Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Cultura e scienza / Intervista

Kento. Alla scoperta dell’Italia “illegale”

Francesco Carlo, in arte Kento © Benedetta Pieri

Dalla Biblioteca abusiva metropolitana di Roma al Teatro regio di Torino, passando per via Gola a Milano, il rapper racconta in un podcast i luoghi della controcultura del nostro Paese. Spazi ai quali spesso è difficile accedere

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

“Penso sia affascinante sapere che in alcuni luoghi possano succedere delle cose incredibilmente diverse. Pensate alle stazioni dei treni: un attimo prima ci sono i graffitari, poco dopo arrivano i manager con le ventiquattrore. Mi interessa raccontare quello che accade intorno a noi senza che spesso neanche ce ne accorgiamo”. La voce è quella di Kento, nome d’arte di Francesco Carlo, uno dei rapper più conosciuti del panorama italiano con dieci album alle spalle e, da marzo 2023, anche un podcast pubblicato per Emons record. Si chiama “Illegale” ed è “un viaggio all’interno dell’Italia inascoltata”: dalla Biblioteca abusiva metropolitana di Roma al Teatro regio di Torino passando per via Gola a Milano. E poi ancora i luoghi nascosti di Napoli, Palermo e Reggio Calabria. Sei città, con tre puntate l’una, che raccontano quelle realtà che “compongono un unico arcipelago sommerso di cultura urbana alternativa”.

Kento, parli di cultura urbana alternativa, controcultura. Cosa racchiudono queste etichette?
FC Tutte le forme di espressione che non sono inglobate nel pensiero mainstream. Credo che sia facile la definizione, si va per esclusione: c’è talmente tanto di allineato che è immediato capirlo. Penso, ad esempio, a tutta la cultura che non si basa su logiche di mercato o di potere.

Perché secondo te era importante raccontare i luoghi in cui si coltiva questa cultura alternativa?
FC Perché conoscere questi spazi è necessario per capire un po’ il mondo in cui viviamo. Oggi è difficile vedere la “controcultura” perché la frammentazione politica che colpisce il nostro Paese esiste anche nel mondo culturale. Non mi illudo insomma che esista un’Italia sotterranea unita e compatta. Però qualcosa resiste e, per quanto spesso siano realtà contraddittorie, con molti problemi, restano affascinanti. È bello vedere alcuni spazi “stravolti” rispetto al loro iniziale utilizzo diventare preziosi.

Come l’Askatasuna di Torino?
FC Sì, da asilo per l’infanzia è diventato un luogo rivoluzionario. E attenzione: questo non significa che io condivida sempre il pensiero di chi lo anima, ma riconosco l’importanza di quel posto. Quello che voglio trasmettere con “Illegale” è proprio questo: far conoscere alle persone un’Italia non per forza migliore ma sicuramente meno noiosa.

Un’Italia spesso sconosciuta oppure conosciuta male. Sono i “luoghi” a non sapersi raccontare?
FC Sicuramente a volte il mondo dell’underground si autoghettizza in determinati codici comunicativi e linguaggi. Non è un’Italia accessibile e se non sei all’interno di determinati rapporti sociali le porte di questi luoghi non ti si aprono facilmente, appunto perché, come dice il titolo del podcast, spesso ci si vuole bene al di fuori dei limiti della legalità. Ma questo non significa che non si possano conoscere più di quanto si può fare leggendo i giornali o ascoltando le parole dei politici.

“Conoscere questi spazi è necessario per capire un po’ il mondo in cui viviamo. Oggi è difficile vedere la ‘controcultura’ perché la frammentazione politica che colpisce il nostro Paese esiste anche nel mondo culturale”

Un elemento che ritorna nel tuo podcast è proprio la “postura” della politica che non vede quasi mai questi spazi di buon occhio
FC Dettano legge, spesso, la legalità e il decoro. Due parole che, se svuotate di significato, diventano una cagata e spesso vengono sbandierate per cercare un consenso veloce: questo si traduce però in miopia perché non si riconosce la ricchezza di tutti quei luoghi. Diciamo che poi sono gli stessi artisti che spesso non vogliono farsi ingabbiare da regolamenti comunali o prefettizi perché non vogliono stare nei paletti dettati dalla politica. Insomma, c’è un conflitto che è naturale, sano e fa progredire. Ma spesso oggi, purtroppo, non ci si sforza neanche di provare a capire.

Come è nato “Illegale”?
FC Molto banalmente. Succedeva spesso che, nei giorni successivi a concerti, presentazioni dei libri e laboratori, tornavo a casa e descrivevo agli amici dei posti fantastici che avevo visitato. Ed era un peccato non raccontarli a più persone. Insomma, per scegliere i luoghi da inserire nel podcast non ho fatto ricerche online, li ho vissuti tutti in prima persona.

“Illegale”, registrato e scritto da Kento per conto di Emons record è il suo primo podcast. Si può ascoltare su Spotify

Perché hai scelto di fare proprio un podcast?
FC Non potevo farlo con una serie tv, perché con la telecamera non puoi entrare in questi posti. I libri e i dischi non mi convincevano. E allora ho deciso di fare un podcast anche perché è bello il fatto che, uscendo con una puntata a settimana, ha una vita più lunga: quasi cinque mesi, un album non “dura” mai così tanto.

