, nei casi più gravi, in incendi e danneggiamenti degli ambienti sfociate poi in un ulteriore trasferimento in un altro Ipm o addirittura nei penitenziari per adulti. “Non sono pacchi -sottolinea Antigone- questi continui cambi di istituto rendono difficile impostare percorsi adeguati”.
Trasferimenti che, spesso, avvengono per violazioni disciplinari o per difficoltà di gestione dei ragazzi. Gli operatori degli Ipm indicano un aumento dei “casi difficili” che fanno ingresso nelle strutture “Si tratta spesso di minori stranieri non accompagnati, in situazioni di profonda marginalità -si legge nel rapporto-. Casi di disagio psichico, di disturbi comportamentali e di abuso di psicofarmaci, danno vita di frequente ad eventi autolesionistici”. La risposta al disagio, spesso sociale, è però farmacologica (all’interno del report trovate un approfondimento a partire dalla nostra inchiesta “Fine pillola mai” incentrata sull’abuso di psicofarmaci all’interno degli istituti). “Tutto viene ‘psichiatrizzato’ -commenta Marietti- e qualsiasi disagio sociale è gestito attraverso il farmaco e non con una presa in carico seria”. Nella relazione del ministero della Giustizia che ha accompagnato l’inaugurazione dell’anno giudiziario lo scorso 25 gennaio la strada tracciata è quella di “costituire nuove tipologie di strutture residenziali, inizialmente in via sperimentale, che possano garantire interventi specifici”.
“Lo slogan “Punire per educare” è diventato politica attiva. Una politica perdente: la giustizia minorile non meritava le involuzioni normative presenti nel cosiddetto decreto Caivano che ci riporta qualche decennio indietro nella storia giuridica del nostro Paese” – Antigone, rapporto “Prospettive minori”
In totale sono 628 le comunità esterne che accolgono minori o giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali di cui solo 3 sono pubbliche. “La rete delle comunità private è disomogenea rispetto all’offerta di attività e alla vita interna -si legge nel rapporto- con un contributo ministeriale spesso insufficiente al sostegno necessario e a formare adeguatamente il personale”. Così la maggior parte dei ragazzi inseriti in comunità hanno commesso delitti contro il patrimonio (51,6%) contro il 22,5% dei delitti contro la persona. “Logicamente la gestione privata della comunità favorisce l’ingresso dei ‘casi meno difficili’ perché l’ente gestore ha più spazio di manovra per decidere chi accogliere”. E gli stranieri, percentualmente, faticano di più a essere collocati in misura alternativa alla detenzione.
Antigone critica, infine, la norma del decreto Caivano che regola il cosiddetto “percorso di rieducazione del minore”: si prevede che se il ragazzo o la ragazza che rifiutano di svolgere lavori socialmente utili o altre attività a titolo gratuito perdano di fatto la possibilità della sospensione del processo con messa alla prova. Un punto centrale per Marietti: “Per un giovane magari è meglio studiare piuttosto che lavorare, con questa norma di fatto si perde di vista l’individualizzazione dei percorsi -spiega-. Non è un tecnicismo ma un’idea di giustizia minorile che è distante da quella che, a partire dagli anni Novanta, ha ispirato il nostro sistema partendo proprio dal rispetto del principio del ‘superiore interesse del minore’”. Così, conclude Antigone nel rapporto, lo slogan “Punire per educare” è diventato politica attiva. “Una politica perdente -si legge- la giustizia minorile non meritava le involuzioni normative presenti nel cosiddetto decreto Caivano che ci riporta qualche decennio indietro nella storia giuridica del nostro Paese”.
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