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Cultura e scienza / Intervista

Pietro Perotti. L’arte salva dall’oblio le lotte operaie

In occasione delle manifestazioni del 1979 Perotti realizzò una scultura in cartapesta di Gianni Agnelli. La figura era articolata e gli operai la portavano nei cortei, Archivio Perotti © Archivio Perotti

L’artista ha lavorato per 16 anni alla Fiat per poi licenziarsi e mettere il suo estro al servizio delle rivendicazioni sindacali. Ha realizzato opere in gommapiuma, portate in trionfo durante le manifestazioni e oggi fondamentali per fare memoria

Tratto da Altreconomia 257 — Marzo 2023

Magari non tutti conoscono Pietro Perotti, artista che realizza da circa quarant’anni opere in gommapiuma (e prima in cartapesta) che hanno animato le manifestazioni sindacali, politiche, ambientali, contro il fascismo e la guerra, in questi anni. Ha collaborato con Piero Gilardi, artista di fama internazionale, e negli anni Ottanta anche con il fumettista Francesco Tullio Altan, di cui ha “materializzato” molti personaggi. Lo abbiamo intervistato nel suo laboratorio, nel quartiere Campidoglio di Torino.

Pietro, tu sei un po’ un superstite di una città, che fu la Torino industriale, manifatturiera.
PP Io, a dire il vero, sono un testimone. Anzi, mi sono autoproclamato: “delegato alla memoria”. Venivo da Ghemme (NO), il mio paese natale ed entrai alla Fiat nel luglio 1969 per uscirci il 25 aprile del 1985, a quarant’anni esatti dalla Liberazione. Dico sempre che sono stato io a licenziare l’azienda: per coerenza non chiesi nessuna buonuscita, come fecero altri, convinto che potevo e dovevo continuare la lotta fuori dai cancelli. La mia storia politica si riassume così: a Ghemme ero conosciuto come un ribelle, e mi sentivo anarchico dentro; quando entrai in Fiat aderii al “Collettivo Lenin”, dove conobbi Piero Gilardi (ricordo che allora ciclostilavamo i volantini di lotta e andavamo a distribuirli davanti alla Pininfarina). Poi passai a Lotta continua e poi ancora ad Avanguardia operaia (Ao). Quando uscii dalla Fiat questa organizzazione non esisteva più e una parte era confluita nel partito di Unità proletaria, dove continuai la lotta: perché se è vero che conta l’individuo, quando si è uniti si conta di più. Io avevo letto ed ero influenzato da “Lettera a una professoressa”, in cui don Lorenzo Milani ha scritto che risolvere i problemi da soli è egoismo, farlo insieme è politica. Anche se ero comunista, i miei primi libri di formazione politica sono stati proprio quelli dello scrittore cattolico: oltre alla Lettera, anche “L’obbedienza non è più una virtù”.

Ma torniamo un attimo indietro. Quando sei entrato alla Fiat ti hanno assunto con una selezione?
PP Quando me ne andai da Ghemme lavoravo nel settore tessile ma ero convinto che la rivoluzione dovesse partire dalla grande fabbrica. Feci domanda di assunzione alla Fiat: dopo visita e colloquio in corso Dante, fui assunto a Mirafiori. Ero uno dei pochi piemontesi, la stragrande maggioranza dei colleghi era meridionale. La retribuzione era buona perché i metalmeccanici erano secondi come trattamento salariale ai soli chimici.

Ma tu non eri anarchico? Non fecero delle indagini sulla tua fede politica?
PP Certo che le facevano, ma quanto a me probabilmente non risultava niente, perché avevo fatto azioni politiche al mio paese, ma non mi avevano mai beccato. Solo successivamente entrai tra i segnalati dalla Digos.

Torniamo alla tua storia politica: come mai sei uscito da Lotta continua?
PP Perché mi resi conto che non dava agli operai gli strumenti culturali per crescere e lottare: io venivo da Ghemme, avevo la quinta elementare e avevo iniziato a lavorare a undici anni. Invece in Autonomia operaia si trovavano i mezzi per formarsi una cultura. Poi, come ho detto, la lotta è continuata in Parlamento, dove si pensava, nelle elezioni del 1976, di prendere un bel po’ di voti e deputati. Invece fu una sconfitta ma io ho deciso comunque di continuare a impegnarmi anche in modo autonomo. Dico “continuai”, perché avevo già iniziato fin da quando avevo diciassette anni, a lavorare con la cartapesta. Con questo materiale avevo realizzato, nelle lotte per il contratto del 1979, un Gianni Agnelli articolato alto più di sei metri che veniva portato dagli operai nei cortei. Agnelli aveva detto: “Non caleremo le braghe”. Gli operai gliele calavano e sotto portava delle mutande a fiori. Durante la lotta contro i licenziamenti dell’autunno 1980 Piero Gilardi è venuto con la “Cooperativa della svolta” a portare solidarietà agli operai costruendo figure con la gommapiuma.
La costruzione della testa di Agnelli, la velocità di esecuzione e il risultato finale sono stati per me una piacevole sorpresa, l’aprirsi di un mondo nuovo e da allora ho cominciato a utilizzare anche io quel materiale. L’intervento sindacale più grande che ho realizzato, con l’utilizzo della gommapiuma, è stato il 24 marzo 1984 alla grande manifestazione a Roma contro il taglio della scala mobile del governo Craxi. Siamo andati a Roma con un camion con una grande figura articolata dell’allora presidente del Consiglio e un grande drago con sopra Fanfani, Spadolini, Andreotti e Agnelli. Era stata allora la più grande manifestazione dal Dopoguerra.

Parlami di Gilardi, della collaborazione e dell’amicizia che vi lega.
PP Per me è stato un maestro. Lui era ed è un vero e proprio artista. Quando l’ho conosciuto realizzava opere per architetti, poi è ritornato a produrre ed esporre nelle gallerie. Così quando sono uscito dalla Fiat ed ero disoccupato mi ha proposto di lavorare con lui. Da Piero ho affinato la tecnica e abbiamo cominciato a collaborare anche per le manifestazioni. Nel 2018 al Museo nazionale delle arti del XXI secolo (Maxxi) di Roma, nella mostra antologica a lui dedicata, gli è stata riconosciuta anche la sua militanza politica con l’esposizione di mascheroni, manifesti, volantini e un video che ripercorreva 40 anni di intervento sulle strade e piazze d’Italia. A New York nel 2022 c’è stata una grande mostra dedicata alle sue opere, e il supplemento domenicale del New York Times gli ha riservato la prima pagina.

Hai collaborato con diversi autori. In particolare vorrei sapere di Altan, di cui ho visto la mostra qui a Torino, per la quale tu hai realizzato i personaggi e le strutture.
PP Io rimasi colpito dal personaggio di Cipputi, che raffigurava appieno l’operaio della grande fabbrica, con le sue lotte, le sue illusioni, anche sconfitte ma senza mai rassegnazione. Volevo conoscere Altan, e durante la lotta contro i licenziamenti nell’autunno 1980 lo avevamo invitato a venire a Torino a incontrare gli operai, ma non era venuto. Altan è una persona modesta e riservata, di poche parole, anche lui come me preferisce al dire il fare. Dopo il mio licenziamento alla Fiat ero tornato al mio paese e avevo inventato un carnevale dedicato agli illustratori di libri per ragazzi: dopo Benito Jacovitti e Guillermo Mordillo, avevo deciso di dedicarlo a lui. Andai a trovare Altan a casa sua ad Aquileia (UD) insieme al suo grande amico Alessandro Molinari Pradelli, mancato purtroppo nel 2021. Lo abbiamo invitato a venire a Ghemme all’iniziativa a lui dedicata e da allora è cominciata la collaborazione tra di noi. Oltre a quel carnevale ne abbiamo organizzato uno a Cervo (IM), in Liguria, sempre con le maschere ispirate ai suoi personaggi, e poi la scenografia per i 30 anni della Pimpa. Nel 2006 con Stefano Benni abbiamo realizzato “Mondo Babonzo. Museo delle creature immaginarie” dove ho materializzato le creature disegnate da Benni e Altan.
Nel 2016 quest’ultimo ha realizzato le scene e i costumi per un dittico di Ravel (“L’enfant et les sortilèges e l’heure espagnole”) che avrebbe dovuto andare in scena a Palermo e mi ha coinvolto nella costruzione dei costumi tra cui trenta alberi per il coro. Ma lo spettacolo poi non si tenne per una agitazione delle maestranze del teatro.
A settembre 2022, per festeggiare i suoi 80 anni abbiamo realizzato un allestimento scenografico, nella sede dell’associazione Volere la luna in via Trivero 16 a Torino, a cui hai accennato prima. È stata anche l’occasione per farlo incontrare con i Cipputi in carne e ossa, gli ex operai della Fiat. Per me è stata una fortuna, un privilegio e un onore essergli amico e lavorare con lui. Dopo l’ultima sconfitta elettorale ha fatto una vignetta in cui c’è un bambino con la maglietta rossa che spinge il nonno e dice: “Forza nonno si ricomincia da capo”. È giusto ma è molto dura perché la vecchiaia si fa sentire e le forze mancano: con questo governo sarà ancora peggio ma la lotta comunque deve andare avanti.