Rispetto a un disco cambiano le “modalità” di scrittura, giusto?
FC Sì. Ti faccio un esempio: quando scrivi eviti le ripetizioni, nel podcast non solo non le eviti ma le vai a cercare. Ti aiuta a far capire all’ascoltatore quello che stai raccontando. Anche perché questi prodotti spesso vengono fruiti mentre si corre o nel traffico e non si è così concentrati. Poi cambia la tecnica: nonostante io sia stato centinaia di volte in studio, registrare “Illegale” è stata una novità assoluta.

Tu, spesso, però, hai a che fare con l’illegalità anche su un altro fronte. Quello del carcere, dove incontri tanti giovani per realizzare con loro laboratori di scrittura. Qual è l’elemento che ritorna di più nelle storie di chi, prima vive le periferie delle nostre città e poi il carcere?
FC Per chi proviene dalle zone popolari delle città il tema più ricorrente è quello del ghetto mentale. Mi raccontano di persone anche molto più grandi di loro che nella vita non sono mai usciti dal quartiere. E questo, se ci pensi, è molto, molto simile a quanto succedeva nel Bronx, a New York, a fine anni Settanta: i ragazzi facevano i graffiti sui treni perché volevano che almeno il loro nome, la loro firma, riuscisse a lasciare il quartiere.

Nata il 14 febbraio del 2013 nel quartiere Centocelle di Roma, la Biblioteca abusiva metropolitana (Bam) è uno spazio collettivo autogestito, autofinanziato e dedicato alla costruzione e condivisone di resistenze, critiche e conflitti. È una delle storie raccontate nel podcast “Illegale”

 

Quali sogni hanno questi giovani?
FC  Molto spesso hanno dei desideri molto semplici, quasi banali. Se glielo chiedi molto probabilmente ti diranno: “Io tra dieci anni vorrei stare insieme alla donna che amo, magari essere sposato, avere un buon lavoro. Magari essere mamma o papà, vivere una vita felice”. Sognano una normalità che non hanno mai avuto.

E immaginano anche un impegno che vada oltre l’io?
FC Per arrivare a dire “noi siamo” devono dire “io sono”. Spesso ai ragazzi viene negata l’individualità, il carcere lo fa per natura. Racconto spesso la storia di un detenuto che non mi ascoltava, poi un giorno mi ha detto che voleva fare il rapper. Perché? Per la musica, le ragazze, i soldi. Io non ho la certezza che abbia raggiunto o raggiungerà tutto questo. Ma sono certo che quando ha appoggiato la penna sul foglio si è chiesto cosa scrivere, che cosa c’è di suo che vuole condividere anche con gli altri. Questo è quello che conta.

Usciamo dal pianeta carcere. Cosa pensi dei grandi movimenti nati sulla tematica ambientale?
FC  A volte il problema dei movimenti per il clima sono i contenuti che trasmettono: ben vengano tutti quelli relativi alla protezione dell’ambiente, al salvataggio del Pianeta. Ma la protesta senza la questione sociale è zoppa: tutte le ispirazioni sono sacrosante ma senza l’individuazione di un sistema sociale, economico e politico alternativo al capitalismo tutto arriva fino a un certo punto. Questo è il grande problema. La semplifico: se butti giù tutte le frontiere hai un capitalismo globalizzato, che è altrettanto problematico.

La musica, su questo aspetto, fa la sua parte? Si fa portavoce di queste istanze?
FC  Il capitalismo applicato alla musica fa sì che la musica sia un fast food ed è difficile trovare un artista che superi questa barriera. Una canzone di due settimane fa è vecchia. C’è poi un secondo aspetto: l’hip-hop non esiste più come movimento in Italia. Il “Peace, love, unity”, la coesione, il fatto che siamo diversi perché siamo l’hip-hop: tutto questo non esiste più. Non è per forza un problema ma è un dato di fatto che ai giovani questo manca. Un giorno durante un laboratorio a Reggio Calabria ho mostrato le foto di Nef, Kaos e Cor Veleno. Non li avevano mai sentiti, neanche nominare. Quello che è successo prima del 2015 non esiste e questo è un peccato. E non perché sono bacchettone.

E perché?
FC  Se a 40 anni vuoi restare sulla scena devi metterti in gioco ogni volta. Si riparte sempre, quando va bene, dallo zero a zero. E allora conoscere il passato ti dà spinta, ti mantiene la penna fresca e ti fa stare a galla. I “giovani” hanno dovuto fare tutto da soli e stanno facendo cose stupende. Resta una nostra colpa generazionale non avergli trasmesso l’importanza di conoscere ciò che c’è stato prima di te.

Programmi per l’estate?
FC  Troppi. Partiamo con il tour del disco a cui si accavalla quello di presentazione del podcast oltre ai “soliti” laboratori di scrittura. È una ricchezza poter fare così tante cose, così diverse, con persone che partecipano altrettanto diverse. Vi aspetto sotto il palco.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati