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“Riprendiamoci il Comune”, la campagna per un’altra finanza pubblica a difesa degli enti locali

© Davide Ragusa - Unsplash

Tra la trappola del debito e i vincoli del patto di stabilità e del pareggio di bilancio, i Comuni sono stati spinti in questi anni a tagliare le spese, esternalizzare e privatizzare la gestione dei servizi. Per invertire la tendenza Attac rilancia due proposte di legge d’iniziativa popolare. Al centro anche il ruolo di Cassa depositi e prestiti

C’è un’urgenza in Italia che si va a sommare a quella climatica, sociale e, di recente, anche a quella politica. È un’emergenza che riguarda i Comuni e le Province, che sono tutti a rischio default, tanto quelli che, prima della pandemia, si trovavano in Stato di disavanzo, quanto quelli che, pur disponendo di risorse libere dall’avanzo di amministrazione, le stanno velocemente prosciugando per rispondere alle emergenze di cui sopra.

È questa la denuncia lanciata da Attac Italia attraverso la campagna “Riprendiamoci il Comune”: si tratta di due proposte di legge di iniziativa popolare, la prima per la socializzazione di Cassa depositi e prestiti e la seconda sulla riforma della finanza locale. Se attraverso quest’ultima si intende delineare un nuovo ruolo dei Comuni nella costruzione di un altro modello sociale ed ecologico a livello territoriale, la prima proposta indica dove reperire e come utilizzare le risorse per renderlo realizzabile.

Alcuni dati aiutano a orientarsi. Tra il 2020 e il 2021, i Comuni hanno ricevuto dallo Stato 11 miliardi di euro di contributi pubblici. Se consideriamo che gli stessi enti, nel periodo 2011-2020, hanno subito un taglio di 13 miliardi, si capisce bene come questi si siano ritrovati a gestire una quantità enorme di risorse. Un’eccezionalità che si è manifestata, però, dopo anni di spending review e tagli, blocco di turnover e di assunzioni con il risultato finale che i Comuni “non hanno saputo gestire questa abbondanza di risorse, a causa principalmente della mancanza di figure tecniche e professionali adatte”, ha spiegato Simona Repole, durante un seminario online di presentazione delle proposte organizzato da Attac nelle scorse settimane. “Inoltre, i Comuni non hanno potuto gestire in maniera autonoma questi 11 miliardi, perché legati all’emergenza Covid-19. Ancora nel 2022 molti Comuni si ritrovano nella condizione assurda di dover spendere soldi legandoli all’emergenza sanitaria, senza avere la possibilità di poterli spendere per le nuove esigenze che si sono venute a creare, anche post-Covid-19, come l’emergenza sociale, la riduzione dell’occupazione, la povertà. Il legislatore statale ancora li condiziona a certe finalità che non sono coerenti con i bisogni del territorio”, conclude Repole.

Questa è la dimostrazione, secondo Attac, di come le norme vigenti impediscano ai Comuni (e alle Province) di investire in servizi per il proprio territorio. La spending review dei Comuni è passata principalmente attraverso il blocco del turnover (-16,3% circa) ma nel contempo sono aumentate le spese di esternalizzazione (+14,8%). “Facendo affidamento su risorse straordinarie e su vincoli come il patto di stabilità, i Comuni non possono programmare spese e investimenti al servizio del territorio. Per fare un esempio, gli enti che hanno più entrate fiscali provenienti dall’Imu ne trasferiscono una parte al fondo di solidarietà comunale, destinato ai Comuni più in difficoltà. Siamo arrivati al punto che sono questi a finanziare lo Stato, e non più viceversa”, spiega Corrado Conti di Attac Italia. “Con la campagna vogliamo proporre nuove regole che lascino completa autonomia ai Comuni e venga cambiato il paradigma del pareggio di bilancio, che porta i più indebitati a vendere pezzi di territorio e beni comuni per coprire la spesa sociale. C’è bisogno di una legge che non punti solamente alla parità di bilancio in termini economici, ma anche di genere, sociale, ecologica e una gestione partecipativa delle risorse”.

“Sul lato spese, invece, abbiamo un indebitamento che è composto principalmente dai tassi di ammortamento negoziati con Cdp”. Da quando le banche sono entrate in Cdp, infatti, i tassi da agevolati si sono trasformati in tassi di mercato: attualmente superano il 3,5-4%. Questo comporta che nonostante oggi il debito degli enti locali pesi per l’1,5% sul debito pubblico nazionale, gli stessi enti debbano pagare tassi di interesse sui mutui altissimi arrivando a vincolare fino al 10% della spesa corrente. “Quindi, da un lato si chiede di ridurre gli oneri finanziari e liberare una capacità di spesa che il Comune dovrà rivolgere alla parte sociale, e dall’altra una rinegoziazione per ottenere tassi agevolati da parte dello Stato, che ha una capacità di negoziazione diversa rispetto a quella di un singolo Comune”, conclude Conti.

“Chiedere la socializzazione di Cassa depositi e prestiti -continua Marco Bersani, presidente di Attac Italia- significa riottenere un ente pubblico che operi, in maniera decentrata e partecipativa, al servizio delle comunità locali e in investimenti relativi al riassetto idrogeologico del territorio, alla sistemazione degli edifici scolastici, alla riconversione energetica degli edifici pubblici, alla gestione partecipativa dei beni Comuni, al riutilizzo abitativo e sociale del patrimonio pubblico, alla mobilità sostenibile, alla trasformazione ecologica della filiera del cibo e delle attività produttive. Una proposta che preveda che le scelte di destinazione dei risparmi dei cittadini siano fatte attraverso la partecipazione degli stessi”. Attraverso queste due proposte di legge, a settembre c’è la possibilità di fare un passo in più rispetto al solo voto in cabina elettorale.

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