Pietro Perotti, a destra, con Francesco Tullio Altan davanti a un bozza del monumento a Cipputi, personaggio che raffigura l’operaio (mai rassegnato) della grande fabbrica con le sue lotte, le sue illusioni © Archivio Perotti

Tu quella lotta operaia l’hai anche filmata.
PP Sì, mi comprai una cinepresa superotto e filmai a modo mio le lotte operaie alla Fiat. Ne è venuto fuori un film montato con Pier Milanese dal titolo “Senzachiederepermesso”. È un documentario sulle lotte operaie cominciate nel 1969 e culminate, dopo una stagione irripetibile, nella sconfitta dell’autunno 1980. Questa pellicola ha avuto più successo in Germania che in Italia. L’abbiamo sottotitolato in tedesco e siamo stati invitati a Berlino e Hannover, poi è stato fatto circolare nelle più grandi città del Paese. Qui da noi si cerca di cancellare quella storia e i suoi protagonisti, per questo è importante difenderne la memoria. Come ha detto Primo Levi, che ho avuto la fortuna di conoscere, “la memoria è un dovere”.

Raccontami della storia della statua a Cipputi che dovevate realizzare a Torino.
PP Proprio per non dimenticare, nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, venne in mente a noi ex operai Fiat che ci fosse a Torino una statua che ricordasse il passato operaio. Perché non fosse un’operazione retorica, pensammo al personaggio di Cipputi che rappresenta l’operaio colto, ironico, sconfitto, ma non rassegnato e fiero del suo ruolo. Realizzai con Altan un modellino in scala uno a dieci. La statua non avrebbe avuto costi per il Comune, perché noi ex operai ci saremmo tassati tutti un euro ciascuno. Dovevamo solo trovare la sistemazione. Così presentammo il progetto al Comune guidato dall’allora sindaco Sergio Chiamparino. L’idea fu approvata dalla commissione toponomastica ed uscirono anche degli articoli sui giornali. La statua doveva essere posizionata davanti alla torre di raffreddamento del Parco Dora, dove c’era la fabbrica della Michelin. Poi, con il nuovo sindaco Piero Fassino e dopo innumerevoli riunioni, ci fu proposto un concorso con altri progetti. Ci ritirammo: era evidente la volontà di non voler ricordare il passato operaio della città. Del resto al Torino film festival hanno cancellato anche il premio Cipputi, trasferito a Bologna. Segno dei tempi.

Tutte le opere che hai realizzato sono in questo laboratorio?
PP Quelle che si sono salvate sono tutte qui al piano terra e sotto, nell’interrato. Non ci sono opere mie in nessun museo, la mia è stata un’arte sociale libera e indipendente non mercificabile, e fruibile in modo gratuito da tutti.

Pietro mostra un gorilla realizzato con materiali di recupero e due statue a grandezza naturale dei Blues Brothers. Durante l’intervista, nel laboratorio è entrato Mario, apprendista che raccoglierà l’eredità di Perotti, che dice testualmente: “Io ormai sono ai supplementari”. Pietro è del 1939. L’anno in cui fu inaugurata la Fiat Mirafiori, allora la più grande fabbrica metalmeccanica d’Europa.

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