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Ritorno alla lavanda sui terrazzamenti della Liguria
L’associazione di produttori della Riviera dei fiori, 32 soci a cavallo delle province di Imperia, Savona e Cuneo, valorizza una coltura tradizionale delle Alpi liguri per promuovere il territorio e ripopolare borghi semi abbandonati
Federico Guadalupi taglia mazzetti di lavanda col falcetto. I terreni che coltiva, a settecento metri sul livello del mare, si raggiungono solo a piedi. Sono “fasce”, così chiamano in Liguria i terrazzamenti, larghe appena quattro metri, che ha recuperato dopo settant’anni di abbandono. Se allarga lo sguardo, Guadalupi vede dall’alto il borgo di Glori (IM) e la Valle Argentina. Arma di Taggia e la costa ligure distano appena venti chilometri, ma questa è montagna vera: “Non siamo in Appennino, queste sono le Alpi Liguri”, sottolinea. È la prima catena alpina e la puntualizzazione non è figlia di rigore geografico né di un eccesso di campanilismo: “La lavanda è una pianta che qui da noi cresce spontanea, selvatica. È endemica delle Alpi liguri e dell’Appennino nel genovese, mi ha sempre accompagnato nelle escursioni in montagna nelle nostre valli”, racconta Guadalupi.
È nato nel 1988, nel 2017 ha avviato la sua azienda agricola, che si chiama Biodiversamente, dopo aver preso parte al campus ReStartAlp di fondazione Edoardo Garrone, che offre un percorso intensivo di formazione ad aspiranti giovani imprenditori della montagna. Fa parte del direttivo dell’associazione “Produttori lavanda Riviera dei fiori”, nata invece nel 2014 per favorire lo sviluppo e la promozione del territorio proprio a partire dalla coltivazione di questa pianta.
“Lavoro da vent’anni per la promozione turistica del territorio -racconta Cesare Bollani, l’ideatore del progetto-. Cercando di capire quali fossero elementi caratteristici del nostro entroterra, ho compreso che la coltivazione e la commercializzazione della lavanda è stata fondamentale per portare benessere. Del resto, già i Romani venivano quassù a prendere i fiori da distillare per ricavare l’olio, utilizzato per cicatrizzare le ferite in battaglia e anche per digerire i pasti, come raccontato da Plinio il vecchio”.
“Già i Romani venivano quassù a prendere i fiori da distillare per ricavare l’olio, utilizzato per cicatrizzare le ferite in battaglia” – Cesare Bollani
L’associazione nasce per ricostruire un’economia e raccontare un territorio. Nel Ponente ligure esistevano fino a 500 aziende che producevano e distillavano i fiori di lavanda e i fiori in genere. “Ma oggi sono quasi tutte chiuse”, sottolinea Bollani. Esiste un marchio storico, Lavanda Coldinava, ma la produzione non è più locale. “Ho visto dei messaggi pubblicitari dell’Istituto Luce che negli anni Trenta promuoveva la lavanda ligure, un prodotto che entrava in competizione con le lavande inglesi”, racconta. Secondo l’idea di Bollani, la lavanda della Riviera dei fiori è destinata a diventare un Igp, un progetto a indicazione geografica protetta dall’Unione europea. Prima dei produttori, così, ad associarsi devono essere anche i Comuni, che investono sulla valorizzazione del territorio. “Quelli soci sono 37, e altri cinque stanno perfezionando le delibere di giunta per entrare”, racconta Bollani. I Comuni fanno parte di tre Province (Savona, Imperia e Cuneo) e di due Regioni (Liguria e Piemonte).
I produttori iscritti sono invece 32 e sono gli unici a poter coltivare la varietà di lavanda denominata Imperia: è un ibrido brevettato, creato dall’agronomo Franco Stalla nella sua azienda agricola biologica tra Albenga (SV) e il Col di Nava, il valico a quasi mille metri che unisce l’imperiese e la provincia di Cuneo, nel Comune di Ormea. “Sono partito da circa 600 varietà di lavanda coltivate in un campo catalogo. La selezione che faccio riguarda il fiore, il colore e la resa in olio, che è fondamentale perché si tratta della principale fonte di reddito per il produttore. Il fiore di lavanda è molto piccolo: per l’ibridazione uso un microscopio come quello del dentista. La pianta si riproduce da talee (cioè da un frammento di pianta tagliato e sistemato nel terreno o nell’acqua, ndr), perciò le caratteristiche restano stabili nel tempo”, racconta Stalla. “La lavanda è una pianta che non ha bisogno di trattamenti, si protegge da sola”, aggiunge Bollani.
L’Imperia nasce dall’unione tra una lavanda spontanea del Col di Nava, Angustifolia, la più pregiata tra le 39 specie di lavanda riconosciute in natura, e l’Imperial jam, una lavanda officinalis inglese portata nel Nord Europa dai romani, perché i legionari si curavano con l’olio di lavanda, antisettico, antimicrobico e rigenerante dei tessuti. “L’Imperia garantisce da maggio a dicembre fino a quattro raccolti all’anno in pianura e tre in montagna”, spiega Stalla.
Anche se il lavoro che l’associazione sta realizzando muove dal recupero delle tradizioni, questo non significa che guardi al passato. “L’Imperia non ha canfora, quindi non può essere utilizzata per produrre saponette, ma è ottima per l’uso alimentare e questo ci ha permesso di entrare in relazione con alcuni chef e ristoratori del territorio, che ne sperimentano l’utilizzo in cucina. Questo è un ottimo volano d’immagine. Accanto all’associazione, è nato così anche l’Ordine gastronomico della lavanda”, racconta Bollani.
I fiori che Federico Guadalupi raccoglie a mano a inizio luglio sono destinati proprio alla trasformazione alimentare, utilizzando sia i fiori freschi sia quelli essiccati. Intorno alle piante volano api e bombi, che stanno impollinando la lavanda. Questo permetterà invece di sviluppare più essenza da distillare (“In questo caso, i fiori vanno raccolti al mattino presto, perché l’essenza che producono è usata dalla pianta per proteggersi dal sole”, racconta) per produrre olio. Guadalupi fa parte del direttivo dell’associazione Lavanda Riviera dei fiori. Cresciuto a Imperia, dopo aver studiato psicologia all’università di Torino, Guadalupi è tornato a casa e ha scelto di lavorare in campagna. L’incontro con Glori Superiore è del 2014. Insieme all’amico Luca cercavano un borgo da ripopolare. “Alla fine, però, io non mi sono mai trasferito. In quegli anni ho iniziato a lavorare in frantoio, a Imperia, e nel 2015 e nel 2016 ho passato la primavera in California, a potare olivi. Nel frattempo, un amico di Torino mi ha segnalato il bando ReStartAlp e ho scelto di partecipare, nel 2017, con il progetto Glori”.
“In pochi anni sono nati cinque bambini. Quando i titolari hanno chiuso l’unico agriturismo, una coppia arrivata da Milano ha riaperto il locale” – Federico Guadalupi
L’idea di Federico, in quel momento, era l’avvio di una cooperativa di comunità. In concomitanza con la partecipazione al campus nacque la pagina Facebook “Glori: the place to Be”, un successo di contatti che ha portato nuovi abitanti in Valle Argentina. Oggi “Glori: the place to Be” è un’associazione di promozione sociale, di cui Guadalupi è vicepresidente. “In pochi anni in paese sono nati cinque bambini. Quando i titolari hanno chiuso l’unico agriturismo del borgo, una coppia che si è trasferita da Milano ha riaperto il locale come bar-ristorante, ciò che serviva in paese. Adesso sono arrivati anche due ragazzi friulani, a cui ho prestato dei terreni per iniziare a coltivare”, racconta.
A Glori, Federico ha acquistato quattromila metri quadrati di terreno e ne gestisce altri duemila in affitto. Mostra il suo lavandeto: ogni pianta in campo dovrebbe avere a disposizione almeno un metro quadrato e può arrivare a produrre fino a un chilogrammo di fiori. L’essiccazione fa perdere circa il 40% in peso. La distillazione prevede l’utilizzo anche dello stelo, perché anche lì c’è l’essenza. Il fiore secco coltivato in regime di agricoltura biologica (l’azienda agricola Biodiversamente è in conversione) può essere pagato tra i 50 e i 100 euro al chilogrammo. In pianura, ad Imperia, su quattromila metri coltiva un altro tipo di lavanda, che a differenza dall’Imperia è ottima per farne sacchetti ed essenze da massaggio, “anche se, paradossalmente, la presenza di canfora fa sì che non si tratti di un olio rilassante, ma energizzante”, spiega.
Oltre all’Imperia, i soci coltivano altre sette tipologie di lavanda. La lavanda, insomma, non è una sola. Per capirlo dall’estate del 2021 si può fare tappa a Pigna (IM), dove il 24 luglio hanno aperto il Museo della lavanda e il Museo del cibo dell’Alta Val Nervia, il primo dedicato al cibo in Liguria. Quel giorno, tutti insieme, i partecipanti alla Festa della lavanda sono saliti alle pendici del Pietravecchia e della cima Graj per raccogliere la lavanda spontanea. Lo si faceva nel 1900: è un ritorno al futuro.
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